Articolo pubblicato su S’È DESTRA.
Nel 2001 usciva La Destra Plurale. Dalla preferenza nazionale alla tolleranza zero, un libro importante che faceva il punto in larga parte sul laboratorio italiano apertosi nel 1993, quando Silvio Berlusconi ancora “solo” presidente di Fininvest disse “se votassi a Roma voterei Gianfranco Fini”. Il Cavalier con il suo endorsement al leader di quello che era ancora il Movimento Sociale Italiano, annunciava una storia che dura ancora oggi.
In questo dialogo faremo il punto su cosa è successo in questi trent’anni.
Trent’anni fa il ballottaggio a Roma tra Francesco Rutelli e Gianfranco Fini, con l’appoggio di Silvio Berlusconi al segretario di quello che era ancora il Movimento Sociale Italiano. Nasceva la destra plurale, come l’hai definita in un tuo libro. Cosa intendevi?
La campagna del 1993 è stato l’annuncio di ciò che sarebbe accaduto. Il nostro paese non aveva conosciuto una destra repubblicana conservatrice, ma un partito come la DC che includeva anche dei settori di destra. In Italia la destra politica per tutta la Prima Repubblica è stata di fatto quella degli eredi della tradizione fascista e della Repubblica di Salò. In quel momento invece si tenta per la prima volta una nuova sintesi tra le forze della destra che l’esperienza della Seconda Guerra Mondiale, con l’adesione o l’opposizione ai fascismi storici, aveva diviso.
Il Movimento Sociale Italiano, prima ancora di Fiuggi e della nascita di Alleanza Nazionale, diluisce il peso dalla memoria identitaria, nell’idea di consegnare il testimone del passato alle nuove generazioni con una proposta più adatta ai tempi. La campagna elettorale di Fini a Roma per le comunali, la prima ricordiamolo con l’elezione diretta dal sindaco, porta la destra ad andare in giro per l’Italia presentandosi non più come la forza della nostalgia, ma come una forza che ha attraversato la storia della Repubblica democratica trovandovi piena legittimità.
Il declino dell’egemonia berlusconiana, e l’ascesa di Fratelli d’Italia, che è diventato un partito attrattivo per tutto l’elettorato di centrodestra, superando i consueti steccati della destra destra, cosa ci raccontano? È un effetto della radicalizzazione del centrodestra, di un elettorato che bada solo alla leadership che ritiene più affidabile all’interno dello stesso al di là della connotazione ideologica, o di entrambi i processi?
Credo che la destra plurale come l’abbiamo conosciuta, ovvero come spazio dove si ricomponevano le culture storiche della destra e dove trovavano cittadinanza anche quelle provenienti dal fascismo, sia terminata con la fine dell’egemonia berlusconiana. L’ascesa della Lega di Salvini prima, e ora di Giorgia Meloni ci segnalano entrambi i fenomeni che hai descritto: da una parte la radicalizzazione del cosiddetto centrodestra, dall’altro che un elettorato post ideologico è disponibile ad accordare il proprio voto a quello che sembra il leader più credibile in quella stagione, senza badare alla sua genealogia politica. In questo senso la destra postfascista è uscita definitivamente dalle ridotte elettori dove ancora si trovava ai tempi di Alleanza Nazionale e della nascita di Fratelli d’Italia, questa è una grande novità.
Cosa è cambiato in questi anni? Possiamo individuare delle fasi successive caratterizzate dalle leadership che si sono succedute?
Nel cambi di guida, nell’ascesa dei leader di quello che chiamiamo centrodestra, si sono consumano passaggi culturali e politici. La prima stagione del berlusconismo non è stata così nettamente segnata dall’emergenza sicurezza e dai temi identitari, mentre era presente un anti comunismo che proveniva da un’altra stagione politica, e poi l’idea di opporsi alla sinistra delle tasse e dei sacrifici. Berlusconi offriva nel mercato della politica un sogno di benessere e ascesa sociale, molto più che risentimento sociale
Gli anni del successo di Matteo Salvini hanno poi portato a una militarizzazione del linguaggio politico, effetto della campagna sui temi dell’identità e l’imporsi degli slogan sull’emergenza sicurezza. E così si arriva alla leadership di Giorgia Meloni, che attrae un elettorato che si è radicalizzato in termini post ideologici, ma che ha fatto suoi anche se in modo molto generico e a volte confuso l’opposizione a un mondo che minaccia la sua stabilità, siano essi gli immigrati, o la sinistra che vuole il “socialismo” o imporre l’ideologia gender. Questo, dopo trent’anni, è un humus comune che nutre gli elettori di centrodestra: una costruzione ideologica debole, ma che funziona.
Il laboratorio politico rappresentato dalla Seconda Repubblica ha anticipato molte tendenze che sono maturate altrove più tardi (pensiamo a quanto Berlusconi sia usato come metro di paragone ancora oggi per leader come Donald Trump o Jair Bolsonaro). Oggi l’Italia è ancora un laboratorio per la destra europea e mondiale? Se sì, perché?
Il crollo repentino della Seconda Repubblica, ha portato in modo velocissimo al cambio dell’assetto politico del dopoguerra, per questo in Italia alcune tendenze sono emerse prima che altrove. Lo smottamento politico provocato da Tangentopoli ha creato un terreno nuovo, su cui si potevano sperimentare grazie alla crisi e alla scomparsa delle forze politiche tradizionale. In Italiana tra il 1990 e il 1994 è accaduto qualcosa che non è accaduto in nessun altro paese occidentale in questi termini, ma esiti simili si sono dati solo in molti anni e attraverso passaggi elettorali progressivi.
C’è Silvio Berlusconi, che scendendo in campo rivoluziona il linguaggio della politica e la forma stesse delle forze politiche e della partecipazione politica grazie al peso dei suoi media. Accanto a lui l’ingresso nelle stanze del potere di un partito politico postfascista come abbiamo già sottolineato, ma anche la Lega. Questo laboratorio ha avuto anche la capacità di rispondere ad alcune domande provocate dalle trasformazioni sociali e produttive, offrendo tra le altre cose rappresentanza politica ad alcuni ceti sociali emergenti e risposte ai ceti impoveriti e marginali (non solo economicamente, ma anche geograficamente) spaventati dagli effetti della globalizzazione.
E alla fine sono stati i post fascisti a cambiare gli altri attori della coalizione di centrodestra piuttosto che il contrario…
L’Italia è un caso unico in Europa Occidentale, dove la destra è stata molto forte in un arco di tempo lungo un trentennio. Alla fine di questo percorso sono le forze più estreme che in un modo o nell’altro hanno una genealogia diretta nei fascismi del Novecento, ad aver conquistato la guida del proprio campo politico. Quindi sì, l’Italia in definitiva rappresenta ancora un laboratorio interessante per la destra globale.
Mi sembri in effetti convinto della proiezione internazionale della destra di Meloni, i particolare a partire dall’Europa. Cosa ci dobbiamo aspettare dalle elezioni del 2024?
Fratelli d’Italia ha la possibilità non solo di guidare il Partito dei Conservatori e dei Riformisti Europei, che al di là del nome si configura come un gruppo di destra identitaria (dentro c’è solo Fratelli d’Italia, ma anche forze ancora più marcatamente di destra radicale come i Democratici Svedesi o gli spagnoli di Vox), ma anche di cambiare gli equilibri continentali. La sfida è quella di costringere con la forza dei numeri il Partito Popolare Europeo a governare assieme alla destra e non ai socialisti.
Se nel 2024 l’UE sarà guidata da una simile maggioranza, a cui lavorano Meloni e i suoi alleati, anche dentro il PPE, vorrà dire che il processo avvenuto nel centrodestra italiano si potrà proiettare a livello europeo. Ma non solo: se pensiamo a come i governi di Ungheria e Polonia riscrivono le regole della democrazia rappresentativa, svuotandola progressivamente di senso, capiamo qual’è la posta in gioco.
Le prossime elezioni europee saranno dominate, è facile capirlo già oggi, dal conflitto in corso in Ucraina. Quanto pagherà la destra il fascino subito per Vladimir Putin e per la sua Russia come modello illiberale da seguire?
La verità è che tutte le forze politiche e i partiti che a destra hanno guardato a Putin come all’uomo forte, alla Russia come modello alternativo alla globalizzazione a guida americana, come un esempio di politiche identitarie e tradizionaliste da seguire contro la “decadenza occidentale”, la grande sostituzione e l’ideologia gender, hanno dovuto fare marcia indietro. In Italia in prima fila c’è stata la Lega di Matteo Salvini, ma anche alcuni settori di Fratelli d’Italia. In questa fase una destra credibile non può essere evidentemente amica di Putin. Per chi cerca un pieno riconoscimento e legittimità, sarebbe un’operazione un po’ senza senso essere oggi filoputin. La destra piuttosto proporrà un’Europa come “fortezza” per resistere all’immigrazione, un’Europa più nazionalista, vedremo cosa accadrà durante la prossima campagna elettorale del 2024, che senza dubbio sarà una campagna elettorale cruciale come già ricordato.
Nella prima puntata di questa newsletter abbiamo parlato della crisi dell’estrema destra italiana: schiacciata tra il successo della destra postfascista (ma che non ha bisogno né dei mazzieri per le strade né di impresentabili nelle proprie liste) e l’affermazione di istanze storicamente estranee alla cultura del neofascismo italiano (pensiamo al movimento no vax e no green pass). Che spazio politico rimane per l’estrema destra come CasaPound, Forza Nuova, Lealtà e Azione e sigle simili?
In estrema sintesi: è chiaro che la militanza giovanile o quella sui territori perde di appeal nel momento c’è chi, dicendo più o meno le stesse cose diventa ministro. Però c’è anche da dire che ci sono luoghi di confine, che vanno da CasaPound a Casaggiì di Firenze, ma anche ai circoli di Lealtà e Azione e di altre formazioni di estrema destra, dove tramite libri, convegni, conferenze si veicolano le stesse idee che circolando dentro Fratelli d’Italia. E non parlo di qualche strizzata d’occhio nostalgica o di un remake della cultura del neofascimo duro del passato, ma dell’idea dell’autorazzismo dei bianchi, dell’immigrazione come complotto e piano di sostituzione etnica, del tradizionalismo familiare contro l’ideologia gender e così via. Francesco Lollobrigida che parla prima di sostituzione etnica, poi di razza e ieri ancora di etnia italiana da difendere ci segnala esattamente questo. Non è un caso che nell’entourage del ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano si stia costruendo la cerniera tra questo mondo e la destra di governo…
Un humus culturale e un’agenda comune tra estrema destra e destra di governo che appare lampante quando dalle alleanze politico elettorali volgiamo la sguardo ai media e ai talk show, dove le stesse figure che troviamo a dibattere in prima serata o a firmare articoli nelle prime pagine dei quotidiani di Berlusconi, Angelucci e Belpietro, sono gli stessi che animano incontri e presentazioni nei circuiti più radicali.
Ci sono figure all’interno dei media mainstream e nei media della destra che sono si collocano indubbiamente all’estrema destra, e che hanno piena legittimità nel rappresentare anche nei talk l’area di governo. Penso a Francesco Borgonovo, vicedirettore della Verità, ospite fisso di convention di gruppi neofascisti. Ma lo stesso, anche se frequenta ambienti appena appena meno impresentabili, vale per per Francesco Giubilei, editorialista di punta del Giornale, consulente di Sangiuliano e animatore del think tank Nazione Futura. Pensiamo ancora ad Adriano Scianca, responsabile culturale di CasaPound che scrive sulle pagine culturali dei giornali dell’area di governo. Se per ora non c’è un travaso di personale politico, soprattutto per questioni di opportunità, la comunanza d’idee e analisi è sotto gli occhi di tutti.
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