L’Afghanistan tra vecchie e nuove emergenze
Da molti anni il paese dell’Asia centrale è vessato da numerosi conflitti e quindi caratterizzato da importanti ondate migratorie. Per via della sua posizione geografica, che connette l’Asia con il Medio Oriente, è da tempo oggetto di mire esterne, ed è stato infatti invaso prima dall’Unione sovietica negli anni ‘80 e poi dagli Stati Uniti a partire dal 2001. A questo si sono aggiunti i conflitti interni, dovuti anche alla presenza di numerosi gruppi estremisti.
Ma l’Afghanistan è anche duramente colpito dagli effetti avversi del cambiamento climatico: gelo invernale, alluvioni, siccità. Eventi che causano anche carestie e insicurezza alimentare e, indirettamente, instabilità anche a livello sociale e politico. Ultimamente, è stato sede di una serie di disastrosi terremoti.
Secondo l’Unhcr, sono 2,7 milioni i rifugiati afghani all’estero: la seconda nazionalità più rappresentata dopo siriani e venezuelani. A questi si aggiungono 3,5 milioni di persone che non hanno oltrepassato i confini nazionali (i cosiddetti sfollati interni). Circa la metà di tutta la popolazione del paese dipende dagli aiuti umanitari. In larga parte, si tratta di bambini e giovani.
Già a settembre 2021 gli sfollati per conflitti erano più di mezzo milione. La cifra è andata poi gradualmente aumentando e a inizio giugno 2022 il dato si attestava al di sopra degli 820mila.
A queste cifre bisogna aggiungere, come accennato, gli sfollati per ragioni ambientali. Secondo i dati dell’Internal displacement monitoring center (Idmc), sono 302 gli eventi climatici estremi che hanno colpito il paese dell’Asia centrale tra il 2008 e il 2021, causando circa 892mila sfollati. Le principali cause sono state le alluvioni e la siccità.
L’Afghanistan è il terzo paese nel mondo dove la siccità causa più sfollati, dopo Somalia ed Etiopia, ed è il secondo maggiormente colpito dalla crisi alimentare, dopo la Repubblica Democratica del Congo. Sono 22,8 milioni le persone attualmente in stato di insicurezza alimentare.
L’accoglienza dei profughi afghani
Dagli anni 2000 ad oggi l’Afghanistan è rientrato quasi ogni anno tra i principali paesi di provenienza dei richiedenti asilo in Italia.
Tra il 2015 e il 2019 la cifra era andata gradualmente calando, passando da circa 4mila persone a meno di 600. Nel 2020 si è registrato poi un leggero aumento, ma soprattutto nel passaggio al 2021, anno della ritirata statunitense e del reinsediamento talebano, il numero di richiedenti asilo afghani è aumentato circa del 900%, passando da 645 a 6.445 richiedenti.
L’approccio adottato dall’Italia è stato quello di favorire l’inserimento dei profughi di nazionalità afghana all’interno del sistema di accoglienza ordinaria (Sai), senza però adottare in questo senso una strategia mirata e omogenea.
L’emergenza afghana non è stata trattata, in Italia e in Europa, come tale. Nel caso dell’emergenza ucraina l’Unione europea ha attivato in modo eccezionale una direttiva risalente al 2001 (direttiva 55) per garantire la protezione speciale temporanea ai profughi ucraini, in qualsiasi paese membro, per un anno, rinnovabile altre 2 volte. Niente del genere è stato fatto invece per gli afghani, nonostante l’emergenza politica, umanitaria e ambientale sia ancora in corso.
In generale l’approccio ai flussi migratori è stato sostanzialmente eterogeneo a seconda della nazionalità, come se gli ucraini fossero gli unici profughi veri del 2022. Eppure gli altri, compresi gli afghani, attraversano difficoltà reali e analoghe, sono altrettanto meritevoli di accoglienza e hanno anche loro diritto a cercare condizioni di vita migliori.
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