L’Ucraina non è la Georgia, per sua fortuna: è dieci volte più grande e più forte. Ma la prosopopea con cui il suo presidente, Zelensky, si presenta nei consessi internazionali lo apparenta pericolosamente all’ineffabile Saakashvili, che ha governato la Georgia dal 2004 al 2013.
Da quando Mikheil Saakashvili, per gli amici Misha, s’insediò a Tbilisi, le tentò tutte per entrare nella NATO; esserne parte avrebbe permesso un giorno di invocare a sua difesa l’art. 5 del Patto atlantico. Suo obiettivo era domare le due piccole regioni secessioniste – Abkhazia e Ossezia del Sud – da anni “protettorati” russi; perciò confidava col beneplacito di Washington di attirare Putin in una guerra d’attrito per poi chiamare la NATO a soccorso. Ma anche un bambino poteva capire che per Mosca era inaccettabile l’espansione dell’Alleanza atlantica fino a incidere il “ventre molle” della Russia (a proposito, quanto dista il Caucaso dall’Atlantico e quanto da Mosca?).
Nella vana attesa che l’Alleanza desse il via libera, Saakashvili sbarcò a Washington nel marzo 2008, dove tenne un infiammato discorso pubblico: “L’esercito russo – proclamò – non è abbastanza forte nel Caucaso per ristabilire la situazione all’interno del proprio territorio. Non credo che siano pronti ad avventurarsi sul territorio altrui”. Dopo tali parole un Governo americano che non fosse stato in preda a delirio ideologico gli avrebbe somministrato del Valium congedandolo con un buffetto di ammonizione. Invece Bush Jr. e Cheney accolsero quelle rassicurazioni con tale condiscendenza che il georgiano, appena tornato a Tbilisi, iniziò i preparativi per domare l’Abkhazia e l’Ossezia del Sud.
Peccato che nessuno di loro avesse mai letto “La Guerra del Peloponneso”, il capolavoro di Tucidide. Racconta il grande storico che l’isola di Milos (fingiamo che sia la Georgia) parteggiava per la lontana Sparta (leggasi Washington) invece di allinearsi con Atene (leggasi Mosca), come il resto dell’Egeo. Allora gli ateniesi (cioè i russi) inviarono a Milos un’ambasceria con questo messaggio: “Non siamo venuti a infliggervi discorsi moralistici. No, queste argomentazioni funzionano solo quando si è su un piano di parità; se c’è disparità di forze come nel nostro caso, i più forti esigono e i più deboli abbozzano. Ora siamo qui a proporvi un patto che garantisca tanto i nostri interessi quanto la salvezza della vostra isola”. Al che gli isolani obiettarono: “E come potrebbe convenire a noi esser dominati mentre voi dominate?”. “Presto detto – risposero gli ambasciatori – a voi toccherebbe solo l’obbedienza invece che una dura repressione; e noi trarremmo vantaggio dall’avervi come vicini ed alleati”. Altra obiezione di Milos (sempre la Georgia): “Ma noi confidiamo nella buona sorte e nell’alleanza con Sparta (ovvero Washington)”. Replica degli ateniesi (cioè i russi): “Lasciamo perdere la buona sorte, che non mancherà neppure a noi. Quanto a Sparta, siete degli ingenui se sperate che accorrano in vostro aiuto. Gli Spartani in genere praticano la virtù solo tra loro, stimano giusto solo ciò che giova a loro, quindi non si muoveranno in vostro soccorso”. Tira e molla, alla fine i governanti di Milos rifiutarono la proposta e i delegati di Atene si congedarono dicendo: “Dal momento che riponete tutta la vostra fiducia negli spartani e nella buona fortuna, avete messo in gioco tutto. E perderete tutto”. Dominante sul mare, Atene inviò un corpo di spedizione, cinse l’isola d’assedio e la espugnò.
È uno dei brani arcinoti di Tucidide, ma il georgiano non ne trasse alcun insegnamento. Nella notte tra il 7 e l’8 agosto 2008 ordinò all’esercito di penetrare nell’Ossezia del Sud, dove rimasero uccisi un bel po’ di civili della minoranza russofona. Ovviamente Mosca reagì subito e duramente. Allora Saakashvili, colpito dalla zampata dell’Orso russo, si mise a rosicchiare la cravatta e a urlare al telefono: “Dov’è l’America? Dov’è il Mondo Libero?” (scenetta visibile su internet).
Questo bel risultato ha consentito a Mosca di rafforzare il suo dominio su Abkhazia e Ossezia, le cui popolazioni sono comunque contente di starsene in seno all’Orso, da quanto ho potuto constatare sul posto. Riguardo alla Georgia, i successori di Saakashvili non proclamano – come lui – che la Georgia è “uno Stato chiave per il resto del mondo”; non sventolano negli uffici pubblici le bandiere a stelle e strisce che abbiamo visto a Tbilisi; e non dedicherebbero a Bush un grande viale della capitale, come ha fatto il loro predecessore (Tbilisi è forse l’unica capitale al mondo con una George W. Bush Avenue).
Mutatis mutandis, ora anche il governo ucraino dovrebbe fare attenzione. La dura lezione di realpolitik di Tucidide può lasciare agghiacciati, ma Zelensky ne deve tener conto se vuole salvare il suo Paese dalla rovina. Pare invece – dal modo con cui presenta all’Occidente le sue strategie di guerra e di pace – che tenti di vendere la pelle dell’orso prima di averlo ucciso (per dirla con un proverbio appropriato).
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