Articolo pubblicato su “Strisciarossa” il 15.06.2020
Cresce (anche nel Pd e in Leu?) l’insofferenza per le “casalinate”. La comunicazione mistificante del governo dell’avvocato qualunque, sogna per Conte una inopinata ascensione regale-presidenziale. Il politologo Ignazi ormai lo accosta, quanto a statura politica, nientemeno che alla Merkel (!). Le scenografie di Casalino prevedono per l’avvocato il copione del salvatore che, dopo l’impresa solitaria nella lotta contro il virus, può lanciarsi in promesse liberatrici di amore, abbracci, bellezza. Con la narrazione attorno a tesoretti immaginari, la cui distribuzione si decide negli stati generali convocati nel “casino” come lo chiama Conte, il potere oscilla tra Amadeus e Franceschiello (l’immagine è di A. Polito).
È scontato che, a partire da Machiavelli, le scelte politiche si valutano con il metro prevalente della loro efficacia. Il governo “di svolta” è nato come una operazione tecnicamente trasformista con l’obiettivo esplicito di arginare il pericolo Salvini. Se il capitano è il solo segnale di allarme, che giustifica la presa di misure tempestive quasi di salute pubblica, allora l’operazione di occupazione del palazzo in virtù di celeri abboccamenti parlamentari ha funzionato. I sondaggi attribuiscono oggi alla Lega circa 10 punti in meno.
Però la sensazione gradevole, di vedere il leader del rosario in grave affanno, si spegne presto considerando un altro dato. Tutti i consensi fuggiti dalla Lega sono catturati integralmente dalla formazione post-fascista di Meloni. Mentre Berlusconi è stabile nel declino, è in atto una redistribuzione di forze che avviene però tutta dentro l’area di destra radicale per decidere la leadership. E questo, dopo circa un anno di governo Pd-M5S, deve essere il raffronto utile per appurare la bontà della sostituzione di un pezzo di maggioranza con l’altra, senza scomodare un passaggio elettorale. Anzi, temendolo come una vera maledizione.
La paura di Salvini continua ad essere la sola ragione apportata (anche da un Giuliano Ferrara in insolita coabitazione con Travaglio) a sostegno dell’alchimia che ha condotto al Conte bis esperto nella invenzione di task force, tavoli, stati generali. Il dato più significativo è però che neppure la destra senza mascherina, che lancia la esplicita sfida di piazza, frena nella cattura del sostegno popolare. A settembre del 2019, con il fresco disarcionamento di Salvini, e l’avvio del governo trasformista come variante di democrazia protetta, la destra era stimata dalle agenzie demoscopiche al 47,2 per cento. Nelle ricerche di giugno del 2020 il consenso attribuito alla destra è salito al 49,3 per cento (per un altro istituto si attesta comunque al 48,3).
L’alleanza Pd-M5S-Iv-Leu a settembre di un anno fa era accreditata del 45,9 per cento (per altre rilevazioni era al 46,1). Circa un anno dopo, a giugno 2020, e quindi a compimento dell’emergenza guidata con il decreto del presidente del consiglio, la coalizione che sostiene Conte è data al 41,0 per cento (per la Swg è al 42,2). Dunque, stando alle intenzioni di voto, malgrado l’eclisse evidente di Salvini, la destra è salita in media di uno o due punti percentuali. La coalizione cosiddetta giallo-rossa è invece colta in una parabola discendente con una caduta stimata in 3-4 punti.
La domanda è se, con un puro intervento di chirurgia trasformista, e quindi fuggendo preventivamente dalla volontà di accettare lo scontro ideale e politico aperto con l’avversario, si possa davvero curare la malattia cronicizzata nel popolo che segnala nelle credenze di massa una costante ascesa delle parole d’ordine della destra più radicale. Non basta difendersi dal dubbio dell’analisi con la formula “pensa, se c’era Salvini” ed eliminare con un espediente verbale i rischi che graffiano la repubblica e che purtroppo non si cancellano a colpi di trasformismo.
I sondaggi inducono ad una ulteriore riflessione. La drastica riduzione del numero dei parlamentari, rivendicata dai grillini come un trionfo epocale per la piccola contrazione delle spese statali ottenuta, solleva in realtà questioni più generali di compatibilità con l’impianto costituzionale (deficit di rappresentanza) e timori più specifici connessi agli effetti della persistenza dell’attuale legge elettorale. Con la tecnica vigente (e quindi anche con gli impliciti filtri selettivi che essa contiene), le destre possono puntare alla agevole conquista non solo dei numeri per governare ma anche della maggioranza qualificata dei seggi che la mette in condizione di cambiare la costituzione senza neppure il meccanismo difensivo estremo del referendum popolare.
Cambiare la legge elettorale in un senso proporzionale è una fisiologica misura per la tenuta in sicurezza dell’ordinamento. Questo innesto di un ragionevole elemento difensivo implica però un atto di forza necessario per piegare la prevedibile resistenza della destra ad un atto ostile alla sua ascesa e quindi ambiguo e politicamente avventato. Insomma, il distintivo che i grillini intendono esibire sul petto (230 parlamentari in meno) è un simbolo potenzialmente irresponsabile che comporta dei costi sistemici elevati. Se si lascia invariata la formula elettorale si rispetta il bon ton istituzionale (non si inventano tecniche elettorali a scopo preventivo) ma si erodono le basi della rappresentanza e insicuri sembrano anche i confini della repubblica minacciata da una destra sleale. Se invece, per difendere l’ordinamento dalle conseguenze politiche di riforme istituzionali avventate, si ricorre ad un uso partigiano delle leggi elettorali, si determina comunque una rottura di sistema non degna di una democrazia matura.
Il governismo delle auto blu, come cura della bestia salviniana, approda dunque ad esiti paradossali. Poiché il trasformismo è una soluzione adatta per tempi di bonaccia parlamentare, applicato a momenti di burrasca esso è un rimedio esangue e può solo riprodurre il male che doveva estirpare. E così, dopo un anno di governismo niente fatti e tante chiacchiere, la destra è ancora in ascesa e un ipotetico non-partito guidato da Conte, e di cui hanno tirato la volata nei giorni scorso gli appelli degli intellettuali, prosciuga l’area di centro-sinistra condannandola alla liquidazione. Insomma: a destra prosegue la crescita dei voti e per l’opposizione funziona alla grande il “piano di rinascita”, quella dei grillini. Il Nazareno, se le cose stanno così, è una casa di ombre per aspiranti suicidi.
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