Il risultato delle elezioni del Sindaco del Comune di Palermo del 12 giugno 2022 certificano con chiarezza la fine di un ciclo politico e sociale e l‘inaugurazione di una nuova fase per la città. La lunga sindacatura di Leoluca Orlando possiamo dividerla in tre fasi. La prima esperienza del giovane amministratore democristiano che, ispirato da Padre Ennio Pindacuda e da un gruppo di cattolici impegnati nella politica locale nell’esperienza di “Città per l’uomo”, riuscì a rappresentare alla fine degli anni ottanta la necessità del cambiamento dei vertici di Palazzo delle Aquile mettendo fuori gioco la potente corrente andreottiana rappresentata da Salvo Lima e dal sindaco Vito Cianciamino.
Si interrompe il lungo sacco alla città e si aprono le porte dell’amministrazione comunale alle istanze innovative della società palermitana. La prima elezione a sindaco di Orlando è un’operazione squisitamente politica e istituzionale, in buona parte consumata dentro le geometrie del consiglio comunale. I segnali di discontinuità furono straordinari e Palermo divenne “il laboratorio politico” da osservare per giornalisti e politologi di tutta Europa. La fucina di idee e di speranze rappresentata da un gruppo di intellettuali cattolici del Centro Arrupe con padre Ennio Pintacuda e poi con padre Bartolomeo Sorge, sostenne, sia sotto il profilo politologico sia nel rapporto con la città e i media, l’esperienza di un gruppo minoritario della sinistra democristiana che dialogava con il mondo laico e con i comunisti e l’estrema sinistra. A Palermo si sperimentava il primato della “società civile” e del “pre-politico” il Centro di via Franz Lear divenne il riferimento per tanti giovani palermitani e si trasformò in un luogo dell’elaborazione e d’innesco della cosiddetta “rivoluzione gentile”. Questa esperienza descritta con un linguaggio mutuato dalla teologia della liberazione e con i tratti e le fascinazioni giovanili originali e coraggiosi, dimostrò, seppur per un lasso di tempo circoscritto, che la discontinuità dal potere democristiano palermitano e dalla signoria mafiosa esercitata sulla città era possibile.
Furono anni di entusiasmo, di semplificazioni, di speranze e di errori che segnarono una generazione di cittadini impegnati in politica e nel volontariato.
La capacità di rappresentazione eroica del giovane Orlando e della sua giunta di intellettuali di sinistra e di ambientalisti (la fotografa Letizia Battaglia, e tanti intellettuali della sinistra extraparlamentare si resero disponibili a fare gli amministratori) e la valorizzazione della società civile contrapposta retoricamente alla società politica suscitò entusiasmi e divenne uno dei contenuti maggiormente declarati nei dibattiti politici del periodo. Orlando ebbe nella sua prima sindacatura una grande attenzione mediatica, certamente superiore alla sua forza numerica in consiglio comunale. Le parole e il pathos del sindaco democristiano che rompe con i vecchi poteri e con le collusioni divennero elementi catalizzatori di un processo di cambiamento nella società fatto di una miscela di parole e di pratiche amministrative. Conclusasi questa prima esperienza la seconda fase della sindacatura orlandiana coincide con la legge dell’elezione diretta dei sindaci. Inizia la cosiddetta “primavera palermitana”. Sono gli anni delle stragi di mafia, degli attentati di Capaci e di via D’Amelio. Palermo, e tutto il Paese, sono colpiti dalla ferocia mafiosa e in tanti palermitani esprimono tutta la loro rabbia e la loro disperazione. I primi anni novanta segnano, anche a livello nazionale, una crisi verticale del rapporto tra società e politica. Nel grido, forte e risentito, del Cardinale di Palermo Mons. Pappalardo ai funerali del prefetto Dalla Chiesa e di sua moglie Emanuela Setti Carraro, nel corso di un’omelia che rimarrà storica affermò: «Dum Romae consulitur… Saguntum expugnatur», mentre a Roma si pensa sul da fare, la città di Sagunto viene espugnata dai nemici! E questa volta non è Sagunto ma Palermo. Povera Palermo!”. Le istanze sociali e culturali di una città ferita assumono tante forme e si assiste al proliferare di associazioni e comitati. Alcune di queste voci acquistano subito una visibilità nazionale, ad esempio il comitato dei lenzuoli espresse la voglia di fare una scelta pubblica in una città impaurita e omertosa, di sfidare i poteri mafiosi a volto scoperto. Sono pratiche iconoclaste e trasgressive di minoranze che riescono a rappresentare un sentire comune. Orlando è immerso in questo fiume in piena e lo rappresenta nell’arena politica, rompe definitivamente tutti gli steccati ideologici e fonda il movimento per la democrazia La Rete, espressione di questi autentici ed al contempo ingenui moti di ribellione. È il 1993 e inizia la seconda fase dell’esperienza amministrativa e politica di Leoluca Orlano, “u sinnacu”, che lo vedrà sindaco con due mandati consecutivi fino al 2000 e poi nuovamente primo cittadino nel 2012 e nel 2017 fino al giugno scorso.
I due mandati dal 1993 al 2000 esprimono i pregi e i limiti dell’azione amministrativa e della prospettiva politica del gruppo dirigente scelto da Orlando. È la stagione dei grandi progetti per la città, degli interventi di risanamento del centro storico e delle periferie, è il periodo della cultura e dell’apertura della chiesa dello Spasimo e del teatro Massimo. In Orlando c’è una sapienza nel saper miscelare gli elementi simbolici e pedagogici e, contestualmente, esprimere un realismo cinico capace di rinviare, di non affrontare questioni antiche, una tra tutti il problema dei rifiuti e della burocrazia comunale. Conoscitore assoluto delle pieghe amministrative del Comune di Palermo e sornione dispensatore di innovazione e di conservazione. La terza fase della sua sindacatura dal 2012 al 2022 confermano che è l’unico candidato, che in un lunghissimo periodo per la politica riesce a mantenere il consenso e una credibilità istituzionale.
L’ultimo decennio possiamo definirlo dello “status quo”. La crisi economica, che ha investito anche la città di Palermo, le difficoltà dei bilanci comunali e della carenza strutturale delle risorse economiche rallentano l’azione amministrativa, le competenze e le qualità della sua giunta non convincono, si affievolisce il consenso per il progetto politico e si inaugura una stagione che potremmo definire di “navigazione a vista” di matrice neo-centrista. L’Orlando degli anni novanta è scomparso e al suo posto c’è un sindaco combattivo ma con risorse limitate, sostenitore della multietnicità della città e dell’accoglienza ma disattento alle nuove istanze della società palermitana, incapace a parlare e a dare soluzioni al ventre molle della città, fatto di marginalità, di welfare mafioso e di consenso clientelare. Inizia a farsi strada che sia diventato compatibile convivere con i poteri illegali di una mafia cittadina che si è modificata, non è più stragista e garantisce una pax mafiosa nella città. Una mafia che sa integrare la disperazione degli emarginati con i piccoli privilegi del ceto medio urbano. L’idea della cittadinanza e della trasparenza che annientano i poteri oscuri si affievolisce, al suo posto ci sono soluzioni di breve periodo.
Si arriva alle ultime elezioni con una candidatura debole e poco conosciuta, negli ultimi decenni il movimento della primavera palermitana si è consumato, e la capacità delle formazioni sociali e politiche cittadine di formare un nuovo gruppo dirigente non è messa neppure in agenda. Le bare al cimitero dei Rotoli, la spazzatura che invade il centro storico e i monumenti diventano i simboli di un’incapacità a governare. Le tante scelte coraggiose e innovative vengono coperte da un ripiegamento sull’esistente. “U sinnacu” Orlando vince sempre, perché è lui, e perché solo lui è riuscito meglio di tanti a rappresentare lo spirito di una grande capitale del Mediterraneo. Qualcuno dovrà chiedersi perché nessun altro candidato del centro-sinistra sia riuscito negli ultimi trent’anni a rappresentare un’alternativa credibile per i cittadini palermitani. Le alchimie di corto respiro dei dirigenti delle formazioni politiche si sono rivelate inconcludenti, il blocco progressista e di sinistra, nel lungo periodo di governo ha costruito un volto nuovo alla città. La ZTL, tanto contestata da commercianti è l’unico luogo della città abitato da quella parte del ceto medio che ancora si identifica con una proposta progressista.
Il famigerato “campo largo” e la capacità di rappresentare in maniera interclassista lo ha costruito la coalizione del centro-destra unita, il professore Lagalla, rettore, più volte assessore regionale e uomo moderato, è riuscito a convincere i palermitani che, tante cose nella città si possono conciliare, che la mediazione, forse anche la clientela, e la gestione quotidiana possono conciliarsi con le esigenze di una grande area metropolitana. Il vincitore con il 47,6% dei voti, eletto da meno della metà dei palermitani, sicuramente è l’uomo della moderazione e, forse anche, di una certa continuità con il recente passato. L’Orlando moderato e ondivago lascia il timone ad un moderato doc, con tutti i pedigree e i sostegni politici, alcuni poco raccomandabili. Lui ufficialmente ha anche preso le distanze da certi personaggi, ma l’ombra di Totò Cuffaro e di Marcello Dell’Utri mettono una grossa ipoteca sull’azione amministrativa perché loro parlano alla pancia di una parte del ceto politico palermitano. Quel ceto politico fatto di piccoli faccendieri e di militanti neo-centristi che non hanno mai interrotto il loro dialogo con la gente che vive nella disperazione e nella distanza dai luoghi della decisione. Un potere dal volto dignitoso si innesta su una serie di opportunità irrimediabilmente perdute. In questi risultati delle elezioni amministrative palermitane si intravede più continuità con il passato che rottura. È forse questo il destino di altre città meridionali che non osando l’innovazione e non investendo sulla crescita di una nuova classe dirigente diventano complici di una deriva neo-centrista, rievocante fantasmi che sembravano definitivamente abbandonati.
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