Articolo pubblicato su “il manifesto” l’08.08.2023.
«La strada è lunga, e già sopra di noi la notte scende». Con queste parole della Compièta, da cantare «a luci quasi spente», si chiude Cenni di castella che Mario Tronti pubblica nel 2001.
«La scienza come lotta», si dice nello scritto che apre il volume, «è un sapere effimero». Ma si configura come il sapere che determina «una condizione felice del pensiero». In tale «stato d’eccezione» è infatti il pensare «la forza che decide». Fu questa, a giudizio di Tronti, la divisa di Marx pensatore. Egli attese allo studio e alla ricerca – i «libri campi di quotidiane battaglie» – come ci si dedica alla formulazione di un predicato che è teoretico nel convertirsi in fatto.
Con il pensiero ‘decisivo’ di Marx – la praxis dirimente, solutrice – o si vinceva, dice Tronti, o si perdeva tutto: dunque, per essere calibrato in rapporto a una disposizione storica calcolata e precisamente circoscritta – «adesso o mai più» – pensiero passeggero, transitorio, Vergänglich. È che, aggiunge Tronti, nella sconfitta con Marx, «abbiamo imparato a giocare. Abbiamo strappato qualche territorio al nemico. Poi l’abbiamo di nuovo perso. E questo non è che l’inizio».
Una ambientazione notturna – la notte scende – accoglie le metafore guerresche con le quali Tronti si rappresenta l’esigenza teoretica di pensare lo stato di cose presente in congiunzione con il movimento reale che lo abolisce. Si legge in La politica al tramonto: «la lotta di classe è una realtà fenomenica che si percepisce nello spazio-tempo dell’organizzazione, si conosce con le categorie del politico e si agisce – questo è il salto da Kant a Lenin, passando per Hegel-Marx – con la prassi rivoluzionaria. Senza di tutto questo c’è solo conflitto sociale».
La preliminare urgenza di assumere del presente consapevolezza e – cupo il secolo – penetrare l’oscurità che ne avvolge, si fonde in una cognizione attendibile – per segni netti, per chiari avvisi – ovvero in un «discorso di verità sul qui e sull’ora». Così il profeta vede il presente e «dice intanto, crudamente, com’è il mondo» giacché, afferma Tronti, «sono gli oppressi ad aver bisogno dell’azione e della parola profetica. Profezia è parlare a nome di una parte, una parte di mondo, perché si riconosca, prenda forza di sé e si sollevi contro». Non il sigillo duale della dialettica (‘tanto questo che quello’) ma un lato solo, la parte. E la parte rende conto della propria non come d’una condizione plurima e generale. È la condotta autorizzata da Marx fin dal 1844 e ’45. E ad essa Tronti si attiene.
Del resto, nelle pagine introduttive alla raccolta dei marxiani Scritti inediti di economia politica che appaiono in italiano per la sua cura nel 1963, Tronti, dopo aver ribadito che «l’oggetto specifico della ricerca che Marx conduce dall’inizio alla fine della sua vita intellettuale è in generale l’economia» e che «il suo carattere specifico è dato dal significato politico che essa assume all’interno del rapporto sociale di tipo capitalistico»; constata che «l’oggetto da studiare è nello stesso tempo la realtà che si deve combattere. Di qui, da questa contraddizione positiva, il dramma felice del teorico marxista, che si trova a voler distruggere l’oggetto del proprio studio; anzi, a studiare l’oggetto esattamente per distruggerlo: l’oggetto della propria analisi è il proprio nemico». E conclude: «proprio perché la teoria si presenta già come ‘teoria della pratica’, può essere ricompresa poi – correttamente – tutta quanta dentro la pratica».
Dunque, come raccomanda Marx nei Manoscritti economico-filosofici del 1844: «partire da un fatto economico attuale», alla stregua dei presupposti dell’economia politica, dove, dice Marx, «troviamo ovunque il contrasto ostile degli interessi, la lotta, la guerra, come base dell’organizzazione sociale», dove il rapporto sociale – il salario – «vien determinato attraverso la lotta ostile fra capitalista e lavoratore». Entro la parte, allora, fondare e far crescere, non dialettizzare, lo spirito dell’epoca. Dentro la pratica. Dalla postazione ove si è collocati, da quel presupposto (Voraussetzung lo dice Marx) non arbitrario donde, ribadisce Tronti, farsi autori di praxis, compito ben altrimenti arduo che dirsi protagonisti, ovvero attori politici.
Si corre il rischio di ridurre la ricchezza e la profondità della ricerca di Mario Tronti col collegarla a una delle sue fonti, Marx. Si è qui sottolineato quello che può dirsi l’assunto di partenza che, pur nei suoi molteplici decorsi e ricorsi, puntualizzazioni e chiarimenti caratterizza tuttavia la sua infaticata, mai dismessa, di continuo riaperta, mai ultimata interrogazione teorica. Un lascito che non sarà facile coltivare.
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