Nota introduttiva di Marcella Heine
La sentenza della Corte Costituzionale tedesca sulla tutela del clima è stata – ovviamente in Germania, ma, seppure in minor misura, anche in Italia – oggetto di molteplici reazioni e differenziate analisi. Il seguente articolo “La liberazione della libertà” (Zeit Online, 30.04.2021) di Bernd Ulrich, dal 2003 vice-direttore di “Die Zeit” (il cui direttore è Giovanni Di Lorenzo), è però di particolare interesse, in quanto individua la chiave essenziale di lettura della sentenza nella ridefinizione del bene più prezioso della società: la libertà. Ne offriamo una traduzione per renderlo accessibile a lettrici e lettori di lingua italiana.
In premessa solo alcune informazioni aggiuntive che non vengono direttamente esplicitate dall’autore nel suo testo (in quanto, almeno in parte, già note al pubblico tedesco):
1. In Germania è possibile – a differenza dell’Italia – inoltrare ricorsi diretti alla Corte costituzionale da parte sia di singoli individui che di organizzazioni e associazioni, per denunciare la violazione di diritti costituzionali. In questo caso il ricorso alla Corte era stato inoltrato da giovani attivisti di diverse organizzazioni per la tutela ambientale, non solo tedeschi, ma anche del Nepal e del Bangladesh. Tra di essi Luisa Neubauer, portavoce tedesca di “Fridays for future” e alcuni giovani abitanti di isole del Mare del Nord, particolarmente esposte ai pericoli del cambiamento climatico.
2. La Corte ha emesso la sentenza all’ unanimità.
3. L’ articolo 20a, a cui la sentenza fa riferimento, fu inserito nella Costituzione tedesca nel 1994. Con esso la tutela dell’ ambiente è assunta tra gli obiettivi imprescindibili dello Stato. Il testo recita: “Lo Stato tutela, anche in responsabilità nei confronti delle generazioni future, i fondamenti naturali della vita e gli animali nell’ambito dell’ ordine costituzionale, in concordanza con le leggi e il diritto e attraverso il potere esecutivo e la giurisdizione”.
4. Nell’ Accordo di Parigi, essenziale punto di riferimento nella sentenza, il fattore “ tempo è di centrale importanza. In esso, dopo aver ribadito che ogni Stato resta sempre, responsabile individualmente “delle proprie decisioni di riduzione delle emissioni”, si richiede che ogni contributo dei singoli stati stessi comporti “una progressione rispetto al precedente” ed esprima “la più alta ambizione possibile”. Tale “ambizione più alta possibile” si concretizza nell’ art. 4 dell’ Accordo nell’obiettivo di conseguire “al più presto possibile” il picco globale di emissioni di gas serra, per poi procedere alla loro sistematica riduzione, fino alla definitiva stabilizzazione del sistema climatico.
Infine qualche breve osservazione sul contesto politico attuale:
Il 26 settembre si svolgerannno in Germania le elezioni politiche, che sanciranno anche la fine dell’era Merkel. Tutti i partiti sono ovviamente già impegnati nella campagna elettorale. Nei sondaggi si registra una forte ascesa dei Verdi, attualmente addirittura primo partito, a cui si accompagnano pesanti perdite della Cdu/Csu.
La questione della crisi climatica e la necessità di una svolta radicale per affrontarla sono, naturalmente, al centro del programma e della campagna dei Verdi e della candidata alla cancelleria Annalena Baerbock – tanto più dopo la sentenza della Corte Costituzionale. Ed è interessante – e impressionante – osservare con quale aggressività reagiscono i partiti della destra: dai Cristiano-democratici ai Liberali, per non parlare della destra radicale di Alternativa per la Germania. L’argomentazione che accompagna gli attacchi segue esattamente la logica ora smantellata dalla sentenza della Corte: non solo i soliti grandi lamenti sui rischi e le restrizioni per l’economia e il sacro libero mercato, ma soprattutto l’ agitare lo spauracchio di una imminente “dittatura ecologica”, nel caso di vittoria dei Verdi, fondata su divieti e penalizzazioni che priverebbero le cittadine e i cittadini delle libertà individuali, di decisione e di comportanento.
Di nient’altro si tratta, in questi attacchi un po’ isterici di una destra in ansia, che del “neoliberismo ecologicamente cieco” di cui parla Bernd Ulrich, in cui si dichiara “come sacrosanto l’ uso attuale e consueto della libertà e si denigrano come nemici della libertà tutti coloro che, per garantire essa anche in futuro, ne richiedono una limitazione ora”.
“La liberazione della libertà” di Bernd Ulrich
Dunque la rivoluzione ecologica è iniziata, prima o poi doveva accadere. Ma che la scintilla rivoluzionaria partisse proprio dal modesto palazzo a Karlsruhe in cui ha sede la Corte costituzionale tedesca, un po’ sorprende.
In cosa consiste questa rivoluzione? Certamente, non nel fatto che i giudici abbiano emesso una sentenza sulla protezione del clima in cui impegnano il Governo federale a migliorare il loro, piuttosto misero, pacchetto sul clima. No, ieri a Karlsruhe è successo ben altro. E’ stato ridefinito il bene supremo di cui la società dispone: la libertà.
“La Costituzione impone, nell’ ambito di determinate premesse, di garantire il diritto costituzionale alla libertà aldilà di confini temporali e di distribuire, in maniera adeguata, la possibiltà di esercitare tale libertà da parte delle future generazioni”. Già, suona proprio così quando i giuristi decidono di fare la rivoluzione. Proviamo a tradurlo e ad estrarne il significato. Si tratta di questo: se, nel presente, le emissioni di CO2 vengono ridotte in quantità insufficiente, saranno le generazioni a venire, i giovani, a doversi caricare il peso di riduzioni in misura talmente sproporzionata da limitare, in contrasto con la Costituzione, il loro diritto alla libertà, Più brevemente: un uso della libertà oggi cieco di fronte ai suoi effetti, riduce i diritti alla libertà domani.
Questa constatazione racchiude qualcosa di profondamente triste, che non deve essere taciuto. Perchè quando fu inserito nella Costituzione, nel 1994, l’articolo sulla protezione del clima a cui la Corte si riferisce, dominava ancora la convinzione che la crisi climatica fosse un problema di un futuro lontano, si pensava a generazioni, non ancora nate. Oggi, dopo nemmeno trent’anni, la crisi climatica è in pieno atto e sopratutto coloro che ne subiranno le conseguenze non sono esseri ancora inesistenti, bensì adulti giovani che, ad alta voce e risolutamente, hanno inoltrato la loro istanza alla Corte costituzionale. Poichè la crisi climatica è già così drammaticamente attuale e le misure per contrastarla sono così urgenti, è possibile, anzi necessario, stabilirne le precise entità nel rapporto tra generazioni. Tradotto nell’ interpretazione dei giudici: oggi come oggi esiste un budget, chiaramente limitato, di CO2. Ed esso deve essere distribuito in maniera equa tra le generazioni. Facendo un conteggio concreto che la Corte ha tutte le intenzioni di fare: questo il monito rivolto al governo.
Ma quello che la Corte non ha detto è che i giovani sono doppiamente limitati nella loro libertà. Se tutto continua come ora, dovranno infatti non solo farsi carico di maggiori e più drastiche riduzioni delle emissioni, dovranno anche affrontare le conseguenze dirette della crisi climatica. Non dimentichiamo: anche se si riuscisse a ridurre il riscaldamento a 1,5 gradi, questo non porterebbe a un superamento della crisi, ma solo a cercare di sopravvivere, con difficoltà con essa. Anche 1,5 gradi sono una crisi. E seppure i giovani, dopo il 2030, dovessero avere ancora delle possibilità di scelta, saranno sempre più spesso scelte tra Scilla e Cariddi.
Anche se la Corte di Karlsruhe non declina tutto questo in dettaglio, nell’ essenza ha rivoluzionato il concetto di diritto alla libertà; lo ha, per così dire, trasportato dal Ventesimo al Ventunesimo secolo. La libertà non è più solo ciò che si vive e si può pretendere dallo Stato, ora la libertà è anche qualcosa che si può sì materialmente e fisicamente consumare, ma non si deve farlo.
Per dirlo più concretamente: consumare più della propria parte del budget di CO2 – per non aver esteso l’ uso di energie rinnovabili, o per aver trascinato per le lunghe, irresponsabilmente, l’ uscita dal carbone, o per un alimentazione sconsiderata o per un uso eccessivo dell’ automobile – non danneggia solo un ambiente “anonimo”, depreda le giovani generazioni della loro libertà, delle loro opzioni e possibilità di scelta, del loro margine di errore.
Le estensioni filosofiche di questa nuova definizione di diritto alla libertà non sono ancora prevedibili, quelle politiche un po’ di più. La Corte ha dichiarato l’Accordo di Parigi, compreso il percorso tra 1,5 e 2 gradi, costituzionalmente vincolante. Nella campagna elettorale tutti i partiti dovranno ora descrivere esattamente come intendono attuare questo percorso fino all’obiettivo. Armin Laschet (presidente della CDU candidato alla cancelleria della CDU/CSU), per esempio ha dichiarato qualche tempo fa, riferendosi alle iniziative ecologiche di Marcus Söder (presidente della CSU e governatore della Baviera), che non bisogna correre appresso ai Verdi, come non si corre appresso alla Afd. Benissimo, ora potrà dimostrare come intende, esattamente, correre appresso alla Costituzione e come vuole garantire il diritto alla libertà dei nostri figli.
Con la sua chiave di lettura e la sua sentenza, la Corte Costituzionale definisce un determinato concetto di libertà come incompatibile con la Costituzione. Precisamente quello che considera sacrosanto l’uso attuale e consueto della libertà e che denigra tutti coloro che, per garantirlo anche in futuro, ne richiedono una limitazione ora, come nemici della libertà. Insinuando che essi, poichè pongono in relazione la libertà futura con quella di oggi, non tengono in alcun conto il diritto alla libertà. Ora la questione si inverte: non è la protezione del clima a mettere in pericolo la libertà – al contrario, è una protezione del clima insufficiente ad essere illiberale. Ovviamente il neoliberismo ecologicamente cieco vorrà continuare anche dopo la sentenza sulla stessa strada, e preferirà anche in futuro parlare di presunte ideologie piuttosto che di reali emissioni. Con la differenza che questo ora contrasta con lo spirito della Costituzione.
Essenzialmente questa sentenza rappresenta una modernizzazione e, contemporaneamente, una liberazione della libertà che era in parte smarrita, fuorviata. Ci si era troppo incatenati ad un consumo deteriorante della natura, emissioni comprese, e il fallout di questo genere di libertà si è manifestato in una compulsione ossessiva: sempre più, in modo sempre più cumulativo, esponenziale e spesso irreversibile. Si è confusa la libertà con l’abitudine, l’ abitudine con l’ esigere e l’ esigere con il diritto. E così, senza che ce ne fossimo accorti, la libertà universale si è trasformata in una specie di feudalismo fossilizzato: di fatto ci siamo arrogati diritti speciali di emissioni, concessi in virtù della data di nascita. Un privilegio di distruzione da parte dei più anziani sulla pelle dei giovani.
Ora la libertà può liberarsi dal suo legame costrittivo a un consumo eccessivo della natura e allo sfruttamento di chi verrà dopo. E riuscirà, per quanto possibile, a smaterializzarsi, decarbonizzarsi e anche a liberarsi dei suoi rimorsi di coscienza che, spesso, si traducono in pura aggressione nei confronti degli ambasciatori di cattive notizie ecologiche.
Per la verità tutto questo non è nulla di nuovo, poiché è chiaro da sempre che la propria libertà finisce dove inizia quella altrui. Questo principio è ora semplicemente applicato in un altro contesto storico. In un mondo ecologicamente limitato, la mia libertà termina di fronte all’aria per respirare e all’acqua da bere dell’altro, al suo diritto ad avere condizioni di vita ugualmente sane e ugualmente in grado di garantire libertà (dunque in un certo senso ugualmente “liberali”). Libertà, in futuro, significherà anche non imporre ad altri le conseguenza del proprio stile di vita.
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