“April is the cruellest month… Aprile è il mese più crudele – genera lillà dalla terra morta – confonde ricordi e desideri – scuote le radici con piogge primaverili”. Quei primi versi dedicati alla Sepoltura dei Morti con cui Eliot apre The Waste Land erano profetici. Anche la terra sotto le macerie di Gaza bagnate dalle piogge d’aprile germoglia: spuntano resti di donne e di bambini. Fin dal 1° aprile, giorno in cui Israele ha insanguinato il consolato iraniano a Damasco, il Medio Oriente è stato sul punto di diventare una “waste land”, un deserto solcato da missili, bombe, droni letali. Per la prima volta Iran e Israele si sono sfidati ai ferri corti, nel senso letterale del termine.
Neppure il prossimo futuro si presenta di buon augurio. Sulle spalle di un signore di 81 anni, troppo tollerante con Netanyahu, si sono accumulate crisi pesantissime: alcune imprevedibili come l’attacco armato di Hamas, la reazione spietata d’Israele, la conseguente protesta delle università e delle minoranze arabe; o più prevedibili come la minaccia climatica, l’aggressione russa all’Ucraina, la rimonta elettorale di Trump. Il tutto in una congiuntura afflitta da un disordine planetario e dallo sfarinamento del diritto internazionale, in parte responsabilità dell’Occidente, che ha fatto e disfatto le regole a suo comodo e ora paga le conseguenze di tanta ipocrisia. Il “Sud globale” forse non è ancora nato, ma è almeno concepito, e fra le tante forze motrici che lo promuovono si distingue il cosiddetto “Asse della Resistenza”, cresciuto sotto l’egida di Teheran fra Paesi e movimenti sciiti.
Sarebbe il momento per Biden di fare la “mossa del cavallo”, con un colpo di genio pari a quello riuscito a suo tempo a Kissinger con la Cina. Spieghiamoci. Mezzo mondo è ancora insanguinato da attentati islamisti, tutti di matrice sunnita. Priva di un clero gerarchico, la galassia sunnita genera jihadisti fai-da-te (spesso finanziati da integralisti sauditi) che odiano gli “eretici” sciiti. I quali – perseguitati per secoli – hanno trovato riparo sotto l’usbergo iraniano. Dunque, se l’Isis è nemico nostro e dell’Iran, l’Iran dovrebbe essere nostro alleato oggettivo. Non per nulla, a gennaio la CIA ha avvertito Teheran che l’Isis-Khorasan progettava un attentato in Iran. Ma l’Iran vuole il nucleare – obiettano gli israeliani. Non è così. Una fatwa inviolabile di Khomeini ha definito haràm ogni arma di distruzione di massa. Si sa che gli ayatollah non mirano ad avere la bomba, bensì a dimostrare di essere in grado di produrla. Il che è ben diverso. Ma non piace ugualmente a Israele, che di atomiche ne ha un centinaio.
In Iran vive la più numerosa comunità ebraica dei Paesi musulmani; almeno venti sinagoghe sono officianti tra Teheran e Isfahan; in Parlamento viene eletto anche un deputato ebreo. In Arabia Saudita non vive nessun ebreo; è vietato aprire sinagoghe; nel Parlamento non c’è alcun ebreo (anche perché non esiste un parlamento elettivo). Ma che dire dei diritti umani violati in Iran? A parte il fatto che nemmeno la monarchia saudita brilla al riguardo, il recente passato ci mostra che l’oppressione del regime iraniano si allenta ogni volta che le elezioni premiano presidenti riformisti, come Khatami dal 1997 al 2005 e Rohani dal 2013 al 2021.
Sarebbe inaudito che, per compiacere Israele, Biden rinunciasse alla “mossa del cavallo”. Che dovrebbe fare invece?
1) Aprire a Teheran, nell’ambasciata svizzera che rappresenta gli USA, una Sezione d’interessi gestita da veri diplomatici (non da agenti della CIA travestiti). Ne esisteva una all’Avana, aperta da Carter nel 1977 e poi promossa da Obama ad ambasciata.
2) Riprendere i colloqui sul nucleare sospesi nel 2022, fino a siglare un protocollo d’intesa che entrerebbe in vigore solo dopo la vittoria di Biden, dato che l’Accordo sul nucleare del 2015 fu stracciato da Trump senza preavviso e in spregio al galateo internazionale.
3) Sostenere il progetto di conferenza per la denuclearizzazione del Medio Oriente, come concordato nel 2010 da quasi tutti i firmatari del Trattato di non proliferazione. Si era anche convenuto di tenere la conferenza a Helsinki entro il 2012; siamo nel 2024 e, guarda caso, per volontà d’Israele tutto tace. Se Israele temesse davvero la bomba iraniana, sarebbe il primo a premere per la denuclearizzazione della regione.
Basterebbero dunque tre iniziative per “minare” dal di dentro l’Asse della Resistenza e rafforzare l’Occidente, anche rispetto alla Russia. Per riuscirci la Casa Bianca dispone pure di una persona super-qualificata: si chiama William Burns, già ambasciatore in Giordania e in Russia e ora direttore della CIA. Nessuno meglio di lui. Ma se Biden non recide il cordone ombelicale che lo tiene vincolato a questo Israele, a novembre potremmo trovarci nella tempesta perfetta: Netanyahu ancora al potere a Gerusalemme, Trump di nuovo alla Casa Bianca e Putin a fregarsi le mani al Cremlino.
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