Pubblicato su “il manifesto” del 06.10.2023.
Nel corso del decennio che va dal 2000 al 2010 Pietro Ingrao, che compie novant’anni nel 2005, non tralascia l’esercizio della poesia. Si attiene a un convincimento più volte espresso: tentare attraverso la scrittura poetica un esame dell’epoca attuale (delle sue conflittualità frastagliate e plurime, e delle istanze spesso scomposte che la muovono su più versanti in contrasto tra loro, vuoi nelle relazioni sociali e nei rapporti di produzione, vuoi nella dimensione singolare di ciascuno), un esame, si diceva, che possa risultare più aderente e puntuale di quanto non permettano ragionamenti, si dica, della sociologia, delle dottrine politiche, della scienza economica.
Al cospetto del disagio e del disappunto che avvertiva considerando gli scarsi e stantii risultati che gli pareva di conseguire facendo ricorso ai consueti strumentari teorici, Ingrao, fin dagli anni Ottanta del Novecento, persegue una conoscenza dell’epoca elaborandola nelle forme della ragione poetica. Una risoluzione che gli pare possa fornire almeno una persuasiva ed attendibile ricognizione preliminare dello stato di cose presente, presupposto indispensabile per promuovere il movimento reale capace di affermare, forse, una piena libertà, oltre le strettoie del pensiero e della prassi dei comunismi del Novecento. Non ha mancato Ingrao, naturalmente, di esprimere con nettezza questo suo proposito di far ricorso all’intelligenza del linguaggio poetico per capire il proprio tempo storico.
Per quanto attiene a questo ordine di questioni, a questo privilegiare Ingrao una sorta di teoresi che si formula per via poetica, è bene rammentare un avvertimento di Luciano Anceschi a proposito della presenza della poesia quale superiore acquisizione di consapevolezza nei drammatici tornanti dei conflitti e delle guerre del Novecento, quand’egli considera come, lungo il secolo, «la poesia avesse recuperato per sé molti significati che la filosofia aveva abbandonato».
«Così – scrive Ingrao in sintonia, diresti, con la constatazione di Anceschi – o per incapacità di prenderne cognizione per altra via, o per sedimentazione culturale, io ho sentito il bisogno di tentare il linguaggio poetico che con le sue metafore raccorciate e illuminanti, la sua possibilità di scavalcare la presentazione lineare del tempo, mi desse una rappresentazione o una conoscenza del nesso contraddittorio e polisenso in cui vedevo immersi oggetti, accadimenti e giorni».
Ingrao mette alla prova la resa metaforica, la componente allusiva, la scansione ritmica, gli accostamenti lessicali e le combinazioni sintattiche affinché risultino altrettante proposizioni, definizioni, concetti, e si aprano a ulteriori messe a punto, a interrogativi non previsti, a fondati dubbi. Uno stile poetico, allora, da affinare, da decantare e far proprio. Ingrao considera gli esiti che vorrebbe il suo stile conseguisse e riflette che, «forse il carattere così scarno, prosciugato, povero di questo tentativo di poesia è anche figlio della speranza o illusione di afferrare con la drasticità di un appostamento la connessione contraddittoria, le vicinanze che convivono escludendosi, intrighi temporali in cui mi appaiono oggi immersi oggetti e forme di un’esperienza».
Questa nota ha evocato, in apertura, un Ingrao novantenne che non cessa di ragionare sulla sua vicenda di comunista ricorrendo alle modalità del linguaggio poetico. Colpisce, in questi inediti componimenti della estrema vecchiaia, lo sguardo fermo con cui egli osserva i motivi della sua militanza politica, la sua appassionata partecipazione, il suo interrogarsi ininterrotto su ragioni, scelte, esiti. Tra le liriche (se ne contano una quarantina) una voglio qui citare. Si intitola Vigilie ed è sul titolo che intendo brevemente richiamare l’attenzione. Quello della vigilia è il tempo dedicato alla preparazione in vista d’un compito che si persegue e che contribuiamo a che si realizzi, secondo i convenuti propositi. Vigilia non è l’accadimento, ma l’attesa operosa nell’imminenza del certo domani che viene. Le sue ‘vigilie’, nei versi di Ingrao, tutte si sono consumate in una lunga notte senza giorno.
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