La cultura ha un ruolo importante per lo sviluppo individuale ma anche per la connessione tra i membri di una società. È un ambito che vede delle differenze a livello europeo, sotto numerosi punti di vista.
La tutela giuridica della cultura poggia le sue basi sul trattato sul funzionamento dell’Unione europea. Le istituzioni comunitarie hanno il ruolo di contribuire allo sviluppo culturale dei singoli stati membri, tenendo conto sia delle diversità nazionali e regionali che del retaggio comune a tutti gli aderenti all’unione. Il sostegno alle attività culturali è compito anche degli organismi istituzionali europei, per la conservazione e la diffusione del patrimonio ma pure per una maggiore competitività dal punto di vista economico.
Anche i singoli stati contribuiscono allo sviluppo di questo settore, che è molto ampio e comprende sia i lavori culturali più tradizionali (come ad esempio le guide nei musei) che i segmenti di produzione media e giornalistici.
Lo stato europeo che spende di più per i servizi culturali in termini di percentuale di Pil è l’Ungheria (1,3%). Seguono le Repubbliche Baltiche: Estonia (1%), Lettonia (0,9%) e Lituania (0,9%).
I consumi delle famiglie dei prodotti culturali
Dal punto di vista dei consumi delle famiglie, la cultura ha subito un contraccolpo dalla pandemia, come è successo per numerosi altri settori. Tra il 2019 e il 2020, l’Unione europea è stata caratterizzata da una diminuzione delle spese pari al 16,7% rispetto all’anno precedente. Una diminuzione presente in Francia (-14,6%), in Germania (-11,6%) e che si è verificata anche nel nostro paese.
In Italia, dal 2019 al 2020, la spesa per la cultura delle famiglie è diminuita di oltre il 22%.
Negli anni precedenti, gli andamenti non si discostano particolarmente tra di loro tranne nel periodo del 2012 e del 2013 nel quale l’Italia riporta un calo maggiore di spesa rispetto agli altri paesi considerati. Ad esempio, nel 2013 il calo italiano si attesta al 6,7% contro l’1,7% francese mentre in Germania si è registrato un aumento dello 0,1%.
I lavoratori nell’ambito culturale
Per quanto eterogeneo e fragile, il settore dà lavoro a numerose persone. Nel 2020, questo ambito conta oltre 7,2 milioni di lavoratori in Europa, ammontando al 3,6% di tutti gli occupati. A livello di singoli stati, la situazione è più variegata.
Sono tre i paesi in cui i lavoratori culturali superano il 5% del totale: Estonia (5,2%), Slovenia (5,2%) e Finlandia (5,1%). L’Italia si attesta al 3,5%, un valore in linea con la media europea. I tre stati in cui si registrano i valori minori sono Cipro (3,2%), Bulgaria (2,9%) e Romania (1,4%).
Anche nel dettaglio del contesto italiano lo scenario è piuttosto eterogeneo. Il settore ha il maggior numero di occupati nelle aree del centro (4,18%) e del nord (3,42%) e una minore presenza nelle isole (2,3%) e nel sud (2,18%).
Tra le regioni italiane, quelle che riportano l’incidenza maggiore dei lavoratori culturali sono la provincia autonoma di Trento e il Lazio, entrambe con il 4,8%. Seguono Toscana (4,3%), Marche (4,2%) e Lombardia (4,1%). Le regioni in cui c’è minore prevalenza del lavoro culturale sono tutte del mezzogiorno. Si tratta di Calabria (1,3%), Sardegna (2%) e Molise (2,1%).
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