Anabasi o del ritorno
Non v’è un abissopiù profondo del cielo.
I diritti umani dell’ONU non sono antisemiti
Non v’è nulla di disumano nel divino
I.
Il principio implicito in ogni Stato di diritto che riconosce la libertà di religione, è, non può non essere, che non v’è nulla di disumano nel divino.
Quando si infrange questo principio, si entra in ogni genere di barbarie e innanzitutto in quella che va sotto il nome di guerra di religione: anche quando la religione che lo Stato professa è l’ateismo.
Quella della libertà di religione, in Occidente e nel mondo, è stata una conquista difficile e arrivata tardi. Ha avuto bisogno di una evoluzione delle religioni derivata dall’evoluzione del pensiero filosofico nelle civiltà nelle quali queste religioni vivevano. La storia delle tre religioni monoteiste negli ultimi duemila anni ha dimostrato che quando migliorava la situazione politica in rapporto a una evoluzione del pensiero e della civiltà, migliorava anche, nelle nazioni, il rapporto di una religione con le altre.
Le comunità ebraiche hanno sofferto molto nel rapporto con il Cristinesimo e hanno conquistato la loro libertà dopo la rivoluzione francese, nell’Europa continentale. Ma il primo paese che ha posto il problema della tolleranza religiosa è stato l’Inghilterra. Ogni paese, in questo, ha la sua storia.
L’Islam, forse, è stata, nel Medioevo, la civiltà nella quale le comunità ebraiche hanno avuto una vita più serena.
L’ebraismo è la religione del libro, della Bibbia, ma la Bibbia non contiene soltanto la dottrina e la legge della religione ebraica, è anche la storia del popolo di questa religione. La storia di una religione, di ogni religione, è fatta certamente delle sue altezze, ma anche delle sue cadute e dei suoi abissi. La storia ebraica ha inizio con il superamento del rito sacrificale umano, con l’angelo che ferma la mano di Abramo che sta per sacrificare il suo unico figlio. Poi, nella vicenda del divenire della discendenza fisica e spirituale di Abramo, c’è di tutto. C’è anche la lapidazione delle adultere, ma l’ebraismo, la religione ebraica, come tutte le religioni, ha superato molte cose che, se lette ora, non possono tuttavia identificarsi, oggi, con questa religione.
Se si parla nella Bibbia dello sterminio dei nemici con l’aiuto di Dio, questo non autorizza il formarsi, oggi, di una pretesa ortodossia ebraica che giustifica lo sterminio, lo promuove, lo esegue, di tutti i palestinesi. Ortodossia significa retta opinione, ma, per quanto possa considerarsi retta, un’opinione non è mai più che un’opinione e quella degli sterminatori, alla coscienza umana, ebraica o non ebraica, non può sembrare affatto una opinione retta. È un abominio. Non sono la stessa cosa la guerra e lo sterminio. Direi di più: non si può chiamare guerra uno sterminio. Lo sterminio nazista degli ebrei, degli zingari, degli omosessuali, non rientra nella categoria della guerra.
Ma dunque, cosa sta accadendo a Gaza, che cosa sta facendo Netanyahu con il consenso del grande presidente Biden e dell’Europa occidentale?
Forse, si sta svolgendo la stessa epopea che ci è stata narrata della conquista del territorio americano, quando ogni tratto di ferrovia significava la scomparsa di una popolazione di nativi? È il prezzo del progresso? Così procede la libertà in Occidente?
Non ci si deve scandalizzare, non si deve far sentire solo lo Stato di Israele. Gli Stati Uniti tutti li hanno compresi, anche quando hanno sbagliato. Perché Israele si lascia solo in questo momento difficile, di passaggio? Quando i palestinesi non ci saranno più, tutto tornerà tranquillo e anche Israele, come hanno fatto gli Stati Uniti, saprà dimostrare di essere una grande democrazia.
II.
Il conflitto, nel mondo della vita, sembra avere come fine, nella riproduzione, di selezionare il più adatto all’ambiente. La violenza, nell’essere umano, in presenza della parola, ha perduto questo senso. Essa alimenta se stessa cercando delle giustificazioni, ma è insensata, è il non senso.
La guerra, con tutti i suoi orrori, è stata sempre motivo di ripulsa, nell’animo umano, ma ora, con i mezzi di distruzione che esistono, rivela non soltanto di essere un vuoto, ma di contenere, per la specie umana, la minaccia del nulla. Questa minaccia deriva dall’ingiustizia che è stata sempre difesa, nella storia umana, con le armi in pugno, e della quale la guerra è la più evidente delle manifestazioni.
Se l’ingiustizia si difende con le armi, può venire spontaneo pensare che anche la giustizia debba, necessariamente, venir difesa con le armi. Si tratta della teoria della guerra giusta, con la quale si motiva anche la più ingiusta delle guerre. Ogni guerra nasce con motivi di legittima difesa degli Stati. Uno Stato ha il diritto di difendersi come lo ha ogni essere umano che viene aggredito. Un essere umano ha il diritto anche di uccidere, per non essere ucciso. Ma al disopra degli individui umani, in una comunità politica, c’è la legge e un giudice che, applicandola, deve decidere sulle circostanze nelle quali un delitto è stato commesso, la difesa di uno Stato nei confronti di ogni atto di aggressione, invece, consiste soltanto nel diritto di fare la guerra. Perché gli Stati non riconoscono alcun giudice al di sopra di sé. L’unica legge che regola il rapporto tra loro degli Stati, è quella della forza.
Una delle conseguenze di questo è che un popolo senza Stato, il diritto di difendersi non lo ha. Ma anche che nessuna guerra risponde a un altro giudice che non sia l’esito finale del conflitto.
L’istituzione dell’ONU, fondata sulla dichiarazione universale dei diritti umani, si oppone all’oscura teoria, sostenuta dai sofisti nell’antichità e da Hobbes nella modernità, che gli esseri umani in natura sono l’un contro l’altro armati e cercano, in mancanza di ogni legge, di sopraffarsi reciprocamente. Secondo questa scellerata e ottusa teoria, come mostra Platone nella Πολιτείαla, la legge, resa possibile dalla parola, sarebbe contro natura, e dunque è lecito che chi ingiustamente la inganna o la usa a proprio vantaggio con la forza, anche con la forza del consenso di una maggioranza eletta “democraticamente”, lo fa perché questo è il comportamento “naturale” dell’essere umano e di ogni essere umano. La parola non serve all’essere umano per cercare la giustizia – come ci dice il Socrate platonico – ma per produrre l’ingiustizia che, come si sa e si vede, è vantaggiosa per pochi. Mentre la giustizia pretende di essere vantaggiosa per tutti. Con il pretesto, anche delle religioni, che l’essere umano è cattivo, si è fatto dell’educazione alla malvagità uno dei cardini delle società occidentali. La bontà è una virtù riconosciuta a pochi, non una qualità alla quale possono essere educati tutti gli esseri umani.
“Tutto esce buono dalle mani del creatore” è l’affermazione più sconvolgente della filosofia illuminista di Rousseau ed è quasi un miracolo che sia arrivata fino al primo articolo della dichiarazione universale dei diritti umani del 1948: Tutti gli esseri umani nascono liberi e uguali nella dignità e nei diritti…
Nascere liberi significa nascere buoni, perché la libertà è amore.
Da secoli il cristianesimo ci dice che Gesù è venuto per salvare tutti gli esseri umani e li ha redenti con la sua morte e resurrezione. Se è così, affermare che soltanto con il battesimo siamo mondati dal peccato originale, è ridurre la fede al culto. Il che può essere comprensibile, nella contingenza storica dell’evangelizzazione, teologicamente, ma non giustificabile filosoficamente. Perché se il λόγς divino, come si legge nel Prologo di Giovanni, è la luce degli uomini perché gli esseri umani, tutti gli esseri umani, parlano, allora tutti gli esseri umani sono stati purificati, con la redenzione, dal peccato originale. Il battesimo è soltanto una iniziazione al culto della – di una – pratica religiosa.
Quello che è indispensabile all’umanità, a tutta l’umanità, è di cercare la giustizia e di essere educata alla libertà che, nel senso più alto e profondo, è amore.
Si tratta di una prospettiva filosofica, ma non v’è un pregiudizio religioso che la rende, può renderla, falsa. Tantomeno il pregiudizio religioso può, potrebbe, venire dall’ebraismo.
Il popolo ebraico è eletto perché è alla ricerca della giustizia, non perché appartiene a una razza superiore. Il Dio degli ebrei è il Dio di tutta l’umanità. Ebrei non si nasce, come pensavano Hitler e i razzisti che lo seguivano. Ebrei si diventa con l’educazione; per questo di solito, nelle comunità ebraiche, si dà tanta importanza all’essere figli di una madre ebrea. Non è un principio razzista, è un concetto educativo. La discendenza da Abramo è spirituale. Evidentemente, gli attuali governanti di Israele questo lo ignorano. Come ignorano di essere loro gli antisemiti. Perché la parola “semita” si riferisce a un complesso di culture di cui fanno parte tutte le lingue arabe, oltre alla lingua ebraica, non a una razza. E contro gli arabi, ora, si scatena la potenza di fuoco degli israeliani, e contro un popolo semita loro fratello: i palestinesi.
Si deve prendere coscienza del salto di civiltà rappresentato dall’approvazione della dichiarazione universale dei diritti umani e dall’evoluzione del pensiero rappresentata dalla teoria platonica della πόλις, fondata sulla ricerca della giustizia e non sul presupposto sofistico della prevalenza della forza sulla parola. La giustizia è resa possibile dalla parola, non dalle armi.
Per vivere in pace e felice, l’Umanità ha bisogno della parola che educa alla libertà, non della guerra che difende l’ingiustizia.
L’ONU divenga l’organizzazione che difende il diritto dei popoli, non l’organizzazione fondata sulla forza degli Stati.
Si riconosca al popolo ebraico il diritto di cercare la giustizia, non allo Stato di Israele il diritto di difendere l’ingiustizia, fino allo sterminio del popolo che abitava e abita la terra della Palestina. Gli Stati riconoscano al di sopra della loro forza il diritto dei loro popoli e di tutti i popoli, che fonda quello dei loro cittadini.
Gli Stati Uniti smettano di coinvolgere l’Europa in una politica di potenza armata con l’atomica contro la Federazione Russa e si faccia la pace tra i popoli fratelli dell’Ucraina e della Russia.
Si lasci a ogni minoranza linguistica il diritto di parlare la propria lingua, di insegnarla a scuola, di scriverla, di avere una letteratura nella propria lingua.
Si lasci a chi pensa il diritto di pensare, di esprimere il proprio pensiero nella propria lingua. Sia la ricerca della giustizia e non la competizione per mezzo della forza in tutte le sue forme, la strada aperta al futuro dell’Umanità.
Nel rapporto con il mondo della vita, sia sempre scelto il criterio del rispetto e abbandonato quello della speculazione e dello sfruttamento.
Si aprano le frontiere ai diseredati e ai perseguitati, si riconosca la dignità di uomini – di esseri umani – agli stranieri, accogliendoli come cittadini.
Si cerchi di superare il disumano che sembra essere sempre di più la cifra e il segno della nostra epoca.
Trascendenza
Guerra è l’ingiustiziadegli uomini
non la giustiziadi Dio.
La giustizia non è violenza.
Todi, ottobre 2024
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