Ho già avuto modo di affermare, in altra sede, che la delega fiscale presentata dal Governo Meloni non è né interessante né utile.
Questa valutazione deriva dalla consapevolezza dei problemi e delle difficoltà attuali del fisco italiano. Nell’ordine:
1. Innanzitutto, una enorme evasione di massa di cui sono responsabili, in base ai dati ufficiali presentati annualmente dal Governo, essenzialmente alcune categorie di contribuenti: i lavoratori autonomi e le piccole imprese personali che non dichiarano al fisco percentuali comprese tra il 65 e il 70% dei loro redditi effettivi. Si tratta degli stessi contribuenti ai quali i Governi Conte I e Meloni hanno riconosciuto un sistema di tassazione forfettaria (fino al limite attuale di 85.000 euro di fatturato) che nella versione più recente coinvolge, nel caso dei professionisti, oltre il 90% della platea interessata, contribuenti cui viene concesso di pagare tutte le imposte (Irpef, Iva, Irap addizionali comunali e regionali), in base ad un’unica aliquota proporzionale del 15%, mentre l’aliquota iniziale dell’Irpef è del 23!
2. La frammentazione del sistema tra diverse categorie di reddito (cui si aggiunge la miriade di spese fiscali, trattamenti privilegiati, esenzioni, abbattimenti, ecc.) che fa sì che a parità di reddito complessivo i contribuenti subiscano prelievi differenziati in misura incomprensibile e ingiustificabile.
3. L’eccesso di tassazione sui redditi di lavoro, a causa di un sistema che in Italia, come in altri Paesi europei, è stato costruito negli anni del dopoguerra quando questi redditi rappresentavano il 60-65% del valore aggiunto prodotto ogni anno, mentre oggi raggiungono a stento il 50%, per cui oggi il prelievo appare fortemente sperequato tra le diverse categorie di reddito penalizzando i redditi di lavoro, soprattutto dipendente, e andrebbe redistribuito. All’estero di questo si discute, in Italia no. L’alternativa sarebbe, ovviamente, quella di ridurre l’imposizione sul lavoro di aumentare l’imposizione sui profitti, sulle rendite, sui consumi, sul patrimonio….
4. La difformità di tassazione dei redditi di capitale che distorcono la corretta allocazione dei flussi di risparmio tra i diversi impieghi con pregiudizio dell’efficienza della nostra economia.
5. L’elusione delle imprese multinazionali mediante il ricorso a pratiche di “ottimizzazione fiscale” e ai paradisi fiscali.
6. L’arretratezza del catasto e l’assenza di un’imposizione di tipo patrimoniale adeguata (immobili, ma non solo, successione).
Si potrebbe continuare ricordando i problemi di (dis)funzionalità amministrativa (riscossione, contenzioso).
E va ancora notato che tutti i redditi che sono esclusi dall’Irpef e soggetti a tassazione separata, proporzionale o sostitutiva non contribuiscono al finanziamento delle spese locali in quanto non pagano le addizionali comunali e regionali.
Su tutte queste questioni la delega tace o è reticente. Anzi essa prevede un aumento delle categorie di reddito che sarebbero escluse dall’Irpef. È molto favorevole alle imprese, soprattutto quelle minori, detassa alcune importanti plusvalenze, riduce e peggiora la tassazione dei redditi di capitale, abolisce quel che resta dell’Irap sostituendola con una sovraimposta (?) sulle società di capitale. Sembra affrontare in modo corretto la questione dell’evasione fiscale là dove indica la necessità di utilizzare tutte le banche dati disponibili, ma si contraddice subito dopo con la previsione di un concordato biennale preventivo proprio per chi evade, e che esaminato in modo compiuto sulla base delle informazioni disponibili (banche dati e intelligenza artificiale) risulterebbe dover pagare il doppio, il triplo o più di quanto dichiara adesso, il che non avverrà perché si tratta della base di consenso dalla attuale maggioranza, e quindi il concordato preventivo si tradurrà in un ulteriore garanzia nei confronti del fisco per questi contribuenti.
Nella delega si continua a parlare di flat tax, indicandola come obiettivo di fondo della riforma la cui attuazione completa viene tuttavia rinviata a fine legislatura date le ovvie difficoltà di copertura. Nel frattempo, si parla di flat tax incrementale, che si applica cioè agli incrementi di reddito da un anno all’altro, già prevista per le partite Iva e che sarebbe estesa ai lavoratori dipendenti, con la ovvia penalizzazione dei pensionati che non beneficiano di aumenti contrattuali, ma solo di limitati adeguamenti all’inflazione. E in effetti l’attuale maggioranza, mentre mostra qualche sensibilità per i pensionandi, non sembra curarsi molto di chi è già in pensione (che del resto è per definizione “improduttivo”, e un “peso” per la collettività).
In attesa della flat tax si ipotizza un ulteriore appiattimento delle aliquote Irpef che da 4 diventerebbero 3, unificando quelle intermedie tra 15.000 e 28.000 euro, oggi al 25%, e tra 28.000 e 50.000 euro (35%). I benefici di tale intervento andrebbero in massima parte a favore di guadagna più di 50.000 euro, cosa che sarebbe anche ragionevole se fosse compensata da un aumento dell’aliquota più elevata (43%) per livelli di imponibile superiori a 100-150.000 euro, cosa impensabile se l’obiettivo finale è una flat tax al 15%!
Tutte queste misure costano, e molto. La Meloni sembra aver introiettato l’esperienza della povera Liz Truss, costretta alle dimissioni, dopo poche settimane, dalla carica di primo ministro del Regno Unito per aver provocato un crisi finanziaria varando robuste riduzioni del carico fiscale a favore dei ricchi britannici senza uno straccio di copertura. Quindi cercherà di evitare lo stesso errore, anche se la attuale maggioranza è seriamente convinta, come la Truss, che riducendo le tasse si avrebbe una robusta crescita economica. Quindi c’è da attendersi da un lato che solo alcuni pezzi della delega saranno attuati, e dall’altro che si interverrà a ridurre le spese, con la privatizzazione di pezzi di sanità e di sistema scolastico, come già si prospetta in base ad alcune dichiarazioni del Ministro dell’Istruzione (e del merito).
In conclusione, la delega rappresenta una manifestazione ed esercizio di ambizione personale dei proponenti, senza un disegno organico e men che mai logico, che considera acquisita e irreversibile la balcanizzazione del fisco italiano, e il ritorno a un sistema di tipo cedolare e corporativo simile a quello che esisteva in Italia prima della riforma del 1973. Con particolare attenzione agli interessi degli elettori di riferimento.
Sarebbe opportuno e urgente che le opposizioni si rendessero conto della posta in gioco e agissero in modo incisivo, consapevole e senza compromessi. Non sarà facile: il Partito Democratico viene da anni di appeasement in materia fiscale e di assorbimento di teorie e pratiche neoliberiste; il MoVimento 5 Stelle è stato per anni su posizioni vicine a quelle della Lega in materia fiscale (ricordate Laura Castelli?), e ha concepito la lotta all’evasione solo come una fattispecie penale e non come una buona e incisiva amministrazione; quanto ai centristi, Calenda ha dichiarato che il suo partito è contrario alla delega in quanto fa riferimento alla flat tax, ma che altrimenti sarebbe favorevole perché per il resto essa recupererebbe la riforma Draghi, affermazione del tutto stravagante in quanto Draghi aveva in mente una riforma, parziale, incompleta, ma che si ispirava a un modello organico, quello della Dual Income Tax scandinava che era peraltro lo stesso che fu alla base della riforma Visco del 1996, subito contraddetta dai governi successivi.
In ogni caso, staremo a vedere, ma ci attendono periodi complicati.
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