Articolo pubblicato su “Pressenza” il 14.11.2024.
È da 25 anni che vivo in Danimarca sono partita dopo aver finito gli studi di storia a Ca’ Foscari. Sono prof.ssa associata all’Università di Aalborg, che è proprio sulla punta della penisola danese, dopo Amburgo sono circa 600 km a nord, infatti è l’università più a nord della Danimarca. Il mio progetto di dottorato era sulla destra radicale perché la mia grossa sorpresa arrivando nei paesi scandinavi, come italiana e come sud-europea, è stata la scoperta di un profondo nativismo, di una forte omogeneità culturale della Danimarca, da una parte, e di una forte reazione contro gli immigrati e l’idea della cultura minacciata dalla diversità culturale, cioè dal multiculturalismo, dall’altra. Ho visto la reticenza di dividere la ricchezza con chi contribuisce al benessere della società gli immigrati, appunto.
Quindi una situazione alquanto diversa rispetto alla Svezia?
Sì, allora sì, ma adesso la Svezia si è avvicinata alle posizioni danesi. Per tanti anni mi invitavano in Svezia a parlare della destra radicale danese e degli sviluppi che c’erano in Danimarca proprio con l’intento che non si creassero le stesse condizioni in Svezia. Purtroppo dopo il 2015 quella è stata la via intrapresa, con un’opinione pubblica che si è espressa a destra; anche la richiesta elettorale ha puntato su partiti che hanno dal punto di vista storico delle radici estreme, addirittura, naziste per la Svezia. In Danimarca non si è arrivati a tanto, cioè non c’è una matrice nazista, e questo ha facilitato l’ingresso in Parlamento di questi partiti.
Ti risulta che la destra radicale scandinava stia influenzando pesantemente il Parlamento europeo?
La socialdemocrazia danese ha cooptato diverse delle posizioni che 10-15 anni fa erano quelle dei partiti di destra radicale, le ha portate all’interno del Parlamento europeo e le ha sdoganate come socialdemocrazia. Adesso il grosso pericolo è quello che avverrà con le prossime elezioni in Germania. Tanti colleghi tedeschi, organizzazioni tedesche, anche affiliate alla SPD, mi chiedono un resoconto delle politiche che vengono applicate in Danimarca e che sono appoggiate dalla socialdemocrazia danese in un governo di larghe intese con i moderati e il Partito liberale. La Danimarca è uno dei paesi in Europa che ha le politiche più restrittive dal punto di vista dei rifugiati politici e anche dal punto di vista degli immigrati di seconda e terza generazione non occidentali nel paese.
Veniamo al tema di questi giorni: le prospettive di genere in Europa e altrove.
Al mio percorso di ricerca ho aggiunto quasi subito la prospettiva di genere perché una delle cose interessanti dei partiti di destra radicale è stato proprio il ruolo principale delle donne. Le donne a capo dei partiti di destra in Danimarca è stato un fenomeno che data molto prima di Meloni, parliamo dei tempi di Umberto Bossi, le donne sono state usate nei partiti di destra, ovunque, in modo strategico per avvicinarsi all’elettorato con una facciata rispettabile. Ma anche quando si parla di Trump ci sono implicazioni di genere e sono state queste che mi hanno avvicinata allo studio di “Project 2025” anche incentivata da discussioni con colleghe che fanno mappatura di tutte le organizzazioni di estrema destra, di queste frange estreme che sono vicine all’amministrazione Trump.
La presidenza Trump ha legittimato pratiche, discorsi che prima non si usavano apertamente con tanta leggerezza: i discorsi razzisti, le frasi piene di odio, gli slogan contro le donne. Ha aperto un vaso di Pandora da cui è uscito di tutto, anche tanta misoginia.
Non è il solo, ha avuto in Europa chi l’ha anticipato. All’interno delle destre radicali populiste, c’è stata la tendenza a normalizzare o a legittimare un determinato tipo di discorso, di retorica ma anche di politiche. In Italia i vari governi, in cui c’è stata la Lega e anche Alleanza Nazionale ai tempi di Berlusconi, hanno anticipato altri sviluppi nel resto d’Europa.
Per quanto riguarda gli Stati Uniti, hanno una genealogia di partiti di destra radicale e anche di nativismo che ha radici storiche profonde. Ricordiamoci i movimenti tra 1800 e 1900 contro gli immigrati, tra l’altro anche italiani, che dopo i neri americani sono la minoranza che ha subito più linciaggi nella storia del paese. Pensiamo poi a tutte le iniziative contro gli asiatici, ad esempio, implementate da politiche sull’immigrazione che imponevano delle quote su quanti cinesi dovessero entrare negli Stati Uniti, quindi se guardiamo alla storia le prospettive cambiano.
Il fatto è che ci sono politiche che potrebbero creare delle dighe a quanto sta accadendo negli Stati Uniti ma anche in Europa. Ci troviamo di fronte a gente che è molto disaffezionata alla politica e che non si sente rappresentata ma forse anche legittimamente. Basta guardare a quanto accade negli Stati Uniti, ad esempio nella Rust Belt, e in tutte quelle zone post-industriali per cui non c’è stato un piano industriale o una politica economica che aiutasse le persone a venire fuori da situazioni di forte crisi. Infatti anche in Europa e in Scandinavia si parla di scissione fra i centri urbani, tendenzialmente più progressisti, che votano a sinistra, sensibili ai diritti per gli immigrati, per le donne, per le comunità lesbiche-omosessuali-transgender, mentre nelle periferie si trovano altre posizioni. Nessuno nega il fatto che ci siano delle aree segregate, dove c’è una forte presenza etnica, dove il problema è la povertà, ma questa viene occultata convenientemente e convertita in un problema di etnia e di religione.
Alla luce di tutto questo, è stata una scelta politica di successo convogliare legittime aspirazioni, ma anche necessità economica, in una serie di valori, in una cultura, che ha alimentato discriminazione, razzismo, il sentire l’altro come una minaccia, una minaccia al tuo lavoro o al tuo welfare o al tuo genere. Ad esempio, è emerso che in questi anni, nelle società scandinave che abbiamo sempre considerate come un modello per il regime di genere, l’opinione pubblica pensa che l’equità di genere sia andata troppo avanti, che abbia superato i limiti, che ormai ci siano tutte le premesse per cui non si debba fare nient’altro, quando in realtà i fatti ci dicono che il gap è ancora presente, che c’è ancora molto da fare.
Nel tuo intervento hai parlato a lungo del Project 2025 dell’influenza che avrà nelle politiche conservatrici e anti-gender non solo americane.
Nel 2023 la Heritage Foundation ha deciso di scrivere The Mandate for Leadership, una road map, per l’amministrazione Trump con la precisa idea di avere tutto sotto controllo. Non è l’unica road map scritta dai conservatori, ma secondo me questa è quella che avrà maggiori possibilità di successo, perchè molte delle associazioni, istituzioni, think tanks che sono coinvolte nella scrittura del progetto sono organizzazioni vicine a Trump, infatti, erano parte dell’amministrazione Trump nel periodo dal 2017 al 2021. Nel Project 2025 si tratta di far convergere tutte le forze ultra-conservatrici americane, ma anche quelle europee a partire da Viktor Orbán che ha creato le sue think tank per riuscire a divulgare determinate posizioni. Orbán ha fatto vedere come si può lavorare all’interno di una liberal-democrazia e svuotarla di quelle misure che la mantengono, ad esempio la divisione dei poteri, il diritto a esprimersi, il diritto della stampa nell’esprimere posizioni contrarie al governo.
Il Project 2025 sono poco meno di mille pagine in cui c’è tutta la politica interna, la politica economica, la politica sulla salute e la sanità, la politica estera. Soprattutto i finanziamenti agli aiuti internazionali, i finanziamenti per lo sviluppo, per cui gli USA sono uno tra i principali donatori, arriveranno in modo estremamente vincolato, e lo sarà ancora di più. Questi finanziamenti sono diventati ormai una forma consolidata di controllo indiretto sulle politiche di quei paesi, sulla riproduzione, sulla famiglia e sui diritti, sull’educazione sessuale, sui transgender, cioè tutte quelle politiche di cui si pensava di aver ottenuto dei primi successi invece lo scopo è quello di riconvertire tutto. Questi network ultra-conservatori che tentano di riportare il mondo indietro, sono network che collaborano da tempo, che sanno quali sono i loro punti di forza, sono ormai ben collaudati.
Oggi il problema è che un’istituzione come quella europea è bloccata. Dov’è l’Europa? Io non vedo la volontà di procedere con una risposta credibile, rimane la società civile, quella più capace di dare risposte e direzione. Per quanto riguarda invece un’istituzione importante come l’università, è un’istituzione dipendente da fondi pubblici che sono sempre più risicati. Anche all’interno delle nostre istituzioni c’è un tentativo di zittire oppure di mettere la museruola a chi è troppo critico, non solo, le voci critiche degli studi di genere, post-coloniali e quelli sul razzismo sono stati quelli che in tutti i paesi, incluso il Nord Europa, hanno sofferto di più, dove ci sono stati i tagli di fondi, licenziamenti, adducendo l’idea che si tratti di pseudoscienza. Invece abbiamo sempre più bisogno delle facoltà dove si fa critica sociale, degli studi critici; le nostre società sono attraversate da questa dimenticanza della storia recente, vedi il fascismo, questo non creare i collegamenti, questo vedere le cose come una fotografia dell’immediato, io trovo sia questo il problema delle nostre società.
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