Dico subito che sono stato chiamato
in veste di poeta di famiglia.
Il compito assegnatomi è preciso.
Ha detto Mario:
«Fai una delle tue poesie».
Che poi sarebbero quei testi brevi
gravidi di evocazioni e suggestioni,
molto più che di spiegazioni.
E già questo è un incipit trontiano.
Ognuno si sceglie il suo Tronti.
Succede così coi Maestri,
quello che semini cresce,
però non ti appartiene.
Questo significa anche
che, dentro ciascuno di noi,
germogliano insegnamenti diversi,
a seconda della stagione della vita,
a seconda delle stagioni del mondo.
I maestri prendono forme diverse,
cambiano. Insieme a noi,
insieme al mondo.
In principio, fu il giovane Tronti.
Il Tronti dei Grundrisse.
Il Tronti che rifonda Marx
attraverso un’opera inedita
che azzera il materialismo dialettico:
l’opera più apodittica di Marx.
Direbbe Alberto Asor Rosa:
un Marx paratattico,
proprio come la mente dei giovani.
Senza subordinate e concessive,
senza bisogno di dimostrare
ma solo con una voglia disperata
di affermare, di trasformare.
Quanto dura il giovane Tronti?
Quanto brucia quel fuoco?
Per molti della mia generazione
e – forse – per la cultura italiana,
Mario Tronti resterà scolpito
in quell’innamoramento infantile:
l’amore, la travolgente passione
per Operai e capitale
il libro cult del ’68.
Ma anche, come ebbe a dire Rossanda,
nell’innamoramento infantile
di tutta la società italiana
col mondo degli operai e della fabbrica.
Poi, arriva il tempo della crescita,
il tempo dell’autonomia del politico.
Una brusca virata che Mario
impone a se stesso, e ai suoi seguaci.
Molti lo applaudono,
pochi lo seguono.
Forse neppure lui stesso,
certo non il movimento operaio.
Ecco, in questo passaggio
ci sono solo fratture.
La chiave di questo passaggio
è nelle sue fratture.
La prima e più macroscopica
è col movimento operaio.
Che non comprende,
non può capire,
raccogliere e decifrare il messaggio
dell’autonomia del politico.
Il passaggio dall’eresia alla profezia.
Raccogliere il testimone di Cromwell
– Stato e rivoluzione in occidente –
si è rivelata un’impresa impossibile.
Ci son voluti vent’anni per scoprirlo,
per ritrovarci impreparati: nudi
all’appuntamento col politico.
Non è vero che siamo stati sbaragliati
dalla forza dell’avversario:
i comunisti a Palazzo Chigi
sono durati così poco
anche per la mancanza
di una teoria del governo.
La politica, aveva scritto Tronti
vent’anni prima, è scienza.
La politica è grande teoria.
Ma quando il velo della profezia si è squarciato,
eravamo già tutti sotto le macerie.
Non solo il movimento operaio
– però – non ha ascoltato quel grido.
Anche Mario si è ritirato, contratto,
ripiegato sul suo messaggio.
Asor Rosa direbbe: in un silenzio
gravido di pensieri.
Però – aggiungerebbe Accornero –
se li è tenuti per sé.
Perché la teoria del politico,
che ci aveva annunciata e proclamata,
Mario non ce l’ha mai data.
Forse, non poteva darla.
Ma io non so – ecco, questa è una domanda –
se ci abbia veramente provato.
Se, da quel punto in avanti,
abbia più creduto in se stesso:
in se stesso, in Mario Tronti
come macchina da guerra teorica.
Per molti anni, in quegli anni,
silenziosamente al suo fianco
gliel’ho chiesto – me lo sono chiesto.
L’ultima volta, nell’85,
eravamo sul Kapuzinerberg,
nella Vienna della grande crisi,
la crisi del pensiero moderno.
Dopo una visita al Karl Marx-Hof
il fortilizio operaio
simbolo della resistenza al nazismo.
Parlammo di un Locke comunista,
e di un libro sulla democrazia
che mettesse i piedi nel piatto.
E cercasse di ridare forma – e un’anima –
ai cocci della democrazia e dello Stato.
Nei boschi del Kapuzinerberg:
credo sia stata l’ultima volta,
Mario, che ti ho visto cercare
– ancora con interesse e passione,
le tracce dell’autonomia del politico.
Poi, i sentieri si sono interrotti.
E il futuro
ce lo siamo lasciati alle spalle.
Però, non è sceso il silenzio.
Si è aperta una nuova stagione
un Tronti segreto, un Tronti mistico.
Che ha accompagnato il millennio al suo epilogo.
Questo è il penultimo Tronti.
Il Tronti amico. Direbbe Cacciari:
il Tronti com-passionevole.
Che ha trasformato la sfida titanica
in metafisica quotidiana.
Un esercizio spirituale,
in bilico tra Occidente e Oriente.
Invece che col vagone blindato,
un viaggio fatto con la mente,
un mix di yoga e tao chi.
Approfittando dei molti monasteri
sparsi per i nostri Appennini,
e della possibilità che offrono
di spegnere i cellulari
e riaccendere la fiammella della Storia.
Dai monasteri a Montecitorio
e siamo al Tronti attuale,
il Tronti presidenziale
Il Tronti alquanto paludato
che abbiamo visto sempre più spesso
officiare celebrazioni importanti,
il Tronti – direbbe Rita di Leo,
la sola così amica che può dirlo –
che riesce perfino a crogiolarsi
con un pizzico di cult lichnosti.
Non vorrei fare però
a Mario – e a voi –
il torto
di chiudere su questa immagine buonista,
quasi che Mario fosse diventato davvero
ciò che sovente – in questi ultimi anni –
ha dato mostra di essere.
Resto convinto che,
mai come in questo caso,
si debba dire che le apparenze ingannano.
Questo Tronti è un Tronti bifronte.
Mostra una faccia,
e ne nasconde un’altra.
La faccia nascosta di Mario
è probabile che la conosceremo solo postuma.
Cioè, tra moltissimi anni.
In un libro indicibile.
Anche se io continuo a sperare
che questo libro che cela nel cassetto
del suo fidatissimo Mac,
Mario si decida a tirarlo
fuori
e a pubblicarlo al più presto.
L’unica cosa che posso anticiparvi,
è il titolo, al quale ho dato
un piccolo contributo:
Memorie dall’Oltretronti.
Non ci dirà dove stiamo andando.
Ma certo ci aiuterà a capire come
siamo diventati ciò che siamo.