Diritto, Internazionale, Politica, Temi, Interventi

Quest’anno ricorrono i 50 anni dalla Conferenza di Helsinki sulla sicurezza e cooperazione in Europa, che il 1° agosto 1975 inaugurava quella politica di superamento della contrapposizione frontale della guerra fredda che è stato chiamato il dialogo est/ovest.

Gli Accordi di Helsinki promisero la costruzione di un’Europa unita affermando che “la sicurezza è indivisibile e la sicurezza di ogni Stato partecipante è inseparabilmente legata a quella di tutti gli altri”, con l’obiettivo di introdurre una nuova era fondata sui diritti umani, la democrazia e lo stato di diritto.
Questo esempio storico di collaborazione tra 35 paesi europei insieme a Urss e USA (con la Cina osservatore) fu la dimostrazione che l’equilibrio e la sicurezza tra le nazioni si poteva basare non tanto sulla deterrenza atomica, ma sulla capacità di risolvere i problemi più spinosi con il dialogo ed i trattati. Non tutti i problemi erano risolti, ma il metodo era quello della costruzione di un’Europa politica pacifica e plurale, che poteva operare entro un più ampio pluralismo geopolitico.

Oggi, cinquant’anni dopo Helsinki, la situazione si è rovesciata: l’uso della forza, la politica di potenza, lo scontro tra imperi, le discriminazioni delle popolazioni interne agli Stati, le invasioni armate e il terrorismo sono tornati ad essere strumento ordinario per la risoluzione dei conflitti interstatali o etnici; e ogni idea di risoluzione delle controversie entro uno spazio di legalità internazionale sembra svanita. Lo dimostra non solo quanto avviene in Ucraina, riportando la guerra al centro dell’Europa, ma anche l’inaccettabile eccidio che si sta consumando in Palestina. Senza ignorare le tante guerre “dimenticate”, già definite da Papa Francesco come “terza guerra mondiale a pezzi”.

In questo scenario l’Europa, che era nata sulle macerie della seconda guerra mondiale inglobando quel “mai più la guerra” gridato dalla costituzione delle Nazioni Unite, si ritrova impotente e fuori gioco. Anzi, avendo abbandonato la politica come mezzo alto di interpretazione e governo della realtà, l’Unione europea, per come si è costruita, soprattutto a partire dall’89 non solo ha contribuito a svuotare di senso e di forza politica le istituzioni internazionali, compresa sé stessa, ma ha finito per rilegittimare la guerra come strumento di risoluzione dei conflitti. Beffarda lezione politica sulla volontà di letture unilaterali della storia. La guerra è radicata nella concezione della differenza come motivo di rapporti di dominazione. In un tempo in cui molti uomini si sentono minacciati dalla libertà femminile, appaiono forti i nessi tra violenza bellica e violenza maschile contro le donne e contro chi è visto come “diverso”, “straniero”. Anche da qui trae alimento il rilancio di identità collettive basate su sovranismo, nazionalismo, razzismo e in generale sulla distinzione amico/nemico.

Oggi le due guerre citate sembrerebbero avviarsi verso fragili, anche se necessarie, tregue, nell’assenza totale di ogni azione degli Stati dell’Europa e dell’Unione europea, sempre più dipendenti dalle iniziative delle potenze e degli Stati più forti, che operano in base a convenienze economiche o interessi di parte.
Scenari che preannunciano soluzioni di prevaricazione unilaterale molto peggiori, e comunque destinate a breve durata.

In questo quadro pieno di ulteriori e più gravi pericoli, in cui anche le diverse istituzioni democratiche che reggono i vari paesi stanno perdendo terreno rispetto alle spinte autoritarie o oligarchiche che si sprigionano a livello globale, ci sembra urgente affermare che l’unica solida e durevole via d’uscita dalla guerra appare, oggi più che mai, soltanto quella della cooperazione e del ricorso alle istituzioni internazionali. Trattati multilaterali e non imposti, nonché la riaffermazione del diritto internazionale, che deve valere anche tra nemici, rappresentano la via maestra per la soluzione dei problemi.

Ci sembra indispensabile ribadire che la guerra rappresenta comunque un flagello che impoverisce tutti, aumenta le ingiustizie sociali, ambientali ed ecologiche a danno soprattutto delle classi sociali che vivono già in grande difficoltà; produce esclusione sociale, allarga le disuguaglianze, le nasconde (spostando l’attenzione sul conflitto) e impedisce di risolverle.

Può apparire utopico oggi rivendicare l’importanza del dialogo e del ricorso alla diplomazia all’interno di una cornice di cooperazione, di fronte allo sgretolarsi di tutte le istituzioni internazionali nate dopo la seconda guerra mondiale.

Eppure, di fronte all’esplodere delle crisi, prima tra tutte quella dell’unipolarismo occidentale, si impone la necessità di un diverso ordine multipolare costruito con il contributo di tutti al fine di costituire una garanzia per tutti.

È questo il ruolo proprio della politica e del diritto internazionale. L’eclissi del diritto come criterio regolativo della condotta degli Stati non soltanto compromette la convivenza pacifica nelle relazioni tra Stati e tra popoli, ma determina anche l’appannamento del ruolo e del senso del diritto interno come criterio di orientamento delle condotte dei cittadini di fronte ai conflitti causati dalle tante crisi che minano la coesione e il senso di comune appartenenza alla civiltà umana.

Il recupero delle capacità positive della politica e del diritto appare compito difficile, ma è ineludibile. Per questo come organizzazioni della società civile vogliamo impegnarci con tutte le nostre forze in questa direzione: rendere consapevole l’opinione pubblica e i governanti, che senza dialogo e cooperazione su sviluppo e sicurezza basati sulle istituzioni internazionali, l’orizzonte immediato dei nostri paesi si ricopre di fosche nubi.

Rivolgiamo un appello a tutte le organizzazioni della società civile a incontrarsi per una comune iniziativa verso la via della pace che possa essere seguita dai popoli e dai governi entro una prospettiva multipolare e rispettosa delle diversità di tutti. C’è bisogno di ritrovare un nuovo equilibrio nel mondo che non sia quello preannunciato di un nuovo imperialismo globale dettato dal dominio della forza degli Stati più potenti e, spesso, più arroganti.


Roma, 24 febbraio 2025


Fondazione Basso – Centro per la Riforma dello Stato – Fondazione Di Vittorio – Salviamo la Costituzione

Qui il PDF dell’appello

Un commento a “Per una iniziativa di pace”

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