In quasi mezzo secolo di vita il CRS si è misurato con le diverse forme di statualità e soprattutto con i processi di crisi che le hanno segnate. Lo Stato del comando e controllo, che non comanda e non controlla più, come dimostrano l’ipertrofia burocratica e la diffusa illegalità. Lo Stato del welfare che non ha ancora risolto il problema della standardizzazione delle risposte alla molteplicità dei bisogni. Lo Stato che voleva diventare regolatore dell’economia, ma ha finito per essere regolato dal capitalismo globalizzato.
Tutti questi esiti negativi sono emersi prepotentemente nella grande crisi di questi anni e rendono quanto mai necessaria l’individuazione di nuove strade. Nel contempo la radicale trasformazione dei paradigmi produttivi e di consumo, i nuovi stili di vita e le opportunità tecnologiche contribuiscono in vario modo a ripensare le forme di governo della cosa pubblica.
Tutto ciò converge verso la maturazione di un nuovo paradigma istituzionale, di una statualità relazionale che organizza la collaborazione tra le persone per la cura dei beni comuni. Di questa tendenza sono espressione molte esperienze sociali, iniziative civiche e perfino alcuni regolamenti comunali. C’è un fiorire di sperimentazioni nel recupero dei vecchi quartieri, nel riuso di immobili pubblici, nella cura delle risorse ambientali, nell’invenzione di nuovi servizi sociali, nella creatività delle produzioni culturali autogestite.
La nuova tendenza era stata avvertita con grande anticipo da Pietro Ingrao già negli anni Ottanta; bisognerebbe rileggere alcune sue pagine sullo “Stato che aiuta a fare”. E l’ultimo libro di Giuseppe Cotturri, Romanzo popolare, mostra come si può attualizzare quella ispirazione
Si tratta di qualcosa di più e di diverso della vecchia e onorata visione della partecipazione, che in pratica ha svolto, nei momenti migliori, un compito di mitigazione della crisi dei tre vecchi modelli di statualità. Oggi, invece, si pone l’esigenza di ripensarli nella forma di un ecosistema istituzionale della cittadinanza attiva.
Le esperienze collaborative non solo affermano nuovi principi istituzionali, ma rinvigoriscono anche i precedenti, almeno come effetto secondario. Il protagonismo dei cittadini, infatti, implica maggiore trasparenza ed efficacia del comando e controllo, costringe il welfare a misurarsi con la molteplicità dei bisogni, richiama la regolazione pubblica alle sue responsabilità costituzionali.
Certo, l’innovazione non è solo formale, ma implica un ribaltamento del modello di sviluppo. La collaborazione va in collisione con la logica estrattiva dell’economia finanziarizzata e si applica alla generazione e alla cura dei beni comuni, ben oltre la vecchia antinomia tra pubblico e privato.
È anche in contrasto con la tendenza dell’amministrazione automatica che affida ogni decisione all’oscurità degli algoritmi o alla bulimia normativa. Per interloquire con la cittadinanza attiva occorre un’amministrazione intelligente che si assuma le responsabilità delle decisioni nella trasparenza istituzionale e nella competenza di gestione delle policies. Si apre anche un grande tema teorico di come si possa coniugare il diritto formale con l’informalità delle relazioni.
La statualità collaborativa è una sfida per la formazione di una nuova generazione di politici. È sotto gli occhi di tutti la sterilità della personalizzazione che chiede voti ma non sa dare risposte. C’è bisogno di una nuova politica capace di governare insieme ai cittadini i processi di trasformazione delle società complesse.
Mentre risultano ancora impermeabili i rami alti delle istituzioni, le città sono diventate i laboratori della condivisione sociale. A Roma le sperimentazioni sono molto vivaci, ma rischiano di rimanere soffocate dalla crisi del governo cittadino. Occorre un salto di qualità. Le iniziative dal basso possono diventare un movimento politico per la riforma dell’istituzione comunale e per la rinascita della città. Infatti le domande, le esperienze, le pratiche di cui questo tessuto di cittadinanza attiva è portatore mette radicalmente in discussione la macchina amministrativa. Non si tratta solo di renderla più efficiente, come ovviamente c’è bisogno, ma di ripensarla, riprogettarla.
A tale prospettiva il CRS intende dare un contributo di studio e di intervento, coinvolgendo le competenze scientifiche, gli interlocutori politici e la cittadinanza attiva.
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