di Moreno Biagioni
Il “Coronavirus” e la “responsabilità solidale” – C’è stata la tentazione, per alcuni/e di noi, specialmente all’inizio del contagio, di considerare l’emergenza “Coronavirus” un mezzo per distogliere dai più gravi problemi che abbiamo di fronte e per giustificare una stretta autoritaria. Anzi, ci sono stati anche interventi di noti intellettuali in questo senso.
Vi è stata alfine la presa di coscienza, per taluni/e in effetti molto lenta, che si tratta di un’emergenza vera (altro che equipararla ad una normale influenza! La mortalità, le situazioni da terapia intensiva, la velocità di contagio sono di gran lunga superiori) e che, per superarla, occorre una prova di solidarietà collettiva (che significa, prima di tutto, assunzioni di responsabilità individuali – nel porre rigorosamente in atto regole comuni volte ad evitarne e limitarne la diffusione -, assunzioni di responsabilità in grado, fra l’altro, di evitare strette autoritarie volte a imporre i comportamenti urgentemente necessari).
In tempi di possibili, crescenti contagi la solidarietà responsabile, o responsabilità solidale, è un passaggio ineliminabile, di cui tutti ci dobbiamo rendere conto, facendocene carico. E battendoci perché siano tutelati tutti/e – lavoratori e lavoratrici, stabili e precari/ie, occasionali, a partita IVA, artigiani – dal contagio (e sia tutelato il loro reddito).
L’importanza della sanità pubblica – Umanità e solidarietà devono stare, anche in questo caso, alla base dei nostri comportamenti. Ma ciò non esclude che vi siano anche da sviluppare considerazioni politiche, relative alle responsabilità passate e presenti, non tanto per la presenza del virus, quanto piuttosto per la situazione del sistema sanitario pubblico, in gran parte depotenziato, in seguito alla diminuzione degli stanziamenti ed alle varie forme di privatizzazione susseguitesi negli anni anche in Toscana, spesso presa a modello per l’efficienza della sua sanità [risulta evidente come a emergenze del genere soltanto un valido sistema pubblico è in grado di dare risposte efficaci e ne sanno qualcosa le persone, a cui, negli Stati Uniti, le Assicurazioni mandano un conto di 800 dollari quando devono recarsi al Pronto Soccorso per sospetti casi di “Coronavirus”].
Occorre però andare oltre alle sacrosante critiche e rivendicazioni riguardanti la sanità: quello che viene messo in discussione è un sistema complessivo – di abitudini, di relazioni interpersonali, di comportamenti individuali e collettivi.
L’occasione per una profonda trasformazione – Si tratta, superata l’emergenza, di non ritornare al vecchio modello, ma di prospettare cambiamenti profondi, collegati ad un progetto diverso di società, di rapporti, di stili di vita (e qui dovrebbe entrare in campo, dimostrando così di esistere ancora, la sinistra, con il pieno recupero di una capacità progettuale, anche con una sua carica utopica, da tempo perduta).
Cambiamenti profondi che riguardano l’ambiente, la crisi energetica, la mobilità, l’economia ed anche i vari, fondamentali, settori della ricerca, dell’istruzione, della cultura.
Oltre, lo sottolineo, alla capacità di rapportarsi agli altri/alle altre, di porsi in ascolto, di adottare modalità slow di vita, imposte ora dal virus, ma da prevedere ad esempio anche per quando si ritorna alla vita cosiddetta normale.
Dall’emergenza, quindi, scaturisce una situazione drammatica (a cui far fronte con la responsabilità solidale individuale e collettiva), ma anche un’occasione di cambiamento, che andrebbe colta fino in fondo.
È pure evidente che la crisi dovuta al “Coronavirus” non può comportare l’annullamento delle varie criticità di fronte a noi (che in parecchi casi tale crisi può solo aggravare – ad esempio, per quanto riguarda gli sfratti, le varie situazioni di emarginazione, la precarietà del lavoro).
Non è certo da condividere l’affermazione che, siccome incombe il contagio, tutto il resto passa in secondo piano.
Impegni di mobilitazione e d’intervento – Richiedono ancora interventi ed impegni concreti, sul terreno dell’accoglienza e dell’inclusione, le condizioni dei/delle migranti (anche loro, peraltro, a rischio “Coronavirus”), nonché il razzismo diffuso, le guerre e gli interventi violenti, contro le persone e contro l’ambiente, in atto in varie parti del mondo, gli attacchi allo stato sociale ed ai diritti, conseguenza della globalizzazione neo-liberista (e causa, a loro volta, dei rigurgiti nazi-fascisti diffusi su tutto il territorio europeo).
Rimangono in piedi – devono rimanere in piedi – nelle modalità possibili, le mobilitazioni e le iniziative antirazziste e pacifiste, a sostegno di chi subisce oppressioni e discriminazioni, di chi s’impegna per i propri diritti, di chi, profugo e richiedente asilo, vive, come attualmente a Lesbo, in condizioni drammatiche, vittima degli attacchi della polizia e dei fascisti greci.
Esemplificando, rimane in piedi qui a Firenze, anche se spostata nel tempo, l’iniziativa per ricordare Lorenzo Orsetti (caduto un anno fa combattendo contro l’ISIS) e per esprimere solidarietà alla lotta del popolo curdo nel Rojava, iniziativa già in programma per il 18/3 – data della morte di Lorenzo – e rinviata, appunto, per le disposizioni emergenziali.
Il permanere della vita democratica – Abbiamo di fronte il problema di come conciliare la tempestività e l’efficacia degli interventi riguardanti il “Coronavirus” con il permanere di una vita democratica, sia a livello sociale che istituzionale (criticabile la scelta fatta dalla Camera di riunirsi a ranghi ridotti – erano sicuramente possibili altre soluzioni in grado di attenuare i rischi del contagio senza nel contempo far venir meno la rappresentatività ed il ruolo del Parlamento), svolgendo un’azione decisa contro la tendenza, che rischia di diventare senso comune, a ricorrere ad un potere forte e centralizzato per far fronte all’emergenza.
È, in qualche modo, la prospettiva del “potere assoluto” richiesto qualche mese fa da Salvini, in nome delle sue teorie disumane sui respingimenti di profughi e richiedenti asilo e sulla chiusura dei porti, prospettiva poi messa in un angolo insieme al suo promotore, ma sempre in agguato di fronte alle difficoltà che man mano si presentano.
Sono assolutamente da contrastare, inoltre, i tentativi, già in atto, di far riprendere a pieno ritmo l’attività lavorativa, dopo l’inevitabile periodo di stasi, puntando sulle grandi opere inutili e dannose (mi riferisco in particolare, per quanto riguarda la nostra zona, all’ampliamento dell’aeroporto di Peretola ed al sottoattraversamento TAV di Firenze).
Altre, come ben sappiamo, sono le priorità di cui tener conto, con ricadute occupazionali indubbiamente superiori a quelle degli interventi citati in precedenza, a partire dalla messa in sicurezza del territorio e delle scuole – l’unica grande opera di cui c’è veramente bisogno – e dall’immettere nei servizi pubblici – sanità e istruzione in primo luogo – le energie e le risorse necessarie.
L’indispensabile taglio delle spese militari – Per quanto riguarda le risorse, sia per fronteggiare la diffusione del contagio che per avviare la ripresa economica, tutelando i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori (vedi in proposito le proposte di “Sbilanciamoci”), quale migliore occasione per dare un taglio sostanzioso alle spese militari, a cominciare dall’annullamento dell’acquisto degli F35 e dal ritiro delle missioni militari in varie zone del mondo? Ci sono un’emergenza grave, e le sue conseguenze relative all’economia, da affrontare: ciò dovrebbe giustificare, anche per gli incerti, timorosi, indecisi, oggi al governo, un taglio drastico di quanto lo Stato spende per le armi e per l’esercito (in un Paese, che, per Costituzione, “ripudia la guerra”).
Proprio ai soggetti come “Firenze città aperta”, che si sono posti l’obiettivo di fare politica con una grande attenzione ai contenuti e con modalità nuove, si impone il compito di coniugare il superamento del contagio con prospettive diverse di sviluppo – uno sviluppo che si basi su parametri nettamente diversi da quelli consueti, con un riferimento centrale alla qualità della vita di tutte/i e non più solamente al PIL. Compito che andrebbe svolto con sollecite iniziative politiche: prese di posizione, denunce, critiche, ma anche proposte e progetti.
Il ruolo della mobilitazione e dell’autorganizzazione popolare – In conclusione, ed in sintesi, come altre volte nella storia della nostra città e del nostro Paese (cito, a titolo di esempio, l’esperienza dell’alluvione del ’66), un ruolo importante per la ripresa, sconfitto il contagio, può essere svolto dalla mobilitazione e dall’autorganizzazione popolare (un’occasione di presenza, di visibilità, di rilancio per quel che resta della sinistra).
E ciò potrebbe portare ad un positivo incontro fra chi è portatore di esperienze storiche (le grandi organizzazioni associative e sindacali) e chi anima i nuovi movimenti (i “Fridays for future”, le “Non una di meno”, le “Sardine”, se riescono a sopravvivere a questa fase così complicata).
Anche in questo caso, vale il detto “se non ora, quando”?
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