Interventi
La parola “lavoro” ricorre diciannove volte nel testo della nostra Costituzione, e nove volte ricorrono le parole “lavoratori, lavoratore, lavoratrice”. Quale significato hanno queste parole? Che ci si debba porre questa domanda potrebbe apparire ovvio e scontato, normale e necessario, dentro il discorso giuridico; per quanto difficile sia la risposta che essa richiede. E’ ovvio, infatti, che di fronte ad un testo giuridico è necessario attribuire un significato, o una rosa di significati possibili, agli enunciati che lo compongono. Che si tratti di “lavoro” o di “autoveicolo”, di “ambiente” o di “vita”, di “famiglia” o di “matrimonio”, di “salute” o di “sicurezza”, non può iniziare alcun discorso se, prima, non si è effettuata una decisione sul significato, o sui significati, attribuibili a quei termini.

Altrettanto ovvio è che la prospettazione del significato “preferibile” dipende dal canone ermeneutico che si è scelto di utilizzare. Ricorrendo al canone “della volontà del costituente concreto”, o “storico-psicologico”, o “originalista”, otterremo un significato della parola “lavoro” sicuramente molto diverso da quello che risulterebbe dall’applicazione del canone del “linguaggio attuale delle scienze” (economiche, sociologiche, aziendalistiche).

Non essendo i canoni interpretativi codificati, e non essendo – né potendo essere – gerarchizzata e vincolata la scelta tra i canoni interpretativi culturalmente ammessi, ne consegue che il significato che verà attribuito al termine “lavoro” dipenderà dalle opzioni di valore dell’interprete e dall’operazione di politica costituzionale che egli intende condurre.

Lasciando in disparte il tema della libertà e della responsabilità degli interpreti, limitiamoci qui a considerare che del termine lavoro sono state offerte sostanzialmente due famiglie di interpretazioni. Secondo la prima, per lavoro si deve intendere, alla luce dell’art. 36 Cost., il lavoro salariato: quell’attività dalla quale la gran parte dei cittadini trae i mezzi per il proprio sostentamento. Secondo una diversa lettura, per lavoro si deve intendere, alla luce dell’art. 4 Cost., ogni attività che concorra al progresso materiale o spirituale della società. È evidente che in questa seconda lettura i confini del concetto si slabbrano, venendo ad abbracciare le attività più diverse, poste in essere nelle più diverse condizioni economico-sociali. Il problema non è porre queste due concezioni in contrapposizione per escluderne l’una in favore dell’altra; si può benissimo ammettere che la costituzione consenta concettualmente una doppia lettura. Il problema è riconoscere che dalle due letture discendono conseguenze pratiche rilevantissime. Ed è qui che l’una può essere giocata contro l’altra, come oggi tende a fare l’interpretazione “non classista”…

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