Luigi Giorgi ha scritto una biografia della vita spirituale, intellettuale e politica di Dossetti, dalla nascita nel 1913 alla morte nel dicembre del 1996 (L. Giorgi, Giuseppe Dossetti. La politica come missione, Carocci 2023).
Libro insolito nel panorama già tanto ricco di studi dossettiani. Nascita e origini familiari, formazione intellettuale e spirituale, studi, partecipazione alla Resistenza, lavoro costituente, responsabilità politica nella Dc, contrasti e scelta di ritiro, poi la vita monacale, la fondazione di una comunità religiosa, la partecipazione ai lavori del Concilio Vaticano II, l’azione per il medio oriente e l’opposizione alla guerra, il ritorno da protagonista politico-culturale negli anni ’94-95 per costituire e orientare Comitati per la difesa della Costituzione a fronte del tentativo berlusconiano e della Lega di imporne una riforma in rottura del legame col fondamento storico e politico di essa.
Emerge, da una ricerca condotta non solo sui libri – ma negli archivi, nella lettura di documenti e studi, nelle relazioni dello stesso Dossetti alle tante iniziative di riflessione che ha promosso o cui ha partecipato – emerge quindi l’approccio concreto basato su conoscenza storica, realismo e rigore analitico di questo straordinario protagonista del Novecento italiano. Egli era consapevole che quello, che poi Mario Tronti ha chiamato realismo etico, fosse scaturito dalla partecipazione alla vicenda tragica del paese e del mondo, con la Seconda guerra mondiale. E sempre si è battuto perché non fossero recisi i legami di massa con l’apprendimento allora maturato dalla umanità.
Ne ha parlato negli ultimi suoi anni, allorché dopo l’89 con la caduta del Muro di Berlino e la “implosione” dell’Unione Sovietica ebbe chiara la percezione che, mentre tutti gli equilibri mondiali cambiavano, non nasceva un pensiero nuovo “né da parte laica, né da parte cristiana”. E avvertiva in un incontro a Monteveglio con la redazione di Bailamme: “Non cercate nella nostra generazione una risposta, noi siamo veramente solo dei sopravvissuti”; “convocate giovani menti” capaci di attrezzarsi per comprendere i cambiamenti globali. Il riferimento che in quella, come in precedenti occasioni, faceva alla propria esperienza non era teso a proporre un modello, o prenderne le distanze: si trattava della testimonianza su “spiritualità e politica”, che è la chiave con cui vedeva nella politica una missione, non una professione.
Il risveglio dell’Islam che la prima guerra nel Golfo avrebbe causato, e la tragicità delle migrazioni dall’Africa e dal Medio Oriente erano al centro delle sue preoccupazioni: dopo il Vaticano II si era diviso infatti tra i monasteri e le comunità religiose che aveva fondato vicino a Bologna e un impegno in Giordania per allargare l’azione della Chiesa. Con la guerra in quelle zone la Chiesa non avrebbe avuto più spazio disse con lucida amarezza. Ci vorranno secoli per superare tali lacerazioni mi disse in un primo incontro a Montesole: “Bisogna sapere che nella coscienza popolare araba ora è ancora forte il trauma e il risentimento per le crociate in nome di Cristo”.
L’opposizione alla guerra del Golfo e la dura lotta in Parlamento di Pietro Ingrao riaccese il reciproco interesse, da anni mostrato. Dossetti scrisse in quella occasione che il leader comunista era una delle poche teste pensanti del mondo politico italiano, anzi “una delle poche coscienze morali vigili” (Giorgi, p. 213). E qualche anno dopo, in occasione degli ottanta anni di Ingrao, accettò di scrivere (per la pubblicazione di un piccolo quaderno fuori commercio del discorso di Ingrao in Parlamento, regalo dei suoi più stretti amici) un suo commento, cui pose titolo “Il dovere di gridare”.
L’avevo cercato a seguito dei suoi primi interventi pubblici contro l’iniziativa di Berlusconi e della Lega di cambiare la Costituzione, recidendo il legame fondativo con una storia di lotta popolare, sangue, resistenza e nuovo patto costituente. E anche nel suo parlare di quelle cose fui colpito dal modo in cui quel vissuto fosse così fortemente presente a mezzo secolo di distanza. Mi portò a vedere i luoghi della strage fatta dai tedeschi lì sul monte, sopra Marzabotto. Angoscia e dolore inconsolabile sul volto: descriveva vividamente i corpi ritrovati, ricordava i nomi di ciascuna vittima, la posizione stessa in cui ciascuno s’era rannicchiato…
Non mi dilungo qui sul ruolo di Dossetti alla Costituente per una “democrazia sostanziale” e sul modo in cui negli anni Novanta, riconoscendo gli enormi cambiamenti intervenuti, accettava temi di riforma ma ribadiva che nessuna concessione dovesse essere fatta sui principi fondanti. Le pagine di Giorgi su questo sono assai ricche, precise e documentate, mostrano l’importanza della sua impostazione per attrezzare le forze democratiche a un confronto non solo difensivo, ma orientato a un possibile sbocco di avanzamento della democrazia.
Insomma c’è il racconto di una vita immersa profondamente nelle contraddizioni del suo tempo, con tutta l’urgenza etica che portava ad assumere personale responsabilità. Dossetti fu comandante partigiano per la sua zona, ma rifiutò sempre di portare un’arma. Fece politica e si impegnò per una scelta repubblicana, e poi per un orientamento sociale dell’azione di governo: lavorò alla riforma agraria e alla costituzione della Cassa del Mezzogiorno. Ruppe con questa esperienza per ragioni “di principio”, come ebbe a scrivere a De Gasperi. Ebbe alla Costituente un rapporto particolare con Togliatti. Poi da monaco fondò un ordine religioso, fu obbediente al suo vescovo ma non nascose mai critiche anche dure a indirizzi della Chiesa, partecipò e anzi ebbe ruolo rilevante nella stesura degli atti del Concilio.
Un libro, quello di Giorgi, fortemente arricchente. Non si tratta solo del fascino dell’uomo e dell’interesse per i tanti “attraversamenti” da lui intrapresi, ma del fatto che ripercorrere la vicenda di una biografia “così articolata e importante, significa incontrare i momenti fondamentali della storia italiana e internazionale, considerandoli secondo l’approccio originale e fecondo che egli ne fece” (Giorgi, p. 13). E questo, nel nostro tempo ancora una volta reso buio dalla crisi mondiale e dalla guerra, e per l’assenza ancora più grave di nuovo pensiero, dà un forte stimolo al formarsi di quelle “nuove menti”, che lui esortava a convocare.
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