Diritto, Femminismo, Temi, Interventi

Con la pubblicazione in Gazzetta ufficiale, è stata promulgata la legge promossa dalla deputata Carolina Varchi di Fratelli d’Italia e sostenuta della ministra Eugenia Maria Roccella, che condanna la gestazione per altri in quanto crimine universale, al pari dei crimini di guerra. Si tratta di un eclatante manifesto ideologico, palesemente incostituzionale.

Ritengo che sarebbe stato meglio, di fronte all’approvazione di una legge che incide direttamente sulla vita delle persone coinvolte (madri, padri, gestanti, bambini /e) sottoponendola al diritto penale, se il presidente Mattarella, in questa occasione, avesse rinviato la legge alle Camere. Si sarebbe trattato di una decisione ampiamente giustificata dalla necessità di un maggiore approfondimento parlamentare e ampliamento del dibattito pubblico.

Ovvio che da destra si siano levati commenti esultanti, come sempre avviene quando la scure del penale si abbatte sulle persone. Ma alcuni significativi contenuti di questa legge che inasprisce le pene per una pratica, vietata in Italia dalla legge 40 e invece ammessa in 66 paesi al mondo, sono stati condivisi anche da femministe e donne di sinistra.

Le argomentazioni della destra sembrano più immediate, semplificate. La presidente Giorgia Meloni ha sostenuto fortemente la legge ritenendo che “la maternità surrogata è una pratica disumana che alimenta un mercato transnazionale spacciandolo con un atto di amore”.

La polemica è stata fin dall’inizio molto accesa tra femministe e anche a sinistra. Qui la aspra condanna si nutre di un lessico che risuona “familiare”: la riduzione a oggetto della donna gestante; un business internazionale che sfrutta le donne più povere affittate da committenti, private di soggettività e ridotte al solo utero. Infine l’assimilazione della maternità al paradigma individualistico, come diritto assoluto, piuttosto che l’affermazione della soggettività relazionale che è stata il cuore dell’impianto della legge sull’aborto quando abbiamo messo al centro la libertà di scelta, e non il diritto individuale.

L’esperienza delle persone nella vita reale si dimostra tuttavia per niente semplificabile. Tutto ciò che abbiamo acquisito nel femminismo e che abbiamo condiviso nelle nostre comunità politiche non dovrebbe fare da barriera alla necessità di immaginare e garantire diverse possibilità, per una convivenza plurale, basata sulla responsabilità verso l’altro/a oltre che, in primis, sul rispetto della dignità della persona.

La velocità della rivoluzione tecnologica interviene e modifica in corsa la vita e le aspettative future, con un forte impatto sul senso e sul vissuto della genitorialità mentre la separazione – in tutte le forme oggi possibili – tra procreazione, maternità e paternità, apre inevitabilmente a modelli relazionali e a scenari nuovi, inattesi.

In questo tempo che corre, fermarsi a riflettere e confrontarsi nello spazio pubblico guardando alle concrete esperienze e alla vita reale di tutti i soggetti coinvolti, è la cosa giusta e importante da fare.

Già la legge 40, approvata nel 2004, al tempo del secondo Governo Berlusconi, fin dalla sua approvazione, sollevò numerose polemiche. L’articolo 12 vieta esplicitamente la surrogazione di maternità, sia commerciale che altruistica, prevedendo sanzioni penali e multe per chi la realizzi, organizzi e pubblicizzi.

Anche allora il dibattito si era rivelato inadeguato e altamente conflittuale.

Fu grande l’impegno in Parlamento delle donne della sinistra contro le tante restrizioni di stampo ideologico, a cominciare dal diniego della fecondazione eterologa, che limitavano la possibilità di avere figli e imponevano alle donne obblighi medici non necessari. Nel corso degli anni la legge 40 ha evidenziato tutti i suoi gravi difetti e ha subito per questo numerosi cambiamenti con i successivi interventi della Corte costituzionale che hanno cercato di adeguare la legge alla evoluzione scientifica e tecnologica e di bilanciare i diritti dei diversi soggetti donne, bambini, coppie.

Legiferare sulla gestazione per altri pone certamente problemi estremamente difficili, da tanti punti di vista. Prima ancora che schierarsi e contarsi tra favorevoli e contrari sarebbe stato giusto, anzi obbligatorio, misurarsi in un confronto con la profondità e l’ampiezza necessarie. Imprescindibile dovrebbe essere la civiltà del confronto, che in questo tempo sembra impossibile. Forse il carattere peculiare e inquietante dei pensieri legati alla procreazione, alla gestazione e alla nascita in questa transizione verso l’ignoto lo rendono più difficile.

Se, ad esempio, nel presente sembra inimmaginabile la gestazione fuori dal corpo femminile non si può con certezza affermare che sarà così per sempre in futuro. Sono spaventosi i fantasmi che l’ignoto può animare, ai confini e oltre i limiti dell’umano, se sottratti a un avanzamento condiviso di coscienza e di pensiero.

Su questa legge graveranno ricorsi già annunciati e pronunzie di costituzionalità che sono convinta, anche in questo caso, come per il passato, potranno dare un contributo positivo di civiltà giuridica, data l’evidenza, allo stato attuale, della creazione di nuove disuguaglianze e discriminazioni tra cittadini/e.

Contemporaneamente è importante che prenda corpo quel dibattito pubblico che finora è mancato.

Serve ancorarsi alla vita reale delle persone, riconoscere le diverse soggettività, guardare alle famiglie (al plurale) e prima di tutto pensare ai bambini/e a cui dobbiamo garantire cura, accoglienza amorevole e diritti. La mancanza di riconoscimento legale dei bambini nati all’estero con la gpa è la colpa più grave di questa legge che porta con sé gravissime conseguenze sul piano dei diritti negati (dall’ottenimento del certificato di nascita fino all’accesso ai diritti familiari di tutela).

Per quanto riguarda la gestante, molte voci si sono levate per togliere credibilità e valore all’ipotesi di adottare il principio altruistico e solidale senza scambio di denaro (così come accade in diversi paesi e come prevede la legge proposta in Italia dall’Associazione Luca Coscioni).

A me sembra importante saper andare oltre alcune rappresentazioni date per scontate sulla gestante. Posso testimoniare che l’esperienza della gravidanza può essere desiderata indipendentemente dalla prospettiva della futura maternità. Per me, ad esempio, si è trattato di un periodo unico di totale felicità, piacere e pienezza di vita.

Per le molte domande senza risposta intorno alla gpa, e a partire dalla mia stessa esperienza personale, mi sento in sintonia con Letizia Paolozzi che in un lucido intervento, che ha avviato questo dibattito sul sito del CRS, parla di “indecidibilità”.

Come lei dalla legge vorrei una risposta mite, capace di regolare la gpa riconoscendo lo status di genitore alla coppia intenzionata ad avvalersene, senza cancellare la soggettività della donna gestante e allargando la possibilità di adozione e di affido ai singoli e a tutte le coppie, anche a quelle omosessuali.

Qui il PDF

Un commento a “Per un dibattito civile sulla gpa”

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