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Per un’altra Europa

L’intervento di Mario Tronti al Senato nella seduta del 19 marzo 2014
Pubblicato il 28 Marzo 2014
Materiali, Officine Tronti, Scritti

Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, a questo punto della discussione mi permetta un fuor d’opera, un piccolo mutamento di registro. Abbiamo tutti in mente un evento simbolico, quel giorno in cui il Presidente Kennedy nel cuore della Germania ancora divisa pronuncio quella frase: «Ich bin ein Berliner» (io sono un berlinese). Oggi dovremmo dire tutti, gridandolo sui tetti, anche durante la prossima campagna elettorale: «Noi siamo europei».

Lo Stato Nazione ha una grande storia, di civilizzazione del mondo: dall’Europa è partito e in Europa è ritornato; ha unificato popoli, ha riformato costumi, ha prodotto progresso, sollevando il cittadino dal territorio alla comunità. Ma ha anche sbarrato frontiere; ha introdotto nella storia un elemento tragico che i popoli hanno poi sperimentato sulla propria vita.

Il Novecento delle Grandi guerre – che, bisogna sempre ricordare, è solo una parte del Novecento – ha raccontato questa storia. È nel Novecento che emerge, irrompe nella storia del mondo l’idea di Europa; come reazione, certo, a quel tragico evento della storia, ma bisogna sempre tenere conto che le grandi idee raramente procedono autonome nel vuoto: hanno bisogno di un contrasto che le faccia uscire dall’isola di Utopia per portarle nella terra dei fatti e, se possibile, degli eventi.

I grandi politici europeisti del Dopoguerra, sulla via aperta da grandi intellettuali, non hanno solo elaborato un’idea: hanno messo in moto un processo, che a questo punto possiamo riguardare come lungo, contrastato, contraddittorio, non finito. Siamo, adesso, ad un passaggio: da decidere è se sia il caso di continuare in questo gradualismo riformatore, che pure ha dato i suoi frutti. Perché oggi un’Europa c’è, ma con una immagine non popolare, e proprio questa immagine non popolare ha dato luogo ai populismi europei, oggi tanto pericolosi. Questa immagine fa vedere l’Europa come arcigno guardiano dei conti, tecnocratica maestrina dei compiti a casa.

Qui c’è un vizio di origine che non era nell’intento dai grandi europeisti; è venuto dopo, nell’interesse dei grandi gruppi economici e finanziari. Un cattivo materialismo storico ha stabilito che prima doveva venire la struttura, cioè il mercato comune, la moneta comune, e poi la sovrastruttura politica avrebbe seguito naturalmente. Non funziona così. L’Europa politica vera non è decollata. Abbiamo un Parlamento praticamente senza Governo, tant’è vero che questo livello si chiama Commissione; una forma-Stato, sia pur federale, non è ancora all’orizzonte. Occorre lavorare a questo progetto e questa è l’altra Europa di cui stiamo oggi parlando.

L’Europa non potrà competere, nella geopolitica del futuro, in quanto potenza economica di fronte ai colossi continentali emergenti, ma in quanto spazio politico è, e sarà, sempre centrale. L’Europa non è solo Occidente: è Occidente e anche Oriente; non è solo Nord: è anche Sud del mondo. È molto apprezzabile, signor Presidente del Consiglio, la sua attenzione appunto a questa frontiera, a questo punto di espressione dell’Europa verso il Sud del mondo, in cui l’Italia trova la sua vocazione particolare. L’Europa è non solo Zivilisation, ma anche Kultur, cioè civiltà. Qui si incontra il meglio di quanto è stato elaborato dallo spirito umano. L’Europa è una sorta di luogo dello spirito. Qui, insomma, si incontrano l’orizzonte cristiano, la cultura liberale, le pratiche democratiche, la speranza socialista. (Applausi del senatore Manconi).

Non si tratta di fare di questo sintesi, né si tratta di fare contaminazioni. Bisogna mantenere le differenze, ma confrontare le differenze nel modo più civile possibile, cedendo anche pezzi di sovranità di ogni idea nei confronti dell’altra, ognuno prendendo dall’altro il meglio che quella cultura e quella posizione ha.
Presidente Renzi, il prossimo Senato, la Camera alta della Repubblica, a mio parere dovrebbe cominciare a pensare anche a costruire in questa sede la forza, la legittimazione e l’autorità che la proietti in questo futuribile scenario di un’altra Europa, piuttosto che ubbidire a un territorio particolare della propria Nazione, scagliarsi verso l’al di là della Nazione, verso la sovranazionalità, verso l’Europa che rappresenta questa sovranazionalità. Insomma, un’Europa arcipelago, come ha pensato e ha scritto in un bellissimo libro, che consiglio a tutti di leggere, «Geofilosofia dell’Europa», il mio amico Massimo Cacciari.

Non è un sogno. Personalmente cerco di non ripetere la frase «I have a dream»; anzi, quando ascolto questa frase, mi viene sempre in mente quella vignetta di Altan dove c’è Cipputi che dice: «Non fateci sognare, svegliateci!». Ecco, diamo l’esempio per primi noi: cerchiamo di svegliarci prima di tutto noi, qui.

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