La vittoria alle presidenziali francesi del socialista François Hollande, oltre a costituire un’importante svolta per le sorti dell’Europa e della sinistra europea, può essere letta come una vittoria (o un ritorno) della politica. Una prima prova di ciò è presente proprio nelle proposte di Hollande che, criticando gli eccessi rigoristici di Berlino, ha un programma diverso per risolvere la crisi. Un programma che punta sugli investimenti e sulla crescita e non sul taglio alla spesa pubblica e al welfare, che mira a tassare i grandi patrimoni e le transazioni finanziarie e non a difendere gli interessi delle banche. Uno degli elementi che ha caratterizzato la politica occidentale negli ultimi anni è stata la sua arresa al mondo del mercato e dell’impresa. La democrazie si è fatta mercato nelle sue logiche, nei suoi obiettivi, nel suo lessico. L’elogio della concorrenza, il mito del consumatore che ha sostituito il cittadino, la diminuzione dei servizi, fanno tutti parte dell’egemonia dominante a cavallo di secolo. Lo Stato si è fatto esso stesso azienda e, come tale, lo scopo della politica è diventato quello di ridurre i “passivi” per far quadrare i conti. Per questo, al posto dei politici, sono emerse figure simili agli amministratori delegati, ai manager, in grado di tagliare, ridimensionare, dismettere. È in questa logica, fortemente spinta dall’Europa, che si è assistito al trionfo del tecnico contro il politico; un fenomeno che altrove ha trovato profeti nella politica e in Italia ha preferito lanciare i professori, e non solo quelli dei governi tecnici. Con la vittoria di Hollande, invece, il quadro muta. La politica ritrova il sopravvento sull’economia ed è lecito auspicare che, sull’onda del successo francese, anche in Italia e Germania, l’idea di affermare in termini sostanziali la democrazia, torni a prevalere. Il forte legame tra la politica e l’economica che ha caratterizzato la parabola postdemocratica, ha favorito l’emergere di leader connotati dalla forte critica alla politica, magari provenienti dal mondo dell’impresa, o comunque affini ai poteri forti dell’economia e legati, nello stesso tempo, ai mass media. Due leader come Berlusconi e Sarkozy, che per ragioni diverse hanno incarnato questa tendenza, nel volgere di pochi mesi sono stati sconfitti. Resta da chiedersi però se è stato sconfitto anche il sarkoberlusconismo o se esso continuerà, sotto altre forme, ad influenzare le vicende politiche. Un altro elemento che riconduce la vittoria di Hollande ad un dimensione squisitamente politica è dato dalla sua biografia personale. Il nuovo presidente della Francia è, infatti, un politico di professione, formatosi nella Scuola Nazionale d’Amministrazione, con un profilo d’apparato o, per dirla con Weber, burocratico. L’opposto, insomma, del politico carismatico. Una vita intera dedicata alla politica e uno scarso appeal mediatico non gli hanno impedito di conquistare l’Eliseo, cosa che non riuscì nel 2007 a Ségolène Royal, sicuramente più incline al leaderismo e alla comunicazione. Un monito per l’Italia, dove invece è sempre in corso, e ricca di potenti ispiratori, la caccia alle streghe contro politici e uomini di partito. Infine un ultimo elemento, che non è nell’agenda del Partito Socialista francese, e che riguarda il sistema politico. La Francia è un paese nel quale, con il presidenzialismo, si manifesta pienamente la personalizzazione sia del potere che della politica. L’esito deludente dei cinque anni di Sarkozy, principale causa della sua sconfitta, dimostra però che non basta l’uomo forte, il leader carismatico, dotato di ampi poteri, di grandi maggioranze, di seguito del popolo, per risolvere la complessità della politica. Il presidenzialismo, di per sé, non genera miracoli. La società produce conflitti sempre nuovi, che difficilmente possono risolversi nella solitudine del capo, ma necessitano di maggiori articolazioni, di mediazioni, per essere rappresentati e per trovare esiti efficaci. Il sistema politico (e quello elettorale) francese, da questo punto di vista, non offrono molte soluzioni, anzi. Pensare di ridurre la complessità sociale con quella elettorale (utilizzando uno dei sistemi elettorali meno rappresentativi come il maggioritario a doppio turno) e con quella sistemica del presidenzialismo, vuol dire curare un corpo con una medicina che lo rende più debole e soggetto a mali più gravi che spesso degenerano, come si è visto, nell’estremismo di destra. Insomma, l’idea di un profonda riforma istituzionale sarebbe da prendere sul serio in considerazione altrimenti le stesse chances per i socialisti sarebbero compromesse. Per Hollande i buoni propositi ci sono tutti, ma i problemi che si pongono sono molteplici. Intanto aspettiamo l’esito delle legislative. Sarebbe opportuno ricevere un secondo segnale. Francesco Marchianò
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