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Articolo estratto dal paper “L’effetto della guerra in Ucraina sul Regno Unito, in bilico tra Global Britain e disgregazione”, consegnato per il Convegno SISP, tenutosi alla Sapienza di Roma dall’8 al 10 settembre 2022.

Il Regno Unito ha una struttura ordinamentale priva di una costituzione scritta, basata sulla common law e molta legata alla tradizione formale, che gli ha fornito particolari flessibilità e adattabilità all’evolvere degli eventi. In quanto nato dall’unione tra regni – di Inghilterra e di Scozia nel 1707, e di Gran Bretagna e d’Irlanda nel 1800 – ha fin dal principio avuto di per sé una natura plurinazionale e predisposta alla devoluzione asimmetrica di potere tra il centro e la periferia.

Le varie crisi politiche attraversate in questi decenni hanno però deteriorato la tenuta del sistema britannico con al centro l’Inghilterra, concedendo maggiore spinta ai due principali vettori centrifughi, che corrono rispettivamente, il più antico, sul confine nordirlandese, e il più recente, su quello scozzese.

In Scozia, dal dopo Blair in poi si è andato consolidando infatti un movimento indipendentista, guidato dallo Scottish National Party, sempre più protagonista della scena politica britannica, tanto che nel 2014 è riuscito a ottenere da Westminster il permesso per celebrare un referendum sull’indipendenza. Quest’ultimo, benché conclusosi con la vittoria del No, ha segnato un cambiamento fondamentale nella storia costituzionale del paese e ha posto le premesse perché la Scozia ottenesse, in una trattativa col Governo centrale, un sostanziale aumento della sua autonomia (ad esempio, nella gestione del welfare e in ambito tributario), attraverso l’approvazione dello Scotland Act 2016.

L’avvento della Brexit e della pandemia hanno però riaffermato una tendenza accentrativa del Governo centrale britannico, che, oltre a generare numerose fibrillazioni istituzionali, ha complicato i rapporti con le amministrazioni devolute.

Queste manovre hanno ridato forza alle istanze indipendentiste, tanto che la First Minister scozzese Nicola Sturgeon ha prima annunciato e poi inserito nel programma del suo partito per le elezioni del 20211 la volontà di richiedere un altro referendum, ottenendo ottimi risultati alle urne2 e riconfermandosi alla guida dell’esecutivo. Volontà confermata il 28 giugno scorso, quando, in un discorso tenuto al parlamento di Holyrood, Sturgeon ha annunciato di voler proporre un referendum consultivo sull’indipendenza da tenersi il 19 ottobre 2023, che Westminster dovrebbe concedere, come accaduto nel 2014. Se, come pare probabile, il Parlamento britannico stavolta dovesse sottrarsi, il Governo scozzese condurrebbe una battaglia legale e politica passante anche attraverso la Supreme Court, ma il cui esito positivo, non è affatto scontato3.

Per quanto riguarda l’Irlanda del Nord invece, le fibrillazioni portate dalla Brexit hanno corso sul confine con la Repubblica d’Irlanda, rimasta all’interno dell’Ue, e al cui disciplinamento in materia amministrativa e commerciale è dedicato ilNorthern Ireland Protocol,ratificato dall’European Union (Withdrawal Agreement) Act 2020. Il timore sollevato nel Democratic Unionist Party (DUP), al tempo partito di maggioranza al Governo, era che un confine labile tra le due Irlande, unito a una sorta di barriera doganale col resto del Regno Unito, potesse, rinsaldando il legame economico con la Repubblica irlandese, favorire una prossima riunificazione4. Le rassicurazioni presenti nel Protocollo (tra cui la possibilità per l’Assemblea nord-irlandese di votare ogni 4 anni per chiedere il mantenimento o la revisione dell’accordo) e quelle offerte dal Governo centrale (in alcuni casi con proposte tali da sollevare persino dubbi di costituzionalità5) e non è però bastato a sedare lo scontento degli unionisti.

Al contrario loro, gli indipendentisti hanno guadagnato vigore e il loro partito più rappresentativo, lo Sinn Féin,alle ultime elezioni del maggio 2022 è diventato il partito di maggioranza relativa in Assemblea per la prima volta dalla nascita del paese nel 1921. Nonostante Michelle O’Neill, leader del Sinn Féin nordirlandese, in campagna elettorale non abbia insistito sull’opportunità di richiedere a breve un referendum per l’unificazione con la Repubblica d’Irlanda, gli unionisti hanno deciso di boicottare le sedute parlamentari e quindi sia l’elezione dello Speaker che del Governo, che, secondo il principio della consociational democracy, sancita dagli Accordi del Venerdì Santo, deve essere eletto con il sostegno della maggioranza di indipendentisti e unionisti6. Se non si dovesse giungere a un superamento dell’impasse entro 6 mesi, Westminster dovrebbe scegliere se far ripetere le elezioni o ricorrere alla direct rule (“governo diretto”) del territorio, come già accaduto più volte, in particolare durante il periodo 1972-1998, all’apice dello scontro violento all’interno del Paese. Il possibile riaccendersi di forti tensioni potrebbe mettere a rischio persino gli Accordi del Venerdì Santo, cosa che preoccupa particolarmente gli stessi Stati Uniti, da sempre vicini alla causa irlandese7 e dei cui accordi sono stati importanti mediatori.

Il rilancio della Global Britain

Anche col fine di controbilanciare l’acutizzarsi delle tensioni interne che potrebbero disfare il Regno, il Governo Johnson ha presentato nel marzo 2021 un lungo e dettagliato documento, Global Britain in a competitive age. The Integrated Review of Security, Defence, Development and Foreign Policy, dove si descrive il progetto di medio-lungo termine per il rilancio del ruolo internazionale del Paese. Per la salvaguardia della nazione, della democrazia e dell’ordine internazionale è indicato come necessario il più grande programma d’investimento nella difesa dai tempi della guerra fredda, un consolidamento dei confini britannici e il rafforzamento del proprio stato di superpotenza tecnologico-scientifica.

Sul lato della difesa, è previsto l’incremento della spesa militare di 24 miliardi di sterline nei prossimi 4 anni e il rilancio della Royal Navy8. Quest’ultima è già impegnata in molte missioni internazionali e dotata delle due più grandi portaerei della sua storia, la HMS Queen Elizabeth e la HMS Prince of Wales, a cui si aggiungeranno fregate e vascelli di ultima generazione, oltre a un’aggiornata flotta di sottomarini nucleari, fornita di altre 80 testate atomiche (per un totale di 260)9.

Il rinnovato impegno per un Regno Unito come “forza del bene nel mondo” passa per una stretta dei legami, anche commerciali10, con le aree più dinamiche del mondo (Africa, Paesi del Golfo arabico e dell’Indo-Pacifico) e per il corroboramento della relazione speciale con gli USA. L’uscita dall’Ue invece segna la possibilità di poter svolgere una politica estera autonoma. Mentre la Russia resta “la più diretta minacca al regno”, la Cina è descritta come un “systemic competitor11.

Gli effetti sulla politica interna della guerra in Ucraina

Lo scoppio della guerra in Ucraina ha potenzialmente fornito materiale politico per riaffermare un ruolo di leadership globale dello UK e ricompattare i dissidi interni per rispondere alle impellenze di una situazione internazionale drammaticamente complicata.

Fin dall’invasione del 24 febbraio, Johnson si è schierato con nettezza dalla parte dell’Ucraina e si è fatto interprete di una linea dura contro la Russia. Il First Minister è stato il primo leader occidentale a incontrare a Kiev il presidente ucraino Zelensky il 1° febbraio (che ha poi rivisto il 9 aprile, il 17 giugno e il 24 agosto, in occasione del Giorno dell’indipendenza dell’Ucraina), ribadendo il serio rischio di una imminente invasione russa definita da lui come “la più grande guerra in Europa dal 1945”. Nel dibattito alla House of Commons del 24 febbraio, Johnson ha affermato che l’obiettivo era di far fallire, con mezzi diplimatici, economici o anche militare, la barbarica invasione di Putin12. Gli ha fatto eco il Chief of the General Staff of the British Army, il generale Sir Patrick Sanders, dichiarando in un messaggio interno rivolto alle truppe e ai civili in servizio di prepararsi “a combattere nuovamente in Europa” per sconfiggere la Russia. Ma il sostegno del Regno Unito all’Ucraina va ben oltre le dichiarazioni diplomatiche e ha radici che affondano saldamente sul terreno di battaglia.

Secondo i dati ufficiali infatti lo UK ha finora stanziato 2,3 miliardi di sterline (di cui 750 milioni già erogati) per l’aiuto militare all’Ucraina (e altri 1.5 miliardi per il sostegno umanitario), secondo solo agli USA (con buon distacco, ad esempio dalla Francia – che ha stanziato solamente 300 milioni di euro – o dalla vicina Repubblica d’Irlanda – che ha deciso di non fornire lethal weapons), che si sono impegnati per 8 miliardi fin dall’elezione del presidente Biden13. Le forniture comprendono armi pesanti tecnologicamente avanzate e 200.000 strumenti non letali come visori notturni, elmetti ed equipaggiamenti medici. Inoltre è stato offerto l’addestramento di 10.000 soldati ucraini (nuovi o già in servizio) ogni 120 giorni14.

Il supporto britannico è oltretutto precedente all’invasione e risale al 2009, fortificatosi poi a partire dal 2014, sia tramite la NATO che con proprie operazioni, primaprincipalmente centrate sugli aspetti della logistica, dell’assistenza medica e dell’intelligence15, poi allargatesi al rifornimento di mezzi, all’assistenza per la costruzione di basi navali e all’addestramento della Marina ucraina.

Secondo alcuni sondaggi svolti da Datapraxis, Ipsos e YouGov, sin dallo scoppio della guerra – per il cui inizio gli intervistati assegnano nettamente la responsabilità alla sola Russia (l’83%, similmente ai paesi del nord ed est Europa, e differentemente ad esempio, da Francia e Italia, ferme rispettivamente al 62% e 56%) – i cittadini britannici sono stati molto interessati alle conseguenze del conflitto dal punto di vista umanitario (91%), per l’economia (83%) e per la sicurezza del Regno Unito (77%)16. Sono quindi stati da subito dopo l’invasione favorevoli alle sanzioni economiche (78%) e in una quota non irrilevante anche all’intervento militare diretto (28%)17. I 70% dei cittadini intervistati è ben disposta ad accogliere anche i profughi ucraini (solo il 50% lo sarebbe invece con i profughi afghani, con sostanziali differenze tra gli elettori conservatori e laburisti) che arrivano nel paese (122.900 dei 7.156.748 registrati in Europa, secondo i dati dell’UNHCR; ottavo paese per numero di persone accolte dopo Russia, Polonia, Germania, Repubblica Ceca, Italia, Turchia e Spagna). E dunque, il 57% della popolazione intervistata (l’84% tra i conservatori e il 50% tra i laburisti) giudica dunque positivamente la risposta del Governo Johnson all’invasione russa.

La crisi di Governo

Questo unità di sentimento circa la gestione della crisi non è però riuscita a stabilizzare lo scranno da Primo ministro di Johnson, già da tempo sotto pressione per alcuni scandali – dal Partygate al caso Pincher – che, a seguito della dimissione di numerosi ministri e collaboratori, si è visto costretto il 7 luglio scorso a rassegnare la dimissioni da leader dei Tories.

Le cause vanno cercate tra i motivi della crescente perdita di consensi che il suo partito sta accumulando da quasi un anno a questa parte. Il Partito conservatore è dato infatti, da novembre 2021, sotto al Partito laburista da tutte le agenzie sondaggistiche e oggi la distanza si attesta intorno ai 10 punti percentuali. Probabilmente per una Brexit che non ha soddisfatto molti dei suoi sostenitori (pur scontentando i suoi oppositori) – o che, una volta realizzata, ha smesso di polarizzare intorno a se l’elettorato – e per le critiche all’operato del Governo Johnson soprattutto in ambito economico. Sebbene infatti l’economia britannica abbia recuperato dopo la crisi pandemica18, le proiezioni dell’ultimo anno indicano una progressiva diminuzione della crescita (dietro gli altri grandi paesi europei19) e un tasso d’inflazione record (intorno al 10%)20 che continua a deprimere le vendite al dettaglio21 e a far aumentare sensibilmente la sfiducia di consumatori, imprese e investitori privati22. Tutto questo in un paese, che resta tra i più diseguali tra quelli più avanzati23, con circa un quinto della popolazione che vive in povertà relativa e il 17% in povertà assoluta24. E, nonostante l’investimento pubblico sia inferiore a quello della media OCSE25, il debito pubblico ha superato i 143 punti percentuali sul Pil nel 2021 (il 20% in più rispetto al 2019)26 a cui si unisce un indebitamento privato del 148%27.

Questo difficile quadro generale fa da sostrato agli umori e alle opinioni della popolazione britannica, che giudica negativamente l’operato del Governo in qualunque aspetto, esclusa la gestione della vaccinazione, del contrasto alla pandemia e della crisi Ucraina (con giudizi positivi raccolti rispettivamente tra l’80%, il 54% e il 57% degli intervistati). Le valutazioni sono infatti ampiamente negative per quanto riguarda tutti gli altri aspetti, dalla gestione dell’economia (63%), al miglioramento della sanità e dell’istruzione pubblica (70% e 54%), passando per le politiche migratorie (71% – di cui fa parte il controverso accordo con il Rwanda per il trasferimento nel paese africano dei richiedenti asilo, come deterrenza agli arrivi irregolari28) e la massimizzazione dell’influenza britannica nel mondo (52%).

La crisi ucraina ha spinto ancora più in alto i costi dell’energia e delle materie prime già elevati sull’onda della ripresa delle produzioni al termine della crisi più acuta della pandemia. In particolare i primi si quadruplicheranno, rispetto allo scorso anno, per l’inverno 2023, superando le 5.000 sterline, con l’ulteriore rischio di spingere i due terzi delle famiglie britanniche in povertà energetica, ovvero nell’impossibilità, dato il loro reddito, di potersi permettere un riscaldamento adeguato delle proprie abitazioni29.

Tutto questo, oltre a far crescere l’insicurezza nei mercati, ha aumentato lo scontento e la tensione all’interno della popolazione, portando alla nascita di movimenti di disobbedienza civile per non pagare le tasse come Don’t Pay UK e a una nuova ondata di scioperi in settori chiave (come trasporti e sanità) per chiedere un aumento dei salari.

Il peggioramento della situazione socio-economica, premendo forse proprio sulla dissonanza circa le politiche di spesa pubblica portate avanti da Johnson, ha spinto i suoi più stretti collaboratori – animati da legittime ambizioni personali – a forzarne le dimissioni. A sostituirlo, dopo con un’elezione interna ai Tories dello scorso 5 settembre è stata la sua ministra degli Esteri, Liz Truss, una delle poche a essergli rimasta fedele fino alla fine. È plausibile prevedere che la sua azione come First Minister30 non divergerà particolarmente da quella di Johnson31, fatta forse esclusione, come già detto, per una parziale revisione delle politiche economiche.

4. La scomparsa della Regina e i possibili sviluppi futuri

Se la crisi ucraina pare aver accelerato i due processi direzionalmente opposti di rilancio internazionale e di sfaldamento interno del Regno, la recente scomparsa della Regina Elisabetta II – largamente più apprezzata di Carlo III dalla popolazione (l’81% contro il 54% di giudizi positivi) – potrebbe invece dare maggior forza solo al secondo indebolendo il primo, in un contesto in cui comunque il supporto per la monarchia è molto minore tra i giovani fino a 24 anni (33%) di quanto non lo sia tra le persone di maggiore età (tra il 56% e il 77%).

Dal lato scozzese, ad esempio, nonostante al momento i sondaggi continuino a delineare un elettorato scozzese equamente diviso tra favorevoli e contrari all’indipendenza, alcune rilevazioni segnalano che con il cambio a Downing Street il 25% degli elettori sarebbe meglio disposto a votare per l’indipendenza e un terzo vede più favorevolmente la trasformazione in repubblica con distacco dal Regno Unito dopo l’ascesa al trono di Carlo III.

Per quanto riguarda i territori d’oltremare invece, dopo l’addio alla Corona delle Barbados dello scorso anno, anche in Giamaica e ad Antigua e Barbuda si annunciano referendum per decidere sul futuro repubblicano.

Al netto di tali considerazioni, in ogni caso le problematiche e i disordini internazionali, scoppiati o acuitisi con lo scoppio del conflitto in Ucraina, potrebbero rendere più difficili alcuni percorsi di secessione interna. Questo riguarda in particolare la Scozia, proiezione geostrategica del Regno verso l’Artico. Sul territorio scozzese sono presenti molte basi e cantieri della marina militare britannica, in particolare la base navale della baia di Faslane, a pochi chilometri da Glasgow, dove sono locati i sottomarini del programma nucleare Trident32. Inoltre una Scozia indipendente, pur rimanendo nell’area delle alleanze occidentali e nella NATO, potrebbe non essere ben vista dagli USA33, che dovrebbero, in un panorama internazionale di forte e crescente tensione, prendere atto dell’indebolimento del suo principale alleato, distratto da questioni interne capaci di minarne l’efficacia e la capacità collaborativa.

Ma la geografia e la geopolitica – possono non essere un collante sufficiente e le difficoltà succitate hanno fortemente indebolito la stabilità del Regno, che si finora basata su un sistema elettorale maggioritario tendenzialmente bipolare, con i due grandi partiti convergenti su linee politiche moderate, seppur non identiche fra loro, e portato a enfatizzare l’uniformità d’interesse nazionale, piuttosto che le esigenze dei singoli gruppi sociali, etnici o culturali34.

Chissà se l’antinomico conflitto tra disgregazione interna e riunificazione in prospettiva globale resterà probabilmente pendente per ancora molto altro tempo.

Note

1 SNP 2021 Manifesto: Scotland’s Future, Scotland’s Choice, 19.04.2021, pp. 11-12.

2 Per i dati precisi si veda: Pilling, S., Cracknell, R. (2021), UK Election Statistics: 1918-2021: A Century of Elections, House of Commons Library, CBP 7529, 18.08.2021, pp. 67 e ss..

3 Anzi, sulla base della giurisprudenza accumulata, è difficile che questa possa mettere in discussione il principio basilare dell’inerodibile sovranità del Parlamento britannico, Come ribadito nella recente sentenza “The UK Withdrawal from the European Union (Legal Continuity) (Scotland) Bill – A Reference by the Attorney General and the Advocate General for Scotland [2018] UKSC 64”. Si veda in proposito: Caravale, G. (2018), La resilienza di Theresa May e l’importanza del “Meaningful Vote” parlamentare, in “Nomos”, 3-2018, pp. 643 e ss..

4 Lord Empey, negoziatore capo dell’Ulster Unionist Party per il Good Friday Agreement dichiarò che il confine del Mare d’Irlanda fosse “the most significant change that has taken place since partition” e che con esso “Northern Ireland’s centre of gravity could gradually move in a Dublin/Brussels direction”. McBride, S., Lord Empey: Irish Sea border biggest constitutional change since partition in 1921, in “News Letter”, 14.10.2020.

5 Si veda in proposito: Torre, A. (2018), In Irlanda del Nord, una “primavera elettorale” molto problematica, in “Osservatorio costituzionale”, 1-2018, pp. 25 e ss..

6 Con maggioranza assembleare in ambo gli schieramenti votanti, indipendentisti e unionisti (parallel consent) e col consenso del 60% dei votanti con il 40% (weighted majority) in ognuno dei due schieramenti (cross-comunity).

7 Principalmente in ragione del fatto che il 9,7% della sua popolazione ha origini irlandesi (il secondo gruppo etnico di ascendenza europea dopo i circa 43 milioni di tedeschi), compresi alcuni presidenti tra cui Biden.

8 Global Britain in a competitive age. The Integrated Review of Security, Defence, Development and Foreign Policy, HM Government, CP 403, March 2021, p. 72-73.

9 Ivi, p. 76-77.

10 Si veda: Webb D., Progress on UK free trade agreement negotiations, CBP 9314, House of Commons Library, 05.08.2022, pp. 1 e ss..

11 Global Britain in a competitive age. The Integrated Review of Security, Defence, Development and Foreign Policy, cit., p. 19-25.

12 HC Deb 24 February 2022, Ukraine, c564.

13 Mills C., Curtis J., Military assistance to Ukraine since the Russian invasion, CBP 9477, House of Commons Library, 12.06.2022, p. 4, 22, 32.

14 Ivi, p. 8.

15 Mills C., Military assistance to Ukraine 2014-2021, SN0 7135, House of Commons Library, 04.03.2022, p. 2.

16 Ukraine Polling, Ipsos, March 2022, p. 3.

17 Ivi, pp. 4 e 7.

18 2022 OECD Economic Survey of United Kingdom. Towards a greener and more prosperous future, OECD, August 2022, p. 2 e ss..

19 Harari D., GDP – International Comparisons: Key Economic Indicators, SN02784, House of Commons Library, 16.08.2022.

20 Inflation and price indices, Office for National Statistics, https://www.ons.gov.uk/economy/inflationandpriceindices, ultima consultazione al 24.08.2022.

21 Retail sales, Great Britain: July 2022, Office for Nationale Statistics, https://www.ons.gov.uk/businessindustryandtrade/retailindustry/bulletins/retailsales/july2022, 19.08.2022.

22 United Kingdom Indicators, in “Trading Economics”, https://tradingeconomics.com/united-kingdom/indicators, ultima consultazione al 24.08.2022.

23 Income inequality, OECD, https://data.oecd.org/inequality/income-inequality.htm, ultima consultazione al 24.08.2022.

24 Francis-Divine B., Poverty in the UK: statistics, House of Commons Library, 13.04.2022, pp. 6 e ss.; 16 e ss.: 28 e ss.; 50 e ss..

25 2022 OECD Economic Survey of United Kingdom. Towards a greener and more prosperous future, cit., p. 21.

26 2022 OECD Economic Survey of United Kingdom. Towards a greener and more prosperous future, cit., p. 5.

27 Household debt, OECD, https://data.oecd.org/hha/household-debt.htm, ultima consultazione al 24.08.2022.

28 Per un’analisi sui profili del Memorandum of Understanding between the government of the United Kingdom of Great Britain and Northern Ireland and the government of the Republic of Rwanda for the provision of an asylum partnership arrangement (firmato il 14 aprile 2022), le critiche e le contestazioni legali a cui è sottoposto si veda: Gower M., Butchard P., UK-Rwanda Migration and Economic Development Partnership, CBP 9568, House of Commons Library, 12.07.2022. Ad agosto 2022 il numero di migranti arrivati per mare sulle coste britanniche è stato pari a circa 20.000, rispetto ai 28.526 di tutto l’anno 2021, a dimostrazione di un, al momento, scarso effetto deterrente dell’accordo; si veda in proposito: Why are asylum seekers being sent to Rwanda and how many could go?, in “BBC News”, https://www.bbc.com/news/explainers-61782866, 16.08.2022.

29 Evans S., Analysis: Why UK energy bills are soaring to record highs – and how to cut them, in “Carbon Brief”, https://www.carbonbrief.org/analysis-why-uk-energy-bills-are-soaring-to-record-highs-and-how-to-cut-them/, 12.08.2022.

30 Qui il suo primo discorso in tale veste: Liz Truss’ first speech as the new UK prime minister, in “BBC News”, https://www.youtube.com/watch?v=VZjeKcx2v28, 06.09.2022.

31 Che nel suo ultimo discorso alla Camera dei Comuni aveva intanto ribadito i punti fondamentali della sua eredità politica, in primis: “Stay close to the Americans, stick up for the Ukrainians, stick up for freedom and democracy everywhere, cut taxes and deregulate wherever you can to make this the greatest place to live and invest; which it is”. Si veda: “Hasta la vista, baby”: Boris Johnson gives final speech as UK PM in PMQs, in “Global News”, https://www.youtube.com/watch?v=RQ0KyBt9Zhw, 20.07.2022.

32 Defence & security, Delivering for Scotland – UK Government, https://www.deliveringforscotland.gov.uk/security/, ultima consultazione al 28.08.2022.

33 Si veda in proposito: Ibrahim, A., Scottish Independence Is a Security Problem for the United States, in “Foreign Policy”, 08.03.2021.

34 Si veda in proposito: Almond G.A. (1956), Comparative Political Systems, in “The Journal of Politics”, vol. 18, n. 3, pp. 391 e ss..

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