[1] Biagio De Giovanni, Marcello Montanari, Sentieri interrotti. Lettere sul Novecento, Napoli, Libreria Dante & Descartes, 2011. [2] F. Vander, Essere e non-essere. La Scienza della Logica e i suoi critici, Milano, Mimesis, 2009, p. 122. [3] Ma dice anche che non c’è “un ‘nucleo rovente della merce’” posto a livello di struttura economica, anzi semmai è “la merce ad essere determinata, formata, costruita, inventata, generata dai rapporti di forza” ovvero dal “livello del governo del mercato”, che, tanto per esser chiari, è determinazione ad opera di “culture, abitudini, tipologie dei consumi, indirizzo delle produzioni” (M, 107), ecc. [4] Così merito di Gramsci fu di essere fra i primi a riconoscere in Henry Ford “l’intellettuale che caratterizza il Novecento, in quanto ha riorganizzato il sistema produttivo e la vita sociale americana” (M, 100). Appunto Ford come “intellettuale”, colui che “ha ‘ripensato’ il modo di unificare i lavori”, ecc. Un Gramsci dunque tutto risolto nella dimensione sovrastrutturale. Niente rivoluzione, ma tanta cultura-politica-egemonia. [5] Per la verità De Giovanni ha ben chiaro che Gramsci come tale fu sempre “un pensatore profondamente e radicalmente ‘politico’, nel senso che la sua ‘rivoluzione’ alla fine si concentra nella costruzione di un ‘moderno principe’ capace di assorbire nella sua forza culturale e politica la possibilità di trasformazione del mondo” (DG, 144). [6] Nei Quaderni Gramsci scrive che alle elezioni del 1919 il vero vincitore fu Giolitti, perché riuscì ad imporre una sorta di “costituente senza costituente” che lasciò le cose come stavano, debellando le illusioni di riforma repubblicana dello Stato. I repubblicani e le forze popolari non riuscirono a imporre una “concezione storico-politica concreta, ricostruttiva”. Una lucida “teoria dello Stato” e una tensione politica “ricostruttiva” richiesta alle forze del movimento operaio e democratico-popolari, il contrario dell’assenza di sensibilità istituzionale denunciato da De Giovanni. [7] A. Gramsci, Quaderni del carcere, IV (1930-1932), Torno, Einaudi, 1975, p. 421. Gramsci aggiungeva, agli erranti, anche il “materialismo filosofico volgare” e quanti si erano rifatti a “correnti idealistiche” pre-hegeliane “come il kantismo (Max Adler)”. [8] Ivi, p. 423. [9] Ivi, p. 424. [10] Ibid. [11] Dico mistifica perché la sua dottrina “metapolitica” del liberalismo altro non era che la giustificazione del potere di una elite che si autopromuoveva come “classe non classe”, sinedrio dei migliori e degli onesti, non classe sociale, non partito politico, governo senza alternativa, ecc. Certo si potrebbe fare il paragone con i ‘tecnici’ extra-partitici di oggi, se non si sapesse come si ripete la storia dopo le tragedie. [12] A proposito (ma per inciso) se in Italia abbiamo avuto (tra le altre nequizie) il liberal-fascismo di Berlusconi, chi si crede che dobbiamo ringraziare? Gramsci o Croce?
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