Articolo di Marta Facchini pubblicato su “Il Fatto Quotidiano” del 28.10.2025.
“Libertà, libertà”, scandiscono i sostenitori del Presidente argentino Javier Milei, fresco di trionfo alle elezioni legislative per il rinnovo parziale del Congresso. Domenica 26 ottobre, il partito La Libertad Avanza si è imposto come la prima forza nazionale, sconfiggendo il peronismo. Tra le persone che hanno festeggiato i risultati fuori dell’Hotel Libertador a Buenos Aires, dove si erano radunati gli esponenti del partito, ci sono molti giovani: avevano sostenuto l’economista quando aveva deciso di entrare in politica nel 2021 e ancora oggi costituiscono una parte significativa delle mobilitazioni libertarie. “Ho votato il partito di Milei perché propone un cambiamento e per finirla con il peronismo”, spiega Martin Valle, lavoratore di 20 anni, “sono felice dei risultati ottenuti. Vedremo cosa si potrà ottenere con un Congresso diverso in cui il partito di governo ha una posizione di forza. Potranno approvare più leggi. Ho molta fiducia”.
La Libertad Avanza è stato il partito più votato in tutto il Paese, raggiungendo il 40,8% delle preferenze. Ha prevalso nelle province che sono più determinanti per il loro peso elettorale come Córdoba, Santa Fe e Mendoza. Si è imposto anche in quella di Buenos Aires dove, solo lo scorso settembre, aveva subito una pesante sconfitta nelle elezioni locali. Ora otterrà 64 seggi alla Camera
e 13 al Senato: avrà più di un terzo dei voti al Congresso per blindare futuri veti presidenziali e approvare le leggi che, secondo Milei, sono necessarie per ottenere il deficit zero. “Il popolo ha deciso di lasciarsi alle spalle 100 anni di decadenza; oggi inizia la costruzione di una grande Argentina”, ha detto nel suo primo discorso trionfale.
“È un risultato inatteso per la sua portata. Ci si aspettava che non andasse oltre il 30% o addirittura una percentuale ancora più bassa. Il Governo è arrivato al voto molto indebolito a causa degli scandali che negli ultimi mesi ne hanno minato la stabilità”, commenta Sebastián Mauro, docente di scienze politiche all ’Universidad de Buenos Aires (Uba) e ricercatore del Consejo Nacional de Investigaciones Científicas y Técnicas (Conicet), uno dei principali centri di ricerca del Paese. Lo scorso settembre una serie di audio avevano rivelato un presunto sistema di tangenti che coinvolgerebbe Karina Milei, sorella del Presidente e una delle persone più influenti dell’esecutivo. E José Luis Espert, che era il candidato di punta per queste elezioni, si era ritirato dalla corsa perché
accusato di avere legami con un imprenditore arrestato per narcotraffico. “Sono eventi che non hanno avuto conseguenze. Gli elettori non sono rimasti impressionati dai casi di corruzione. L’impressione è che una parte dell’elettorato pensi che il Governo stia realizzando tutto il necessario e che si risolveranno i problemi lasciati dalle gestioni precedenti. Siamo anche di fronte a un voto fortemente anti-peronista”, conclude Mauro.
I risultati rappresentano un duro colpo per il peronismo: Fuerza Patria si è classificato 31,62%. Il terzo partito più numeroso, con il 7,13% dei voti, è l’alleanza delle Provincias Unidas, gruppo di sei governatori, tra libertari e peronisti, che cercava di occupare il centro. “Il peronismo è apparso stanco, diviso internamente dalle lotte tra la ex Presidente Cristina Fernandez de Kirchner e il Governatore di Buenos Aires Axel Kicillof, e con poca capacità organizzativa. Non è stato in grado di produrre un immaginario alternativo a quello di Milei. Non ha sollevato entusiasmi. Significativo
anche il dato sull’affluenza, una delle più basse nella storia recente democratica, che può indicare un segno di profonda disaffezione”, spiega Francesco Callegaro, docente di Filosofia politica e sociologia presso l’Universidad Nacional de General SanMartín (UNSAM). “C’è un ulteriore fattore da considerare: in Argentina gli equilibri politici e sociali dipendono dalle logiche economiche e finanziarie. Sebbene il Paese sia appeso a un filo, Milei ha fermato la svalutazione del peso. Anche chi magari dubita che ci sarà a breve un futuro radioso, ha fiducia nella possibilità che Milei stabilizzi il Paese”.
In due anni di mandato, Milei ha adottato una drastica politica di austerità fiscale. Ha chiuso ministeri, licenziato oltre 50 mila dipendenti pubblici e ridotto in modo drammatico lo Stato sociale. Soprattutto nel primo anno, ha causato un aumento della povertà e dell’indigenza. Per riuscire ad abbassare l’inflazione, ha adottato una politica monetaria che ha usato il dollaro come “ancora” e ha ricevuto l’appoggio del Fondo Monetario Internazionale (FMI) bruciando riserve per sostenere un cambio sopravvalutato.
Lo scorso aprile, il Governo ha ottenuto un prestito da 20 miliardi di dollari cui, a ottobre, si è aggiunto il sostegno del Presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che vede in Milei il suo principale alleato e ha promesso altri 40 miliardi di aiuti, ma specificando che il suo sostegno sarebbe dipeso dalla vittoria alle urne. “L’intervento di Trump può essere stato percepito come una boccata di ossigeno. Una mano offerta per non morire. Credo che abbia suscitato timore l’idea che la sconfitta di Milei avrebbe fatto venire meno questo sostegno”, spiega Valeria Brusco, docente e ricercatrice presso l’Universidad Católica de Córdoba. “Possiamo riflettere su come le nuove generazioni non provino antipatie nei confronti degli Stati Uniti, a differenza di quanto accadeva in passato quando c’era un sentimento anti-imperialista più forte. Adesso è tollerabile pensare a un’alleanza con gli USA”, conclude.
Ora si apre una nuova fase. Con la maggioranza nella Camera dei deputati, Milei ha più possibilità di portare avanti i programmi di aggiustamento fiscale e le politiche di “seconda generazione”, come le annunciate riforme del lavoro, fiscale e previdenziale. “Avrà più potere per diminuire la spesa sociale o per impedire che si applichino leggi come quella per l’aumento dei fondi alle università”, spiega Callegaro. “Questo potrebbe portare a un nuovo livello di conflitto nelle strade, ma anche a maggiore repressione”.
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