Nel pieno di questa caldissima estate le organizzazioni sindacali Filcams, Nidil e Filt hanno presentato innanzi al Tribunale di Milano, a conclusione di un complesso percorso di lotte giudiziarie, una class action al fine di ottenere il riconoscimento per tutti i rider del loro diritto a ricevere i trattamenti previsti dalla contrattazione collettiva rappresentativa.
È una iniziativa senza precedenti e indubbiamente dirompente promossa nei confronti dell’azienda simbolo del settore del food delivery il cui amministratore delegato ricopre anche la carica di rappresentante dell’associazione di categoria, Assodelivery, che ha sottoscritto nel settembre 2019 il controverso contratto collettivo Ugl Rider.
L’affondo al CCNL Ugl Rider era nell’aria dopo il provvedimento del Tribunale di Bologna che nel giugno di quest’anno, ha accolto un ricorso per condotta antisindacale, ordinando a Deliveroo di astenersi dall’applicare il contratto collettivo ritenuto non rappresentativo.
L’azienda aveva risposto all’ordine del giudice felsineo ritenendosi vincolata per la sola area di Bologna e si era inoltre astenuta dall’applicare il contratto collettivo del commercio o della logistica stipulati dalle organizzazioni sindacali confederali che prevedono condizioni economico e normative di gran lunga superiori a quelle del CCNL Ugl Rider.
Il controverso contratto “Rider”, pomposamente presentato come la prima regolamentazione europea del rapporto di lavoro dei rider è in realtà nato in sordina e in tutta fretta, mentre l’associazione di categoria delle aziende del settore era impegnata in una trattativa ufficiale, seduta al “tavolo” ministeriale con le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative.
Lo stesso ministero del Lavoro e l’Ispettorato nazionale avevano sin da subito manifestato il loro disappunto per tale iniziativa, emersa come un fiume carsico in prossimità della scadenza del termine di legge che avrebbe consentito ai rider di accedere alle stesse tutele contrattuali dei lavoratori impiegati nei settori affini.
Assieme alle immediate reazioni delle organizzazioni impegnate nella trattativa, gli organi del ministero del Lavoro avevano segnalato con circolari interpretative l’inadeguatezza della regolamentazione applicata dalle aziende del settore che si erano vincolate a un contratto collettivo, sottoscritto con una sola associazione non rappresentativa, che sanciva il cottimo, introduceva insufficienti trattamenti normativi e comunque affermava l’autonomia dei rapporti di lavoro dei rider.
La Cgil, dopo aver ottenuto il riconoscimento della opacità e del carattere discriminatorio dell’algoritmo che governa il rapporto di lavoro dei rider sottoposti a sistemi di valutazione, che ne condizionano le possibilità di reddito e, persino, la stessa permanenza del rapporto di lavoro, aveva, quindi, promosso in diversi tribunali una serie di azioni individuali per vedere riconosciuta la natura subordinata della prestazione e il riconoscimento di condizioni di lavoro eque e dignitose.
Le iniziative giudiziarie, sebbene conclusesi positivamente, avevano, tuttavia, il limite di consentire il riconoscimento dei diritti ai soli lavoratori che decidevano di esporsi e affrontare personalmente le multinazionali del settore e presentavano, proprio per tale ragione, una limitata efficacia per la categoria.
La mancanza di una azione idonea a produrre effetti generalizzati consentiva, quindi, alle multinazionali del settore di continuare a disconoscere i diritti a questi nuovi lavoratori portatori, tuttavia, di aspirazioni antiche a condizioni di lavoro eque.
L’estensione, dopo una serie di rinvii, della possibilità di promuovere una class action anche in materia lavoro consente finalmente di estendere a tutta la categoria di rider le giuste condizioni di lavoro alle quali anche i lavoratori della c.d. gig economy hanno diritto.
L’azione inibitoria collettiva, così definita dal codice di procedura, permette agli enti portatori di un interesse comune, a un gruppo omogeneo e a ogni persona appartenente a tale gruppo, che subisca la medesima lesione, di rivolgersi al tribunale per ottenere un provvedimento con il quale viene inibita la condotta pregiudizievole.
Con questa iniziativa sottoposta al vaglio del Tribunale di Milano viene richiesto al giudice di affermare con carattere di definitività e in forma generalizzata l’illegittimità del contratto collettivo applicato dalle aziende del food delivery onde estendere a tutti i rider le stesse condizioni economico e normative applicate agli altri lavoratori del settore.
Sebbene anche la giurisprudenza amministrativa, nel respingere i ricorsi promossi da Assodelivery avverso le circolari interpretative ministeriali, abbia riaffermato nell’agosto di quest’anno l’illegittimità del CCNL Ugl Rider, non sono poche le complessità tecniche che il Tribunale di Milano dovrà affrontare nel delibare questa innovativa iniziativa mirata a dare il colpo finale al contratto collettivo che vanifica le aspettative dei rider.
I benefici ottenibili con tale iniziativa giustificano ampiamente l’azione, nonostante le indubbie difficoltà che la caratterizzano. L’auspicato accoglimento del ricorso spianerebbe la strada non solo a condizioni di lavoro generalizzate e conformi ai trattamenti della contrattazione collettiva rappresentativa, ma permetterebbe anche di valutare le potenzialità di una iniziativa giudiziaria fino a oggi sconosciuta.
L’esito positivo non solo eliminerebbe uno dei principali “fattori distorsivi della contrattazione del settore e di precarizzazione del lavoro” – come affermato nella nota della Cgil diffusa all’indomani dell’iniziativa – ma consentirebbe anche di verificare l’idoneità di questo potente strumento di politica giudiziaria come strumento di gestione delle controversie collettive, che già in questo inizio di autunno si presentano numerose nell’agenda sindacale.
Qui il PDF
Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *
Nome *
Email *
Sito web
Do il mio consenso affinché un cookie salvi i miei dati (nome, email, sito web) per il prossimo commento.