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Domenica pomeriggio, ci ha lasciato Grazia Zuffa, per molti di noi una maestra.

Dal 2006 componente del Comitato nazionale di bioetica. Psicologa, femminista formatasi a Firenze tra movimenti e Partito comunista italiano, eletta in Consiglio comunale. Poi senatrice dal 1987 al 1994.

La famiglia, che abbracciamo è qui, il marito Franco Corleone, la figlia Irene, suo marito Aaron e gli amatissimi nipoti Leonardo e Ulisse. Ieri abbiamo potuto salutarla nella sala Caduti di Nassirya dove era allestita la camera ardente, grazie all’accoglienza del Senato.

La stessa sala dove qualche settimana fa, ospite della Vicepresidente Anna Rossomando, Grazia Zuffa aveva tenuto la sua ultima conferenza stampa per le detenute madri, a sostegno della campagna “madri fuori”, da lei lanciata.

Gli anni da senatrice sono quelli della svolta proibizionista e punitiva sulle droghe. Grazia, con il rigore e l’intelligenza che ne formavano la cifra distintiva, stringeva rapporti con le comunità di accoglienza guidate don Luigi Ciotti, il gruppo Abele, e spendeva argomenti di opposizione che si intrecciavano con quelli dei radicali, dei Verdi, tra cui il suo Franco Corleone, qui conosciuto, e della Sinistra indipendente, dtra cui Franca Ongaro e Pierluigi Onorato.

Negli ultimi, nei più fragili, dove – quando va bene – si vedono solo deboli da tutelare, Grazia vedeva soggetti che hanno competenze e sapere sulla loro condizione.

L’impegno istituzionale si nutriva di confronti scientifici e pratiche sociali in ogni contesto e in ogni parte del mondo.

Abituata a fare politica con il pensiero e con l’azione ovunque si trovasse, dopo l’esperienza parlamentare promosse un forum permanente sulle politiche sulle droghe, quel “Forum droghe” intorno a cui si aggregò gran parte del mondo antiproibizionista e per la sperimentazione delle politiche di riduzione del danno, da Giancarlo Arnao a don Gallo e la Comunità di san Benedetto al porto, e da cui nacque la rivista fuoriluogo.

Lì, al Forum, lavorando con lei ho imparato tantissimo di quel poco che so.

Da quell’impegno sulla riduzione del danno, sulla libertà e la responsabilità delle persone verso se stesse e verso le prossime, venne il suo libro I drogati e gli altri (Sellerio) e una parte della sua ricerca bioetica, insieme a quella sulle tecnologie della riproduzione assistita, su cui ha scritto il fondamentale L’eclissi della madre (Pratiche ed.), con Maria Luisa Boccia.

Nel Comitato nazionale di bioetica ha dato contributi importanti, in particolare sull’autodeterminazione delle donne, di cui ha sempre sottolineato la dimensione etica.

In un ultimo articolo per la “Rivista di biodiritto”, dopo la sentenza Dobbs della Corte suprema americana, ribadiva la necessità di rispettare l’autonomia della scelta delle donne e riconoscere l’opera della madre quando sceglie di metterci al mondo, e offrirle per questo la gratidudine che merita: è questo il giusto posto che le è stato negato e anche il “gancio etico”, come usave dire, che costituisce un vantaggio per uomini e donne.

Ma ancora sui temi della salute in carcere, sul superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari e della cultura manicomiale.

Ogni cosa che Grazia diceva e scriveva era frutto di conoscenze maturate nel confronto diretto con scienziati di fama internazionale, gruppi di attivisti e associazioni di utenti dei servizi, tutte e tutti ascoltati e interrogati con la medesima attenzione. Ogni cosa che avesse a che fare con la libertà relazionale la interessava e poteva diventare oggetto di studio o di impegno, dalla condizione femminile nelle carceri, cui ha dedicato due libri, alle nuove pratiche della giustizia riparativa.

Come ha scritto il costituzionalista Andrea Pugiotto, ricordandola ieri su L’Unità, le persone che sono state generose non scompaiono.

In tanti continueremo a percorrere le orme che ha lasciato.

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