Le discussioni in parlamento in materia di salario minimo e povertà lavorativa
La scorsa settimana si è tornato a parlare, in parlamento, di salario minimo. Si tratta di un tema che in Italia si discute da anni, ma su cui ancora non sono state prese decisioni vincolanti. La posizione delle nuove camere in materia si è espressa nei giorni scorsi, quando sono state respinte una serie di mozioni presentate da Andrea Orlando (Pd), Giuseppe Conte (M5s), Matteo Richetti (Iv) e da Marco Grimaldi (Avs) in favore all’introduzione del salario minimo. Invece l’unica mozione approvata è stata quella della maggioranza, firmata da Chiara Tenerini (FI), contraria al salario minimo e favorevole al ricorso a misure alternative per tutelare i lavoratori.
A oggi l’Italia è uno dei pochi stati membri dell’Unione europea a essere sprovvisto di una misura di salario minimo. Infatti nel nostro paese il livello minimo dei salari viene stabilito tramite contrattazione collettiva, a seconda del settore. Uno dei principali problemi legati all’assenza di un salario minimo per tutti è la cosiddetta povertà lavorativa. Ovvero quando una persona, nonostante sia occupata talvolta anche a tempo pieno, percepisce un salario inferiore alla soglia di povertà.
Il fenomeno della povertà lavorativa in Europa
Nonostante l’Unione europea la consideri un fenomeno da arginare, è ancora ampiamente diffusa, e l’Italia è uno degli stati membri con più lavoratori a rischio. Prevenire tale condizione fa parte di un progetto più ampio, ovvero della strategia comunitaria per arginare la povertà.
I lavoratori hanno diritto a una retribuzione equa che offra un tenore di vita dignitoso. Sono garantite retribuzioni minime adeguate […]. La povertà lavorativa va prevenuta. – Pilastro europeo dei diritti sociali
Si definisce povertà lavorativa il fenomeno per cui persone regolarmente occupate che risultano essere a rischio povertà, ovvero che hanno un reddito disponibile equivalente al di sotto della soglia di povertà relativa (fissata al 60% del reddito mediano nazionale).
Ci sono una serie di fattori che incidono su questa condizione, ad esempio la cittadinanza (gli stranieri sono quasi ovunque più esposti a questo fenomeno). Ma anche l’età (a scapito dei giovani) e il livello di educazione (l’incidenza è maggiore tra chi non possiede un titolo di studio terziario).
Un altro elemento importante è l’intensità lavorativa. In tutti i paesi Ue tranne Belgio, Irlanda e Finlandia oltre il 20% degli adulti parte di nuclei familiari a bassa intensità lavorativa è a rischio povertà, come evidenzia Eurostat. In 6 stati tra cui l’Italia il dato supera il 40%, con la cifra più elevata registrata dal Portogallo (54%).
Tuttavia anche tra chi lavora intensamente l’incidenza è elevata. Il 9,4% delle famiglie a elevata intensità lavorativa è a rischio povertà, con picchi del 19,8% in Romania e del 14,3% in Lussemburgo. In Italia, è a rischio povertà il 40,2% delle famiglie a bassa intensità lavorativa, il 25,7% di quelle a intensità media e l’8,3%% dei nuclei a intensità lavorativa alta.
Quanto incide la povertà tra i lavoratori negli stati Ue
Nel 2021, quasi un decimo di tutti i lavoratori, mediamente nell’Unione europea, è a rischio povertà.
Si tratta di un dato che nel corso dell’ultimo decennio è rimasto sostanzialmente invariato, registrando solo lievi oscillazioni ma attestandosi sempre tra l’8% e il 10%. Mentre da paese a paese la situazione risulta fortemente differenziata.
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GRAFICO
In 8 stati Ue oltre un decimo dei lavoratori è a rischio povertà
I lavoratori a rischio povertà negli stati Ue (2021)
DA SAPERE
I dati si riferiscono alle persone di età tra i 18 e i 64 anni con un impiego, che risultano essere a rischio povertà, nel 2021. Sono considerate occupate le persone che hanno svolto un lavoro per almeno metà anno. Il dato della Slovacchia è relativo al 2020.
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La Romania riporta il dato più elevato d’Europa, con il 15,2% dei lavoratori che risultano essere a rischio povertà. Seguono il Lussemburgo (13,5%) e la Spagna (12,7%) e, al quarto posto, l’Italia (11,7%).
Nel corso dell’ultimo decennio, il miglioramento più pronunciato si è verificato in Grecia (che nel 2012 arrivava quasi al 14%) e in Romania (dove nello stesso anno sfiorava il 19%). Mentre in 10 paesi membri c’è stato un peggioramento, significativo soprattutto in Lussemburgo (+3,2 punti percentuali) e Bulgaria (+2,6). Mediamente in Ue non c’è stato alcun cambiamento.
In Italia, il picco è stato raggiunto nel 2017 e nel 2018 (12,3%). Ma nel complesso la quota di lavoratori a rischio povertà è leggermente aumentata nel corso dell’ultimo decennio: nel 2012 si attestava all’11,1%.
La povertà lavorativa colpisce sproporzionatamente i giovani
Tra le categorie più esposte alla povertà lavorative ci sono in particolar modo le persone più giovani, di età compresa tra i 18 e i 24 anni.
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In Danimarca il divario più ampio tra giovani e media
La quota di lavoratori poveri, in media e nella fascia 18-24 anni, nei paesi Ue (2021)
Con “lavoratori poveri” si intende le persone con un impiego, che risultano essere a rischio povertà. Sono considerate occupate le persone che hanno svolto un lavoro per almeno metà anno. Non è disponibile il dato slovacco relativo al 2021.
La Romania è il paese Ue con la quota più elevata di lavoratori a rischio povertà, sia come media nazionale (15,2%) che specificamente nella fascia dei più giovani (21,1%).
Il divario più ampio tuttavia è quello della Danimarca (14,2 punti percentuali). Seguono in questo senso Bulgaria (8,2 punti) e Lussemburgo (7,3). Sono pochi gli stati membri in cui il divario è invece a vantaggio dei giovani: prima da questo punto di vista la Lettonia (5 punti percentuali).
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