Lavoro e vita quotidiana. Un grande tema del pensiero. Della nostra esistenza quotidiana. Eppure largamente trascurato, rimosso, avvolto in un enigma. Un enigma misterioso, dice Totaro. Le scienze sociali – diritto, economia, sociologia – e le istituzioni collettive – Stato, sindacato, partiti – si occupano e si preoccupano giustamente della vita lavorativa (espressione sintetica, di grande significato: da rivalutare). Ma egualmente eludono il grande tema: che rapporto c’è – può, deve esserci – tra lavoro e vita?
Lavoro e vita 1. Il rapporto tra lavoro e vita è, in verità, un tema classico della riflessione filosofica e antropologica. Ma è un rapporto rappresentato in modo sbagliato: un rapporto di tipo gerarchico. Si risponde prioritariamente e astrattamente alla domanda che cosa è l’uomo, che cosa è la natura umana: la variabile indipendente del discorso. E a partire dalla risposta a questa domanda si deducono le funzioni concrete alle quali dovrebbe assolvere il lavoro: la variabile dipendente. Non è un caso che le uniche due grandi filosofie del lavoro delle quali il pensiero occidentale dispone – quella marxiana e arendtiana – siano ancora oggi considerate delle filosofie eretiche. Se non addirittura stravaganti. Due filosofie certamente controverse e, peraltro, “l’una contro l’altra armate”. Ma che hanno provato – ciascuna a suo modo – a fuoriuscire dal sonno dogmatico della filosofia classica, rifiutando il postulato che dall’ idea di uomo – da una idea astratta della natura umana – vada dedotta la funzione della vita umana e della vita lavorativa. Karl Marx e Hanna Arendt, viceversa, mettono al centro della loro riflessione la condizione lavorativa e la condizione umana. Con domande ‘impertinenti’, dirette, essenziali. Cosa facciamo quando lavoriamo? Cosa facciamo nella vita quotidiana? Quale rapporto c’è tra queste due cruciali condizioni della nostra esistenza?
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