Articolo pubblicato su “il manifesto” del 18.02.2020
Ha ragione Enzo Scandurra nel suo articolo (“Parliamo di Roma, prima delle alleanze”, il manifesto ”, 5 febbraio). Infatti per fermare il declino della città non servono aggiustamenti ma scelte radicali, una vera e propria rivoluzione. Il voto ai 5 Stelle aveva questo segno. Il loro fallimento non rimuove quella richiesta che ora può prendere il volto di una destra reazionaria e autoritaria. A quella domanda di rottura non si risponde con le vecchie ricette del centrosinistra ma con un’idea di città, avanzando nuove priorità, proposte e contenuti. O si riparte dalla consapevolezza di una svolta radicale oppure si è sconfitti in partenza.
Chiarito questo, la domanda è: come si fa? Come si costruisce un programma e un’alleanza capace di coinvolgere con pari dignità tutte quelle esperienze ed energie che in questi anni hanno resistito e rappresentano un presidio sociale e culturale fondamentale per la città? Si può fare come si è sempre fatto, ognuno per conto proprio: partiti, associazioni, movimenti, comitati, reti civiche, per poi trovare all’ultimo sperabilmente una qualche sintesi.
Oppure si può fare un altro percorso in cui tutti decidono di confrontarsi insieme, di mischiarsi. La facciamo questa scelta oppure ripetiamo stancamente vecchie modalità in cui ognuno parla ai propri? Per farla c’è una sola semplice un’istruzione per l’uso: decidere occasioni, sedi in cui ci si incontra, ci si riconosce, si discute, si lavora insieme uscendo dai propri recinti. Sarebbe già questo un fatto importante. Poi se vogliamo andare in profondità e coinvolgere quel popolo che deluso, rassegnato vive in solitudine la crisi e chiede un cambiamento forte, allora serve avere coraggio e non paura: occorre dargli la parola.
La proposta è semplice: primarie di programma in cui sottoporre anche in modo aperto opzioni e scelte. Sarebbe la vera innovazione politica che a Roma non si è mai realizzata. Alla fine di questo percorso in cui allarghiamo, definiamo proposte e contenuti, parleremo di liste e candidati sindaci, decideremo, eventualmente anche con le primarie, su chi uomo o donna può rappresentare al meglio quel programma. Ma dopo. Altrimenti tutto si risolve in un torneo di figurine o a cercare visibilità da giocare al momento opportuno per sé o il proprio gruppo, ma senza alcun riferimento a proposte e scelte. Non è un rischio ma ciò che sta già avvenendo: tra aspiranti candidati veri, presunti o in attesa siamo alla fiera delle vanità.In assenza di una discussione di merito, di un processo partecipativo, si rincorrono sulla stampa indiscrezioni, sondaggi più o meno farlocchi, con esiti surreali come il nome di Calenda. Una proposta sbagliata per un motivo semplice: al ballottaggio non andranno i 5Stelle, ma per sconfiggere la destra bisognerà convincere quegli elettori a votare il candidato progressista. Ora la persona in assoluto meno indicata a raccogliere quel voto è proprio Calenda, uscito dal Pd perché contrario all’alleanza di governo con i 5Stelle e che propone nientemeno di cancellarli.
Una considerazione di elementare buon senso politico, tanto più sapendo che il voto delle comunali il prossimo anno sarà un voto politico come in Emilia e Romagna. Come poi una tale proposta possa essere sostenuta anche a sinistra rientra nel campo dei misteri ingloriosi. Mettere al primo posto priorità e contenuti e farlo attraverso le primarie porterebbe un po’ di logica evitandoci questo balletto di nomi. La sfida è difficile, per questo bisogna essere ambiziosi.
Nell’immaginare la Roma che vogliamo per i prossimi vent’anni. Nell’immaginare un’alleanza larga, capace di mobilitare politica, società e territori.
Nell’immaginare modalità e forme innovative di questo processo di elaborazione, aggregazione e decisione. Se non ora, quando?
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