La foto dei maggiorenti della Silicon Valley seduti davanti ai ministri del nuovo Governo Trump nella cerimonia di investitura rimarrà come immagine icastica dei flussi di potere reale della nuova era statunitense. Una confraternita ideologica di anarco-capitalisti della Silicon Valley ha messo fermamente le mani sul governo più potente del mondo.
L’avvento degli oligarchi del “complesso tecno-industriale” (per usare le parole esatte di Joe Biden) segna l’inizio di un piano messo a punto durante l’ultimo anno, per “decostruire lo Stato amministrativo”, eufemismo dietro al quale si cela il progetto di abolire il patto sociale dello Stato liberale e sostituirlo con uno a immagine somiglianza del nuovo capitalismo tecnologico.
Elon Musk, Jeff Bezos di Amazon, Sam Altman di Open AI, Tim Cook di Apple, Sundar Pichai di Apple e Mark Zuckerberg di Meta hanno controfirmato il governo che esibisce apertamente la concezione feudale del potere di un presidente, che nel suo primo discorso ha annunciato la propria investitura divina (“sono stato risparmiato da Dio per rendere grande l’America”).
Il diritto divino reintrodotto nel progetto repubblicano, nato 249 anni fa come negazione dell’assolutismo monarchico della corona, era stato anticipato giuridicamente da una Corte suprema disposta a concedere immunità plenaria e preventiva alla carica presidenziale. E vi sono buone ragioni per far risalire il dirottamento degli Stati Uniti sull’attuale binario post-democratico alla conquista ideologica della Corte nel 2016, quando i repubblicani impedirono a Barack Obama di nominare un togato dopo la scomparsa dell’arciconservatore Antonin Scalia.
La super maggioranza reazionaria, successivamente consolidata con le tre nomine dello stesso Trump, è fautrice di un immaginario “originalismo”, che propugna la lettura “letterale” della Costituzione. Più in generale, il progetto per l’occupazione conservatrice del sistema giudiziario (tribunali federali e corti d’appello, oltre alla Corte suprema) fa capo alla Federalist Society, fondata fra gli altri da Scalia, gesuita e vicino all’Opus Dei. L’associazione rappresenta l’incontro fra le istanze politiche conservatrici e l’integralismo religioso, fautore di una radicale revisione storica della fondazione come progetto essenzialmente teocratico.
Assieme all’anarco-capitalismo tecnologico, gli “originalisti” sono parte di una coalizione che ha trovato in Trump l’utile messia, appunto, per consolidare il potere in una parabola ora completa con il secondo mandato, dopo che il paese ha fallito nei tentativi – giuridici e politici – di espellere il corpo estraneo. Il messianesimo tecnologico espresso dal movimento neo-reazionario della Silicon Valley e quello biblico delle sette avventiste condividono il fanatismo e il rifiuto della modernità, a cominciare dai diritti civili che tanto hanno plasmato lo scorso secolo americano (e anche prima, a partire dalla guerra civile).
Il razionalismo in soffitta
Entrambe le componenti aspirano ad azzerare il percorso controculturale compiuto dal ’68 e in realtà a un’involuzione ancora più ambiziosa, che rimetta in questione i cardini illuministi del razionalismo e della laicità. Entrambe hanno accettato l’alleanza con una cleptocrazia dinastica che ha sdoganato una corruzione precedentemente impensabile, di stampo, se vogliamo, più “uzbeko” o “italiano” che non anglosassone.
I tycoon del silicio sono fantasticamente ricchi, e per Trump la ricchezza è sempre stato un ostentato simbolo di successo. Nella sua reggia kitsch di Mar-a-Lago il presidente ama sfoggiare i nuovi soci politici come trofei. “Ho portato due degli uomini più ricchi del mondo” – avrebbe detto di recente, presentandosi a un incontro con lo staff in compagnia di Elon Musk e di Larry Ellison, AD di Oracle – “voi chi avete portato?”.
A incarnare il ruolo primario degli accelerazionisti della Silicon Valley nella restaurazione di Trump è ovviamente Elon Musk, già fautore, come si sa, della trasformazione di Twitter in un micidiale aggregatore di consensi e di propaganda virale. L’imprenditore sudafricano, divenuto istigatore suprematista e ideologo liberista, avrà in dotazione personale il nuovo dicastero per “l’efficienza del governo” (DOGE, Department of Government Efficiency), con il quale si appresta a decimare la spesa pubblica e a devastare ciò che resta del welfare state. Da proconsole rottamatore potrà invece incrementare strategicamente il precariato endemico su cui è costruita la gig-economy.
Ma Musk ha ricoperto anche un ruolo più importante, contribuendo a plasmare il nuovo Governo quasi quanto la Heritage Society (il think tank ultra liberista che ha stilato il documento programmatico di Trump, “Project 2025”). Nei mesi trascorsi dall’elezione, un organico “trapiantato” in Florida dalle aziende di Musk ha contribuito a definire direttamente molti quadri del Governo.
Fra i personaggi chiave c’è Jared Birchall, amministratore della Neuralink, la società di Musk preposta agli impianti cyber-neurologici, che è anche amministratore delle finanze personali e generalmente braccio destro del magnate, incaricato degli affari di famiglia, della fondazione, oltre che dei beni immobili, dei viaggi e della sicurezza di Musk. Alle sue mansioni si sono aggiunti i colloqui con potenziali funzionari del Dipartimento di Stato. Il fatto che Birchall non abbia esperienza in affari internazionali non è evidentemente stato ritenuto un problema in una selezione che, come per gli altri dicasteri, sembrerebbe vertere soprattutto sulla lealtà dei candidati e sull’efficienza “aziendale”.
Fra i consulenti prestati a Mar-a-Lago provenienti dall’orbita Musk, vi sono poi Shaun Maguire, un fisico di Caltech diventato miliardario come partner della Sequoia, fondo di investimenti della Silicon Valley, e Marc Andreesen, il miliardario fondatore di Netscape e fautore convinto di un liberismo radicale e della minima interferenza dello Stato negli affari delle corporation.
Grazie all’alleanza strategica stretta con Trump, un sodalizio maturato davvero solo nelle ultime fasi della campagna elettorale, questo ristretto gruppo di imprenditori radicalizzati dal successo degli oligopoli della Silicon Valley ha ora l’opportunità di traghettare le filosofie del management (e dell’eugenetica) all’apparato dello Stato. Musk, ad esempio, ha ripetutamente espresso l’idea che l’immigrazione debba essere gestita come una campagna acquisti di “una società sportiva”, tenuta a selezionare i giocatori migliori ea scartare i perdenti, i “loser”, tanto invisi, come è noto, anche a Trump.
Le forbici dei “broligarchi”
Ma l’ossessione principale di Musk è il taglio della spesa pubblica, contro la quale inveisce incessantemente nei post su X come fonte di inflazione e di insostenibili deficit di bilancio. Sono i temi classici della filosofia economica conservatrice che la destra-silicon ha imbevuto però di uno zelo quasi religioso. Musk non perde occasione per specificare che le principali fonti di spese superflue sono programmi come l’assistenza alimentare alle famiglie indigenti, pensioni e sanità. “Inizialmente potrà provocare qualche disagio,” ha perfino ammesso Musk della paventata cura (il taglio di 2.000 miliardi di dollari dalla spesa pubblica, pari a più di un terzo del bilancio dello Stato), “ma alla lunga sarà meglio per tutti”. Una delle prime disposizioni di Trump è stato, a questo scopo, il congelamento delle spese di ogni ministero e agenzia pubblica in attesa di “riesame”.
Nelle intenzioni di Musk e degli altri “broligarchi” (il neologismo usa il prefisso “bro” come significante di goliardia collegiale, distintamente maschile) si profila per lo Stato una cura efficientista, come quelle propinate alle consociate recentemente acquisite tramite hostile takeover, una colossale riforma “aziendalista” per sfrondare superflui e soggetti deboli. È la stessa che questa settimana ha delineato nelle audizioni in Senato Russel Vought, autore del “Project 2025” e membro della Heritage Society, nominato da Trump a capo dell’ufficio gestione del bilancio (OMB). Davanti ai senatori che dovranno ratificare la sua nomina, Vought ha enumerato per ore gli sprechi legati all’assistenza sociale e il “disincentivo alla produttività” di servizi eccessivi come la sanità pubblica. Per ribadire la convergenza di sacro liberismo e di predestinazione divina, Vought è anche fondatore del Center for Renewing America, che sostiene il “rinnovamento dagli Stati Uniti come nazione sotto Dio”. Il ruolo di Vought è cruciale, essendo egli anche un fautore della dottrina dell’impoundment, che permetterebbe al Presidente di rifiutare di spendere fondi pur stanziati dal Congresso, una trasgressione “imperiale” indicativa del tipo di manovra dubbiamente costituzionale che caratterizzerà l’amministrazione Trump.
I monopolisti della Silicon Valley hanno beneficiato negli anni di una carta bianca normativa assoluta allo scopo di mantenere statunitense il controllo di Internet. Le fortune così accumulate dall’attuale plutocrazia digitale suggeriscono paragoni con quelle della gilded age dell’inizio del ventesimo secolo, quando la stratosferica ricchezza dei Rockefeller, dei Vanderbilt e delle grandi famiglie industriali e bancarie sottolineava l’abissale disuguaglianza con i ceti economici subordinati. Ma l’influenza politica, pur notevole, di quei robber barons impallidisce di fronte alla situazione odierna.
Quell’epoca fu il preludio di una stagione di enorme conflitto sociale nel paese, e della creazione, con Franklin Delano Roosevelt, della rete sociale (sanità e pensioni) tuttora in vigore. Oggi però le tensioni generate dalla globalizzazione e dalla dilagante disuguaglianza sociale hanno prodotto un Governo direttamente controllato dai più mastodontici monopolisti partoriti dal capitalismo neoliberista, i quali, in alleanza con un demagogo populista e con le parti più retrive della destra ideologica, quel patto sociale si apprestano a smantellarlo.
Nel loro recente libro Character Limit, Kate Conger e Ryan Mac ripercorrono ciò che è avvenuto nei giorni successivi all’acquisto di Twitter. La liquidazione di 80% degli impiegati “senza conseguenze per l’azienda” ha fatto di Musk una sorta di supereroe efficientista per una nutrita schiera di follower. Ed è questa stessa ricetta che molti si attendono da lui per decimare una volta per tutte lo “Stato profondo”. In queste settimane Musk è stato visto spesso in compagnia di un altro consociato, Steve Davis, uno dei manager nella Boring Company (la società di scavi del gruppo Musk). Secondo il Times, anche Davis, specializzato in taglio di costi, sarebbe stato impegnato in colloqui con altri esperti per “ottimizzare il bilancio federale.” Anche lui probabilmente avrà un ruolo di spicco nel nuovo ministero DOGE.
Non sarà forse possibile replicare i tagli dell’80% di Twitter, ma anche la paradossale riduzione di quasi il 30% della spesa pubblica, che Musk va ventilando, rappresenterebbe una catastrofica apoteosi della guerra dei ricchi contro i poveri. Allo scopo di preparare il terreno, su X è già partita la campagna amplificata da Musk per denigrare gli “scrocconi” dei sussidi pubblici e per la “liberazione” delle aziende dalle “soffocanti burocrazie”.
Privatizzare lo Stato
L’altro impeto è quello delle privatizzazioni, con delega a un altro manager del Team Musk: Shervin Pishevar, direttore e co-fondatore della Hyperloop (l’azienda di capsule supersoniche con diversi progetti in fase sperimentale). Pishevar ha scritto della “opportunità di re-immaginare le funzioni di governo alla luce degli sviluppi economici e tecnologici senza precedenti”. Una frase che sintetizza gli interessi economici e il messianesimo tecnologico prevalenti nella Silicon Valley. Secondo Pishevar, servizi come le poste, la NASA e il sistema penitenziario potranno “giovare immensamente dell’ingegno del settore privato”. Tutto nell’interesse di creare un “futuro allineato con la proprietà e la prosperità”. Una caratteristica degli ultra-capitalisti è come facciano disinvoltamente vanto pubblico di ciò che fino a poco fa, e ancora durante il primo mandato Trump, i partiti padronali avrebbero taciuto e pubblicamente negato.
La graduale privatizzazione dei servizi è parte integrante dei programmi di molti governi liberisti occidentali. Ma i giga-capitalisti intravedono ora l’opportunità di completare l’opera in tempi molto brevi, adottando lo slogan “move fast and break things”. Il motto di Mark Zuckerberg, prediletto dai taumaturghi del tech, verrebbe dunque applicato all’apparato dello Sstato da “reinventare”. Dopotutto anche Project 2025 è basato su di una blitzkrieg per sopraffare la resistenza delle istituzioni (o degli argini costituzionali) e blindare l’apparato senza lasciarle tempo per organizzarsi.
Il progetto di “sfondamento” promette di investire ogni campo, a partire dalla ricerca, la sanità e l’istruzione pubblica, e in alcuni casi, per la verità, è già a buon punto. La rete di CPR, ad esempio (oltre 200 nel paese, ma la deportazione di massa promette di incrementarli), è già appaltata dal Governo ad aziende del complesso “penale-industriale,” società come Corrections Corporation of American e Geo Group, pagate per detenuto, e i cui titoli in borsa sono schizzati alle stelle il giorno dell’elezione di Trump.
Ma la riverita “disruption” dovrà estendersi all’intera società. Quella che Pishevar eufemisticamente definisce la “ristrutturazione rivoluzionaria delle istituzioni pubbliche” seguirà il noto copione del loro sabotaggio e definanziamento in vista della sostituzione con imprese di “management” e, quindi, di un mastodontico trasferimento di fondi pubblici in casse private. Molto verrà presumibilmente attuato per decreto, ma all’occasione Trump e i suoi sponsor dispongono di entrambe le camere del Parlamento e di una super maggioranza reazionaria sulla Corte suprema – una convergenza di proposito e potere che non ha precedenti.
Sempre nel quadro dell’innovazione, è stata significativa una nomina passata in parte sotto al radar, quella di David Sachs alla carica inventata di “zar per le criptovalute e l’intelligenza artificiale”. Venture capitalist e vecchia conoscenza di Musk dai tempi della PayPal, Sachs è fra i sudafricani con un ruolo fuori misura nell’ala silicon-reazionaria. Roelof Botha (nipote dell’ultimo ministro degli Esteri del regime di apartheid, Pik Botha) è un investitore con la Sequoia (la stessa di Shaun Maguire), Patrick Soon-Shiong è il proprietario del Los Angeles Times che ha vietato l’editoriale pro Kamala Harris della propria redazione e ha da poco annunciato un algoritmo AI per “correggere” i pregiudizi progressisti dei suoi redattori.
Fra tutti i digital tycoon con legami all’emisfero australe, è però sicuramente Peter Thiel ad avere il profilo maggiore. Legato al think tank anarco-capitalista Property & Freedom Conference e al gruppo Bilderberg, il magnate cresciuto in Namibia da famiglia tedesca non è solo sostenitore di Trump, ma è stato finanziatore e mentore della carriera di JD Vance, della cui nomina a vicepresidente si è fatto sponsor e garante diretto. Anche lui membro originario della PayPal mafia, Thiel ha studiato a Stanford dove fondò il giornale dei giovani conservatori, ed è oggi eminenza grigia del culto neo-reazionario della Silicon Valley. Il mese scorso, in un’intervista con Bari Weiss, ha paragonato gli ultra-capitalisti tecnologici che hanno portato Trump alla vittoria ai partigiani della resistenza che in Guerre stellari abbattono l’Impero (un’analogia in cui presumibilmente Biden ricoprirebbe la parte di Darth Vader.)
Thiel è famigerato per aver teorizzato che la “democrazia non è più compatibile con la libertà”, affermazione indicativa delle filosofie radicali che animano il culto reazionario della Silicon Valley, fra cui l’idea stessa che ai capitani di industria e dell’innovazione competa la progettazione di una società plasmata dalle loro tecnologie. È un’idea animata in parte da Ayn Rand, l’autrice visceralmente anticomunista che negli anni 30 aveva guadagnato un nutrito seguito con romanzi che facevano elogio dell’individuo geniale e imprenditore, e l’apologia di un libero mercato misticamente benefico. Negli eroi randiani i signori delle start-up si specchiano istintivamente, ma gli aspiranti “disruptor” della democrazia (considerata orpello arcaico e inefficiente) si ispirano anche a uno specifico retroterra teorico.ù
Suprematismo morale e guerra permanente
Come per i reggenti-filosofi della Repubblica di Platone (altro testo frequentemente citato nei forum di riferimento), l’assunto è, ad esempio, che i demiurghi del software, in quanto depositari della conoscenza e dell’innovazione, abbiano anche il diritto/dovere di plasmare la “società morale”. Nella costellazione di referenti ideologici vi sono poi Heidegger e Leo Strauss, teorizzatore della modernità come deviazione aberrante dalla tradizione occidentale classica. È in questa idea, recuperata e ampliata da filosofi molto in voga nella destra della Silicon Valley come Curtis Yarvin, che si deve cercare la “teoria generale” dei miliardari neo-reazionari e la ragione di una loro affinità naturale con le ascendenti destre populiste.
In un saggio intitolato Straussian Moment, Peter Thiel descrive un conservatore come qualcuno che non si fa illusioni su di un’umanità benevola ed è invece cosciente che solo la violenza preventiva nelle mani di Stati nazione “pre-illuministi” possa prevenire il caos. E di violenza Thiel oltre che teorizzatore è anche praticante. Oltre a guidare la Santa alleanza contro “l’establishment”, è infatti titolare della Palantir, azienda di data analytics e intelligenza artificiale dalle molteplici applicazioni militari (la società prende il nome dalle pietre divinatorie del mago Sauron nei libri di JRR Tolkien). Il controllo dell’intelligenza artificiale, come è noto, sarà cruciale per la prossima fase capitalista e geopolitica, e il connubio Trump-giga oligarchi si è dunque consumato anche nell’ottica di una nuova corsa agli armamenti AI, soprattutto contro l’arcirivale cinese.
Fondata nel 2003, la Palantir ha inizialmente fornito reti neurali e algoritmi per l’analisi di dati ad agenzie di intelligence e poi a reparti speciali dell’esercito. Oggi è leader delle applicazioni militari della AI che fornisce anche a molti clienti globali. Sempre, si intende, quelli dalla parte “giusta”. L’AD della società, Alex Karp, è un agguerrito sostenitore di Israele e fautore del nuovo manicheismo globale a guida statunitense. “Dobbiamo spiegare agli Americani che il mondo è diviso in due parti e che una di queste è dominata da terroristi che hanno mire per il dominio dell’Occidente”, ha affermato in una recente conferenza del Reagan Institute.
Nel Karp-pensiero la supremazia tecnologica si accompagna senza soluzione di continuità alla superiorità morale dell’Occidente americano. E il suprematismo è inscindibile dalla logica della guerra permanente (che corrisponde dopotutto al business model aziendale). Karp afferma che “gli Americani sono il popolo più timorato, equanime, meno razzista e ben disposto al mondo. Allo stesso tempo vogliono far sapere che se tu ti svegli la mattina pensando di farci del male, catturarci come ostaggi o spedirci il Fentanyl per ucciderci a casa nostra, qualcosa di molto brutto succederà a te o a tuo cugino, alla tua amante o alla tua famiglia”.
Le farneticazioni da dottor Stranamore degli algoritmi per Karp sono una consuetudine. “Abbiamo la tecnologia migliore e così deve rimanere”, dice in un altro video. “Non possiamo permetterci l’equivalenza con nessuno, perché i nostri avversari non hanno i nostri scrupoli morali. I nostri nemici devono svegliarsi impauriti e andare a dormire terrorizzati”. Sionista convinto e sostenitore di Netanyahu, Karp ha messo la “superiorità morale” della sua azienda a servizio dell’IDF nella campagna contro Gaza, e ha sperimentato la propria intelligenza artificiale nel teatro ucraino. Nella nuova “pax americana digitale” di Karp, Stranamore incontra Terminator in uno scenario in cui i cieli “nemici” sono perennemente solcati da satelliti Starlink (la consociata Musk ne ha in orbita già 6.500) e da molti altri armati di missili.
Due settimane fa 166 membri dell’ONU hanno votato una risoluzione auspicando un trattato sulle armi “intelligenti”, i cosiddetti robot assassini, dotati di “autonomia decisionale”. Il trattato è solo “auspicato” perché gli Stati Uniti sono contrari a qualunque limitazione obbligatoria. In realtà, la proliferazione di armi intelligenti è già a buon punto, e rimarrà una principale priorità della prossima Casa bianca. Anche “l’emergenza energetica” dichiarata da Trump (in un momento in cui non vi è alcuna emergenza) va letta nell’ottica di assicurare (immense) fonti energetiche necessarie ad alimentare il boom dei data center per l’intelligenza artificiale.
Nei quartieri generali del nuovo complesso militare industriale digitale nella Silicon Valley è già a buon punto il lavoro per assicurare la supremazia USA anche nello spazio e negli oceani, dove incrociano già “sciami” di robot-sommergibili autonomi, prodotti da un’altra azienda leader del settore, la Anduril (anche questo nome preso dal Signore degli anelli, stavolta la spada di Aragorn). Scenari sempre più frequenti in cui il transumanesimo dei giga-capitalisti sconfina nel post-umano.
Il modello potrà ora venire definitivamente consolidato da una Casa bianca in cui ideologia reazionaria e interessi industriali saranno infine sovrapposti senza distinzione, un Governo composto in parti uguali da ideologhi apocalittici e costruttori di armi, che nello studio ovale avranno un socio di affari a pieno titolo.
Qui il PDF
Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *
Nome *
Email *
Sito web
Do il mio consenso affinché un cookie salvi i miei dati (nome, email, sito web) per il prossimo commento.