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La politica romana sta vivendo una della sue stagioni più pazze. Da un lato è minata dalle conseguenze ancora forti dello scandalo e del processo per Mafia Capitale, che ha segnato le sorti di un pezzo di classe dirigente sia di sinistra che di destra, ha mostrato come i partiti possano legarsi al “potere per il potere” e tralasciare i bisogni del territorio, e indirettamente ha portato allo stillicidio che ha finito per travolgere la giunta Marino. Dall’altro lato, proprio per questo, la campagna elettorale è apertissima come non mai, sia nelle primarie del PD, sia nella sfida portata alla sua sinistra da Fassina e dal possibile ritorno dell’ex sindaco, sia infine nella competizione con il M5S, il centrodestra e candidati autonomi come Marchini.
Ma a parte i posizionamenti del ceto politico, quello che manca per ora è la politica vera. Ossia ragionare su quali errori strategici sono stati compiuti in passato, cosa vogliamo fare oggi della città e delle crescenti polarizzazioni che si verificano, come dobbiamo impostare il suo sviluppo sociale ed economico nei prossimi anni, come pensiamo di affrontare gli stress e gli shock cui sarà presumibilmente sottoposto il tessuto urbano.
Per offrire al centrosinistra elementi analitici su cui fondare proposte politiche pertinenti, coerenti ed efficaci – che parlino dei problemi effettivi della città e delle classi popolari che in essa vivono e lavorano – il Laboratorio Roma del CRS ha pubblicato una rassegna sulle “10 questioni” della politica romana (qui il file pdf). L’obiettivo è dare a candidati, politici e amministratori un quadro ampio e variegato dei dati, delle analisi e dei commenti sulle condizioni e le dinamiche in corso a Roma. Alla base c’è l’idea che una proposta politica, per essere vera, efficace e credibile, deve essere il frutto di un impegno collettivo capace di attivare energie, esperienze e competenze.
Oltre ai dati statistici ed economici sulla città e la regione, le “10 questioni” si concentrano su malgoverno e Mafia Capitale, le polarizzazioni socio-economiche, gli andamenti elettorali tra centro e periferie, le risorse economiche e finanziarie, il paradosso tra sprawl edilizio e problema casa, il costo e l’ambito territoriale dei servizi pubblici, le rendite e il degrado di una città sempre più privatizzata, la cura del ferro e la mobilità dolce, la gestione emergenziale dei servizi sociali, la scarsa valorizzazione della cultura e il turismo “mordi e fuggi”.
Voglio fare solo tre esempi su temi cruciali per il futuro di Roma – le disuguaglianze, le rendite e il degrado, il welfare emergenziale – per evidenziare la necessità di mettere a sistema l’insieme di riflessioni (anche non tecniche), conoscenze e proposte che pure esistono e che aiuterebbero a promuovere una riflessione seria e concreta sulla città.
1) Le numerose e crescenti polarizzazioni della città, ignorate dalla politica ma esistenti almeno dagli anni ’90, si tende a derubricarle al tradizionale dualismo tra centro e periferie. Sono invece disuguaglianze a geometria variabile, che riguardano le caratteristiche socio-economiche (a cominciare da reddito e occupazione), le opportunità educative, i consumi culturali, l’incidenza degli stranieri, la disponibilità di beni comuni e relazionali, l’accessibilità dei trasporti, il tessuto urbanistico più o meno isolato da vuoti urbani. Sono state terreno fertile per la vittoria a sorpresa di Alemanno nel 2008, e mancato oggetto di analisi per Marino nel 2013, il cui successo elettorale è stato quindi ottenuto su basi fragili, manifestatesi prima con le inchieste giudiziarie che coinvolgono anche il PD e poi con le sue dimissioni.
Le differenze tra quartieri di Roma sono messe in luce nel saggio di De Muro, Monni e Tridico sull’evoluzione del modello socio-economico romano e nel rapporto su benessere e qualità della vita nei municipi. Sono poi approfondite nel rapporto di Fabrizio Barca per “Mappa il PD” (cap. 3.2 e 4), sia per valutare l’effettiva sintonia di ogni circolo con il proprio territorio di riferimento, sia per fornire le basi a un partito romano riformato che torni a essere utile per la città. Ma al di là dei dati, è anche efficace il cardinale Vallini, nella sua “Lettera alla città”, a descrivere come corruzione, impoverimento urbanistico e ambientale, e crisi economica accrescono le povertà, non solo materiali, e alimentano nuovi e profondi squilibri.
2) La città, la sua bellezza e il suo suolo, quando non governati in nome degli interessi collettivi di abitanti e visitatori, sono svalutati e svenduti. I diritti di tutti e la qualità urbana dello spazio pubblico soccombono al soddisfacimento di interessi particolari di categoria. L’appropriazione privata dei beni comuni causa il godimento di rendite di breve periodo a vantaggio di pochi, facendone però sostenere i costi alla collettività. Oltre alla rendita urbana per eccellenza, quella fondiaria, ne troviamo in tutti gli interstizi della vita sociale, con attività sia illecite che perfettamente legali: pullman turistici, commercio ambulante e di bassa qualità, “tavolino selvaggio”, cartelloni abusivi, B&B, marciapiedi e spazi pedonali inagibili, gladiatori e saltafila, ecc. L’effetto è una diffusa percezione di incuria, anarchia e impunità, con un disordine estetico che genera sensazioni di degrado e di insicurezza.
In tema di urbanistica il saggio di Walter Tocci sull’insostenibile ascesa della rendita urbana lega rendita finanziaria e immobiliare, cresciute insieme prima della crisi in una indissolubile affinità strutturale. Il tramonto della città pubblica è invece il titolo del libro di Erbani che mostra l’estendersi di un controllo privato su parti crescenti della città, con l’idea sbagliata che ciò possa contribuire a diffondere benessere e fronteggiare la crisi. La conseguenza di decenni di mancata regolazione sono inchieste giornalistiche, come Gatti per L’Espresso (qui e qui) o Fattorini e Sarti per Linkiesta, che volgono in negativo l’ormai paradigmatica “Grande Bellezza” di Roma per parlare al contrario di “Grande Tristezza” o “Grande Bruttezza”.
3) Il welfare locale ha abbandonato la sua logica di diritto universale e di pianificazione nel medio-lungo periodo, per crescere in maniera frammentaria, residuale ed emergenziale, peraltro basandosi su operatori sociali esternalizzati e precari. A fronte dei bisogni posti dalle nuove povertà e dalle grandi migrazioni, si sono preferiti interventi da protezione civile, veloci e mediatici ma temporanei e palliativi, sottraendo risorse preziose a politiche sociali e abitative strutturali ed efficaci. Gli interessi dietro l’emergenza sociale sono diventati chiari a tutti con l’esplodere dell’inchiesta Mafia Capitale: le risorse sottratte alla pianificazione vengono distolte verso corruzione e illegalità, rendendo persino il traffico di droga meno profittevole rispetto alla gestione dei campi rom, all’emergenza alloggiativa, all’accoglienza degli immigrati e alla manutenzione del verde pubblico.
Le dinamiche sociali in città, dove la povertà economica dovuta alla crisi comporta esclusione e vulnerabilità, sono esaminate in forma descrittiva nel rapporto sulla povertà a Roma della Comunità di Sant’Egidio, e in forma analitica nel saggio di Violante sulla povertà urbana in una periferia metropolitana ai tempi della crisi, con un focus specifico sull’ex XIII Municipio. In questo quadro, le avvisaglie di Mafia Capitale non erano difficili da cogliere, come ci ricorda Federico Bonadonna in vari post pubblicati sul web, dedicati al disagio delle periferie, al business dell’emergenza e alle conseguenze del modello Roma, oltre al suo “profetico” romanzo. Anche qui alcune inchieste giornalistiche aiutano a comprendere concretamente le connessioni tra welfare, corruzione e illegalità, come ha fatto Sironi nei suoi articoli per L’Espresso (uno, due, tre, quattro).

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