Articolo pubblicato su “L’Unità” il 22.04.2025.
Molto forte è parso l’ultimo messaggio di Francesco. “Nessuna pace è possibile senza un vero disarmo”, ha ammonito nell’omelia della messa di Pasqua. Si tratta di uno schiaffo esplicito rivolto ai governi del Vecchio Continente, che invocano nuovi armamenti perché ancora non sazi delle immagini dei massacri. Con il pretesto della “pace giusta”, tante cancellerie premono per prolungare le ostilità e renderle infinite.
Evidente, nell’attuale scenario di banalità della morte, è il fallimento delle principali culture politiche europee. Tutti gli attori di peso si affidano esclusivamente al suono dei missili per gestire la questione ucraina. Allo schema binario ogni volta riciclato nei documenti ufficiali, “c’è un aggressore e un aggredito”, il Papa ha subito aggiunto gli elementi di una visione più articolata. Al di là delle colpe manifeste di chi ha inviato i carri armati per l’invasione, occorre l’individuazione delle responsabilità storiche effettive nello scoppio del conflitto. Oltre alla totale comprensione verso il “martoriato” popolo di Kiev, Francesco ha perciò impostato le basi per una lettura realistica delle tensioni che scuotono il mondo contemporaneo. Al fronte occidentale, che carica di significati etici generali la contesa rappresentando lo zar ex Kgb come un Anticristo contro il quale condurre una “guerra metafisica per la libertà”, il capo della Chiesa cattolica ha replicato che non esistono guerre di civiltà o di religione.
La ricostruzione della genesi del disordine che lacera l’Ucraina, e brucia i residui pilastri di un diritto internazionale mai così malfermo, non può per questo tacere sulla fatale decisone presa dall’Alleanza atlantica di allargarsi a dismisura, sino ad “abbaiare alle porte della Russia”. In una prosaica disputa sui confini, dinanzi al risentimento di un antico impero dissolto, non è bene indossare le maschere della morale. Dentro una frizione tra potenze per il riconoscimento delle rispettive aree di influenza non si può rinunciare all’opportunità di una composizione politico-diplomatica. Ai piccoli commissari, che sovrintendono ai bilanci dell’Unione europea scavando sempre le condizioni per fomentare nuova inimicizia nella trincea orientale, e ai loro consiglieri, che hanno scandito in ogni sede pubblica la formula “si vis pacem, para bellum”, il Papa ha risposto recuperando la nobiltà laica della politica. Quale azione umana responsabile tesa anzitutto alla coesistenza, proprio alla politica tocca fabbricare gli orizzonti di una convivenza pacifica, in Donbass come a Gaza.
Quello di Francesco non è dunque un dignitoso riparo nel rifugio irenico della nonviolenza, permesso solo a una figura religiosa che deve necessariamente parlare con cadenza profetica. È piuttosto un progetto assai realistico di censura dei toni e dei piani blasfemi dei potenti, i quali hanno conferito un rivestimento etico-teologico alla prova delle armi. Per scongiurare la catastrofe di “una guerra mondiale a pezzi”, non ci sono alternative rispetto a un disegno condiviso che serva a tracciare un più equo, e quindi multipolare, nuovo ordine internazionale.
Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *
Nome *
Email *
Sito web
Do il mio consenso affinché un cookie salvi i miei dati (nome, email, sito web) per il prossimo commento.