Sarà possibile seguire l’iniziativa in diretta sulla pagina Facebook del CRS: https://www.facebook.com/CRiformaStato
Qui la locandina con il programma completo
Ore 9:30 – Introduzione e saluti di Maria Luisa Boccia, presidente del CRS
Ore 10:00 – L’Europa e la guerra
Relazioni di Paola Caridi, Pasqualina Napoletano
Interventi di Ida Dominijanni, Marco Montelisciani, Alberto Olivetti
Ore 11:30 – Gli alberi e il bosco della lotta contro il Climate Change
Relazioni di Alessandro Montebugnoli, Marino Ruzzenenti, Guido Viale
Interventi di Andrea Fantini, Elisa Lillo, Nicolò Savarese, Duccio Zola
Ore 14:00 – Conflitti e regole nell’Europa digitale
Relazioni di Marco Ciurcina, Giulio De Petra
Interventi di Piero De Chiara, Dario Guarascio, Teresa Numerico
Ore 15:30 – La crisi democratica tra autoritarismo e nuove autocrazie
Relazioni di Gaetano Azzariti, Michele Prospero
Interventi di Francesca Angelini, Michele Della Morte
Ore 17:00 – Sintesi attività e approvazione del bilancio (riservata ai soci)
Programma delle sessioni
L’Europa e la guerra
Relazioni di Paola Caridi e Pasqualina Napoletano
“Insieme ma ognuno per sé”, in sintesi, questo ossimoro descrive bene lo stato delle cose nell’Unione Europea verso le elezioni del prossimo 8 giugno.
Le guerre dominano l’intero scenario, non solo quelle già terribili in atto e che hanno tra loro relazioni che approfondiremo, ma anche quelle che alcuni già preconizzano come ineluttabili, che prefigurano scenari ancor più foschi e giustificano scelte che vanno verso una vera e propria “economia di guerra”.
L’Europa oscilla tra la ricerca di una autonomia strategica e il terrore di un cambio al vertice dell’amministrazione USA; si accavallano proposte formulate in modo estemporaneo quale quella di istituire un” Commissario alla difesa” o, come suggerisce il presidente Macron, di entrare ancor più in guerra inviando direttamente truppe in Ucraina, cui ha fatto eco il bellicoso discorso pronunciato dalla presidente von der Leyen il 28 febbraio di fronte al Parlamento; si sbloccano i 55 miliardi del bilancio europeo pluriennale per il sostegno all’Ucraina ma nel frattempo Francia, Germania, Italia, seguendo l’esempio del Regno Unito, stipulano accordi bilaterali decennali con il presidente Zelenzky senza informare i rispettivi parlamenti.
Intanto, nessuna seria proposta che possa porre fine alle guerre, o quanto meno ai combattimenti è stata pensata, costruita, formulata da parte dell’Unione europea; al contrario, le plateali divisioni sono state messe in scena alle Nazioni Unite, riuscendo a dividersi come europei sul cessate il fuoco a Gaza in tre posizioni diverse, con l’astensione del Governo italiano.
Lo stesso Parlamento europeo ha seguito più o meno pedissequamente le posizioni dei rispettivi Governi rinunciando a quel ruolo di stimolo che in altre stagioni pur aveva esercitato. Ci sono voluti più di 30.000 morti a Gaza per spingerlo a pronunciarsi per un cessate il fuoco permanente.
La politica di “sicurezza” viene declinata esclusivamente in termini repressivi e aggressivi, ciò si riflette in tutte le politiche a cominciare da quelle dell’immigrazione fino alla negazione di alcune libertà e al ricorso a censure che toccano l’ambito dell’espressione artistica e culturale.
Tutto ciò contribuisce a determinare un crescente isolamento dell’UE dal resto del mondo e porta alla perdita di credibilità dei suoi stessi valori fondativi.
La nostra assemblea vuole contribuire alla costruzione di un altro punto di vista, insistendo sulla proposta di una nuova Conferenza di Helsinki sulla sicurezza europea, già avanzata nell’assemblea del 2022 e su una analoga Conferenza per la pace in Medio Oriente.
Buttare a mare il diritto e consegnarsi alle ragioni della forza uccide la dignità dei popoli e delle persone.
Gli alberi e il bosco della lotta contro il Climate Change
Molto si discute, oggi, circa le prospettive del Green Deal Europeo, varato nel dicembre del 2019. Da allora molte cose sono accadute: la pandemia, che per un attimo ha allentato la pressione antropica sul pianeta terra; il rapido emergere della Cina come paese leader in materia di tecnologie ambientali, anche per questo divenute ‘convenienti’ molto prima di quanto si pensasse; la tardiva ma consistente assunzione di iniziativa da parte degli USA leggibile nell’Inflation Reduction Act, per altro segnata da intenti protezionistici tutt’altro che ‘ecologici’; la moltiplicazione di proteste che hanno mostrato quanto forte possa essere l’opposizione ‘sociale’ alle politiche ambientali. Il tutto in un quadro geopolitico del quale la crisi ucraina e quella medio-orientale hanno definitivamente sancito la natura di un sanguinoso disordine globale.
Non mancano commenti che tendono a mettere in luce come l’impegno ambientale dell’Unione abbia finora resistito meglio che in passato all’inasprirsi delle turbolenze di ordine globale. Emblematico, in questo senso, il peso che la cosiddetta transizione ecologica ha assunto in NextGenerationUE. Tuttavia, sebbene sia lecito e utile, cercare di ricostruire analiticamente il quadro delle opportunità e delle minacce che oggi si profilano, bisogna pure evitare che l’osservazione degli alberi impedisca di vedere il bosco.
Nel Green Deal Europeo l’insieme degli atti e dei documenti disponibili lascia in un penoso stato di vaghezza i nessi di causa-effetto dai quali gli obiettivi dovrebbero essere legati alle ‘politiche’. Per esempio, l’Emissions Trade System, a tutt’oggi il bulk del Green Deal Europeo, ha prodotto effetti di riduzione delle emissioni che a scala globale sono trascurabili.
D’altra parte, se i nessi di causa-effetto risultano troppo deboli, la ragione ‘profonda’ sta nella pervicace idea che l’imperativo categorico della ‘crescita’ possa essere reso compatibile con il rispetto dei planetary boundaries. E che anzi, proprio la riconversione ecologica dell’economia, al pari della transizione digitale, possa essere un nuovo motore della crescita.
Al contrario, anche a leggere i più recenti rapporti dell’IPCC, crescita e crisi ecologica risultano unite da un nesso quanto mai tenace, che non si lascia annacquare nei termini correnti dello ‘sviluppo sostenibile’. Il congedo dall’imperativo categorico di crescere è quindi la precondizione di qualsiasi discorso serio intorno alla crisi dei nostri rapporti con la madre terra.
Che cosa di meglio hanno da fare i paesi ricchi che continuare a proseguire obiettivi di crescita manifestamente insensati, anche affinché i paesi poveri possano invece perseguirli in modo ragionevole? Quanto la ‘vecchia’ Europa può contribuire a rileggere i problemi sociali ed economici come problemi di civiltà, cioè della creazione di forme di vita, più alte e più civili?
Conflitti e regole nell’Europa digitale
Incapace di confrontarsi sul piano industriale con le big tech di USA e Cina, l’Europa si sta dotando negli ultimi anni di un importante apparato normativo che riguarda la produzione, la commercializzazione e l’uso di prodotti e servizi ‘digitali’.
Digital marketing act, Digital service act, Data Governance Act, Data act e il più recente AI act sono stati terreno di aspro confronto politico nel momento della loro formulazione, con posizioni spesso divergenti tra Commissione, Parlamento e Consiglio.
Oggi, quando è appena all’inizio la fase di effettiva attuazione, queste norme sono tuttavia generalmente considerate nel loro insieme la manifestazione positiva di una ‘via europea’ alla trasformazione digitale capace di superare sia i clamorosi effetti negativi già prodotti dai giganti della Silicon Valley, sia quelli temuti di controllo politico da parte dello stato cinese.
Via ‘europea’ in quanto tale generalmente apprezzata dalla sinistra.
In realtà, così come avviene per gli altri settori, anche per quanto riguarda la trasformazione digitale, fare riferimento alla dimensione europea della regolamentazione non solo non è sufficiente per formulare un giudizio positivo, ma è anche un modo per nascondere contraddizioni e conflitti. Occultamento tanto più grave perché proprio sulla trasformazione digitale opera da tempo negli apparati di governo dell’Europa un pregiudizio positivo, che considera la digitalizzazione un obiettivo desiderabile di per sé.
È necessario quindi entrare nel merito della regolamentazione per individuare limiti, omissioni e contraddizioni che ne ostacolano un possibile efficace utilizzo da parte degli attori sociali che maggiormente subiscono le conseguenze negative della digitalizzazione.
Caratteristiche che anche in questo caso richiedono scelte consapevoli tra direzioni alternative. Ma non è sufficiente. Nel caso delle tecnologie digitali è necessario riconoscere che la regolamentazione deve necessariamente operare soprattutto nei confronti delle big tech statunitensi che già hanno colonizzato tutti i paesi europei e fatto dei cittadini europei i loro preziosi clienti. Ed essere consapevoli di come le grandi piattaforme digitali siano sempre più direttamente coinvolte dagli interessi economici e geopolitici dell’apparato militare USA e delle conseguenze che ne derivano.
E chiedersi allora se oltre alla regolamentazione non sia necessaria anche una dimensione industriale e di ricerca europea autonoma e originale e in quanto tale capace di confrontarsi con i monopolisti digitali già esistenti. In particolare sulla nuova frontiera dello sviluppo dei sistemi di intelligenza artificiale.
La crisi democratica tra autoritarismo e nuove autocrazie
Gli assetti democratici stanno oggi disvelando crepe sempre più evidenti in gran parte d’Europa. Un fenomeno provocato, da una parte, dal progressivo allontanamento di settori crescenti della società europea dalla partecipazione e dalle pratiche democratiche. Dall’altro dall’emersione di una spirale autoritaria sempre più pervasiva e insidiosa: crescita delle destre, declino della cultura dei diritti, compressione degli spazi democratici.
In Ungheria le formazioni di governo hanno riscritto intere parti della Costituzione e smantellato le garanzie democratiche. Nella stessa direzione ha operato anche la destra di governo in Polonia, procedendo a una drastica compressione degli spazi di azione della Corte costituzionale, ponendo la televisione pubblica sotto il diretto controllo governativo, praticando brutali forme di respingimento dei migranti. In Francia sono state varate nuove e drastiche politiche sociali tenendo ai margini il Parlamento e reprimendo le mobilitazioni sociali.
Anche in Italia, il governo delle destre sostenuto da un’ampia maggioranza parlamentare (minoranza numerica nel Paese), ha in questi mesi assunto decisioni politiche che rivelano una congenita avversione nei confronti della cultura dei diritti.
A essere stata posta sotto attacco è innanzitutto la Costituzione, il suo fondamento storico (l’antifascismo), i principi democratici a essa sottesi, il catalogo delle libertà in essa contenuto: dal diritto al dissenso all’esercizio della libertà di riunione e manifestazione in luoghi pubblici. I fatti di Pisa e Firenze e la violenta aggressione scatenata dalle forze dell’ordine contro studenti che manifestavano «pacificamente e senza armi» (art. 17 Cost.) hanno creato sgomento nel paese e innescato una risposta immediata non solo da parte di tanti cittadini che hanno affollato le piazze di numerose città, ma anche da parte delle più alte cariche dello Stato.
Il disinvolto impiego che viene oggi fatto a destra della nozione di “ordine pubblico” è il sintomo più evidente del lento diffondersi nella società italiana di un’ideologia autoritaria che punta a smantellare le pratiche del confronto democratico e gli spazi del sapere critico. Nelle scorse settimane ci si è spinti fino al punto di epurare manifestazioni canore, censurare le performance dei comici in televisione, delegittimare a piè sospinto il pluralismo. A ciò si aggiunga anche la grave spirale repressiva scatenata nei confronti dei diritti del lavoro e, in particolare, del diritto di sciopero.
Di qui il dipanarsi di un quadro politico quanto mai preoccupante, pervaso da un’aggressione sistematica e continua nei confronti della democrazia costituzionale. Un tentativo che oggi le forze di governo ambiscono a portare a compimento procedendo anche a revisioni formali della Carta del ’48. Ci si riferisce al tentativo di instaurare in Italia il “premierato elettivo”: una riforma che non ha alcun riscontro nel diritto comparato e che combinata alle spinte dissolutive innescate dall’attuazione dell’autonomia differenziata rischia di ripercuotersi gravemente sulla capacità di tenuta dei diritti politici e sociali.
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