Intervento pubblicato su Facebook in una versione leggermente ridotta il 26 maggio 2025.
Pochi giorni fa ho avuto la fortuna, grazie a un’amica (di cui non faccio il nome per non metterla nei guai), di parlare con un giovane (di cui non faccio il nome per non metterlo nei guai) che lavora per l’Organizzazione mondiale della sanità e che rientrava per qualche giorno in Italia da Gaza. Sentire raccontare dal vivo le cose che leggiamo o guardiamo sui social e in tv fa ovviamente un altro effetto. Ad esempio, toglie già il sonno sapere che i feriti che hanno la fortuna di arrivare in ospedale devono sopportare di essere operati senza anestetico, ma lo toglie due volte se la persona con cui stai parlando queste operazioni senza anestetico le ha viste fare di persona. Da questo incontro ho tratto le seguenti informazioni e considerazioni.
1) Il progetto di pulizia etnica che il governo israeliano sta portando avanti procede senza alcuno sconto. Una parte della popolazione palestinese viene uccisa con le bombe o con armi intelligenti (spesso puntate volutamente sui bambini), un’altra parte viene costretta ad andarsene con mezzi ricattatori, un’altra parte viene sospinta in un quadratino nella parte meridionale della Striscia.
2) Questo quadratino è l’unico lembo di terra che potrebbe restare ai palestinesi, il resto della Striscia essendo ormai tutto nelle mani dell’esercito israeliano; il famoso “Stato palestinese”, ove fosse riconosciuto anche dai paesi fetenti come il nostro e gli USA e da Israele, consterebbe dunque di questo lembo più la Cisgiordania, dove però com’è noto la colonizzazione degli israeliani procede senza remore.
3) La popolazione di Gaza e gli operatori di ospedali e ONG sono sottoposti a un’azione di sorveglianza e controllo h24: esercito e servizi israeliani sanno tutto di tutti, e in base alle informazioni che hanno dosano minacce e avvertimenti (ad esempio, ti buttano giù il muro di cinta della tua casa per invitarti gentilmente a levarti di torno, e se non ti levi torno ti bombardano anche l’interno.
4) Il cosiddetto piano di aiuti che Israele dice di volere autorizzare è in realtà un piano di ulteriore vessazione, ricatto e selezione della popolazione palestinese. Il cibo verrà sadicamente razionato (non più di 1.700 calorie al giorno), verrà erogato – non più dalle organizzazioni internazionali ma da contractors al servizio di Israele – solo nel suddetto quadratino, sì da sospingere lì i gazawi, e verrà distribuito selettivamente, secondo l’esito dello spionaggio a tappeto di cui sopra.
5) Governo ed esercito israeliano, dopo avere com’è noto impedito l’accesso a Gaza ai giornalisti, stanno ora cacciando con le buone o con le cattive anche gli operatori degli ospedali e delle istituzioni umanitarie internazionali, cosa che, per quanto riguardo gli italiani, la Farnesina non può non sapere ma tace.
6) I gazawi erano più di 2 milioni all’inizio della guerra ma si calcola che ora si siano ridotti del 40%: il conteggio dei morti oscilla fra i 60 e gli 80.000 (il 60% dei quali donne, bambini e anziani) ma se si contano le morti prevedibili per fame, sete, inquinamento, mancanza di cure si arriva nei prossimi cinque anni a 500.000. Ai quali vanno aggiunti i palestinesi che sono riusciti ad andarsene dalla striscia.
7) Fra i sopravvissuti, i più vogliono in tutti i modi resistere alla deportazione forzata in Egitto, in Giordania, in Libia o chissà dove, paesi che peraltro notoriamente non li vogliono e che in più d’un caso sono ricattati economicamente e tenuti sotto scacco dagli Stati Uniti.
8) I palestinesi che vogliono resistere ci chiedono di fare pressione sui nostri governi perché anche quelli che non l’hanno ancora fatto, come l’Italia, riconoscano lo Stato palestinese. Personalmente io non credo da tempo nella soluzione “due popoli due Stati”, e fra la resistenza e l’esodo, se fosse possibile (ma oggi non lo è, da Gaza non si può uscire) sceglierei l’esodo. Ma se i palestinesi vogliono resistere lì e chiedono di aiutarli a ottenere il riconoscimento del loro Stato, bisogna fare quello che loro chiedono.
9) In conclusione, la situazione è senza uscita.
Tutto questo, si dirà, lo sapevamo. Sì. C’è una cosa però che non si dice mai, perché cozza con l’immaginario coloniale che ancora ci permea tutti/e: Gaza non è una situazione residuale, la coda estenuata di un passato che non passa e non si risolve. Non è nemmeno soltanto l’indice più evidente di un mondo impazzito. Gaza è il laboratorio del nostro probabile e prossimo futuro: di un futuro fatto di deportazioni autorizzate (compresa la remigration vagheggiata dai neonazisti europei), e soprattutto di sorveglianza, controllo, dossieraggi, spionaggio, con le tecnologie e l’intelligenza artificiale usate dal potere politico e militare per gli scopi più nefasti. Se non la pietà, l’orrore e la vergogna, questo almeno dovrebbe farci mobilitare con tutte le forze di cui disponiamo.
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