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So what?” era stata la reazione del presidente Trump, in quel drammatico 6 gennaio del 2021, allorché un allarmato funzionario della Casa Bianca lo avvertì che una folla di trumpiani violenti stava invadendo il Congresso per dare la caccia al vice-presidente Mike Pence, reo di voler certificare l’incontestabile vittoria di Biden. Nessuno alla corte di Trump gli era stato più fedele del povero Pence, eppure, in quel pomeriggio eversivo, rischiava sul serio di finire ammazzato, se i suoi bodyguards non l’avessero messo in salvo. Per un pelo.

So what?” è traducibile in italiano con un “embeh?”. Se a Trump non importava nulla del suo fedelissimo vice, quanto poteva importargli dei suoi concittadini? L’ex-presidente ha detto che – in caso di tumulti – dovrebbe essere l’esercito federale a intervenire sulle piazze e, se necessario, sparare. Ma la Costituzione vieta all’esercito federale di schierarsi in patria, pro o contro non importa, pena il rischio di colpi di Stato sudamericani. Reazione di Trump: “embeh?”. D’altra parte, l’israeliano Netanyahu ha fornito la prova che l’eccidio di oltre 40.000 esseri umani è un prezzo accettabile quando si tratta di evitare un processo per corruzione. E di processi Trump ne ha più del suo amico Bibi!

Oggi molti elettori prendono alla leggera le minacce di un ex-presidente convinto di essere stato defraudato della vittoria nel 2020. Sarà pure un blocco infantile, il suo, ma a settembre ha diramato questo post (le maiuscole sono sue): “QUANDO VINCERÒ i responsabili dei BROGLI ELETTORALI saranno colpiti severamente a termini di legge, incluse lunghe pene carcerarie, affinché questa Depravazione della Giustizia non abbia a ripetersi”. Ma fu proprio Trump nel 2020 a chiedere al più alto funzionario della Georgia una manciata di voti fasulli per farlo vincere. Non era quello un caso di “depravazione della giustizia”? Certo, ma le farraginose procedure penali d’America hanno impedito finora che venisse condannato. Reazione di Trump: “So what?”.

È prevedibile che la turbolenza si aggraverà nel caso di un risultato testa a testa il 5 novembre. Sarà cruciale, quindi, che i margini di vittoria siano così ampi – negli Stati in bilico – da non offrire ai più facinorosi il destro per contestarne l’esito. Va ricordato agli elettori che i patriots sono gli stessi che deridevano i medici intenti a vaccinare la popolazione contro il Covid e che tuttora deridono gli ambientalisti allarmati dall’evidenza dei cambi climatici. Embeh? Ripete Trump a ogni tifone che sconquassa gli Stati del Sud, la Florida in particolare. E continuerà a dirlo finché un uragano non travolgerà il suo resort di Mar-a-Lago.

Di fronte a un esito elettorale testa a testa, ogni scheda depositata nell’urna conta ben più che in passato, visto che il Partito pepubblicano – lo storico Grand Old Party – è finito nelle mani di un bancarottiere mentalmente disturbato. Forse anche gli italiani che hanno a cuore il meglio degli Stati Uniti possono dare un modesto contributo. Quasi ogni italiano, infatti, ha amici o parenti statunitensi – molti in Pennsylvania, Stato chiave in questa tornata elettorale – a cui confidare timori e speranze. Incoraggiarli a votare non costituisce una indebita interferenza. Potremmo ricordare loro che nel nostro piccolo abbiamo subito anche noi la vittoria di un tycoon interessato soprattutto ai propri affari. Potremmo aggiungere che, in un Paese nordico amico dell’Italia, la Norvegia, apparvero un giorno dei manifesti con la faccia di Berlusconi e una didascalia: “Acquisteresti un’auto usata da quest’uomo?”. Potremmo suggerire di affrettarsi a fare lo stesso con Trump, le cui bancarotte sono note a tutti. Basterebbe stampare un manifesto con la sua faccia e la stessa didascalia, con la sola aggiunta di un fumetto in uscita dalla bocca: “So what?”.

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Un commento a “Pericolo Trump, so what?”

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