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La partita sembra ancora aperta. Il voto regionale dimostra che non c’è uno sfondamento della destra. Anzi, dopo oltre due anni di dilettantismo, di ossessione securitaria e di continuo contrasto al lavoro, il Governo mostra tutta la sua inconsistenza. Tra i piccoli duelli interni alimentati da una Lega ormai al declino, affonda nei numeri della decrescita economica. Meloni ha vinto nel 2022 solo per le divisioni del fronte democratico e previa rassicurazione offerta al metapartito USA circa il lungo coinvolgimento nella guerra. Il silenzio sul tema della pace non potrà però continuare a lungo e i partiti saranno costretti a fare i conti con le ricadute politiche e sociali del conflitto.

Cosa aspettano i guerrieri democratici a deporre l’elmetto, che hanno cocciutamente depositato in testa, per far funzionare il cervello della politica? La loro guerra metafisica per la libertà volge verso la sconfitta e il clima bellicoso ha contribuito in realtà all’ascesa di movimenti filo-Putin in tutto l’Occidente. Non c’è paese risparmiato dalla crescita della destra sovranista: l’Italia ha aperto la strada, l’hanno presto seguita l’Olanda, l’Austria, la Francia, la Germania, la Romania.

Non è possibile che la prospettiva del negoziato sia una bandiera sventolata dalla destra radicale mentre la sinistra a egemonia liberal avverta il fascino degli anfibi. La crisi dell’impero post-sovietico viene scambiata, in maniera non si sa se grossolana o solo sfacciatamente strumentale, per l’avvio di un conflitto globale tra democrazia e autocrazia rispetto al quale è doveroso recarsi al fronte e sacrificarsi in una guerra etica. Questa assurda interpretazione delle dispute sui confini in termini di assolute inimicizie morali, che gonfiano i muscoli di chi evoca la dolce morte, oltre ad appiccare la fiamma nel mondo intero, ostacola una ridefinizione della cultura politica della sinistra che sia in grado di resistere alle prove generali di autocrazia.

Neppure il tonfo dei democratici statunitensi ha contribuito a ridestare dal sonno dogmatico i costruttori della strategia di guerre infinite. Una sinistra in mimetica che non comprende come al primo posto dell’agenda di questa epoca vada collocato proprio il disegno condiviso di un mondo multipolare, è destinata a essere infilzata a ripetizione dalle destre. Queste ultime riescono a intercettare, con una spregiudicata libertà di manovra, i disagi che le interminabili ostilità orientali hanno ovunque prodotto.

La democrazia continentale più solida, la Germania, è stata resa un sistema del tutto liquido, che va incontro all’incertezza politica più estrema. L’intreccio tra le conseguenze economiche della rottura con le risorse russe a basso costo (Berlino ha dovuto persino abbozzare e far finta di nulla dinanzi alla terroristica azione ucraina che ha fatto esplodere i gasdotti così preziosi per l’industria teutonica) e la inquietante rinascita dell’estremismo politico colorato di bruno è l’indicatore più lampante della necessità di una inversione di rotta.

E invece la consegna continua a essere sempre la stessa. La guerra continua, anzi le cancellerie cavalcano in maniera irresponsabile anche le rivolte di piazza in Georgia o in Moldavia perché il voto, quando non conviene, è di sicuro un atto illegittimo. La crisi sociale che agita la Germania produrrà ulteriori ferite anche in Italia. La scottante questione Stellantis è in tal senso solo un assaggio di ciò che incombe nelle dinamiche produttive di un sistema in declino.

Pace e lavoro tornano a intersecarsi. La costruzione di una coalizione alternativa alle destre mostra ben poco respiro se la regia della ripresa di un dialogo si illude che sia sufficiente la disponibilità a siglare una intesa elettorale sganciata da un programma di svolta radicale.

Il voto del PD a favore del vicepresidente della Commissione Fitto, in difformità peraltro con il pronunciamento dei socialisti francesi e tedeschi, complica il cammino dell’opposizione in vista di una offensiva contro la democratura in gestazione. Con l’allargamento della governance europea ai post-fascisti italiani, e con il contestuale sostegno alla concessione delle nuove risorse per prolungare le iniziative di guerra senza più la copertura statunitense, Schlein rende di fatto precaria la sua leadership nel centro-sinistra. Come spostare risorse significativa alla sanità pubblica, al lavoro, alle politiche industriali, alla coesione territoriale e all’occupazione se il bilancio statale è già predeterminato per coprire le spese richieste dall’economia di guerra?

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2 commenti a “La guerra a tutti i costi”

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