Declinare tramonti,
illuminare albe,
accendere stelle,
contenuto di un attimo
contenere l’eternità,
essere nulla
significare tutto,
parlare.
Quando non penso
sono solo
ma quando penso,
nella parola,
la vita degli altri
è anche la mia.
Pubblichiamo questo articolo come anticipazione del volume collettaneo numero XXXIII/27 della collana Athanor dell’Università degli Studi di Bari, diretta da Augusto Ponzio, dal titolo “Il diritto all’infunzionalità come fondamento dei diritti umani”, a cura di Susan Petrilli, Mimesis Edizioni, Milano.
Uccidere tutti i nemici non è un precetto biblico, non è neppure un intento politico, è un programma criminale. Non intendo con questo dire che il governo Netanyahu abbia questo programma, ma tutto fa pensare che lo abbia. È necessario che, nei fatti e nelle parole, il cosiddetto Stato ebraico dimostri di non avere questo programma, anche perché la parola, l’aggettivo, ebraico diffama, in questo caso, un popolo civile che vive non soltanto in Israele, ma in tutto il mondo. Nessun popolo merita lo sterminio e nessun popolo merita la diffamazione. Non ci sono ragioni sufficienti né per motivare politicamente l’una di queste cose, né per motivare l’altra.
Hitler cercò di nascondere lo sterminio degli ebrei e ora, ancora, la destra nazista cerca di negarlo. Sembra invece che chi sostiene il governo israeliano non si vergogni di quello che sta facendo l’esercito israeliano. La cosa è umanamente sorprendente.
Ci sono molti modi di giustificare i genocidi, ma non quello di dire: li uccidiamo perché sono cattivi. Perché uccidere non è un modo di dimostrare di essere buoni. Anzi, per la verità, in molti paesi occidentali è stata abolita la pena di morte perché si pensa che lo Stato debba evitare di assumere in prima persona la ferocia dell’omicidio per rendere la società, la comunità politica, meno violenta e, dunque, più civile, meno barbarica. Dove lo Stato non pratica la tortura ed ha abolito la pena capitale, come aveva scritto Cesare Beccaria, diminuisce il numero degli omicidi e dei delitti efferati.
Israele, dopo la strage di ebrei del sette ottobre 2023, perpetrata da Hamas, ha rivendicato il diritto di muovere guerra al popolo palestinese per difendersi dal terrorismo di Hamas. La guerra, ha forse pensato il governo israeliano, giustifica ogni eccesso. Infatti da ben undici mesi continua la strage dei palestinesi nella striscia di Gaza. E non se ne prevede la fine.
Da molti mesi prima del sette ottobre gli israeliani protestavano contro il governo Netanyahu senza successo, chiedendo nuove elezioni. Un governo che, comunque, non soltanto non è stato in grado di evitare il sette ottobre – pur essendo stato avvertito dal governo egiziano di quello che si stava preparando – ma si è anche dimostrato incapace, per la sua ferocia, di liberare gli ostaggi nelle mani di Hamas.
Se invece avesse proceduto, attraverso il diritto internazionale, alla denuncia dei crimini di Hamas, avrebbe innanzitutto salvato la vita di tutti gli ostaggi ebrei, e inoltre avrebbe risparmiato la vita di molte migliaia di palestinesi innocenti e avrebbe risparmiato anche dalla distruzione quegli obiettivi civili (ospedali, scuole, università, uffici anagrafici, istituzioni culturali) che è stata la conseguenza, nell’attuale carneficina, chiamata guerra, della volontà precisa di annientare una civiltà.
Di tutto questo non può e non deve essere considerato responsabile il popolo ebraico, ma questo governo in carica e il suo esercito. Uno degli obiettivi di Netanyahu è quello di aumentare il disagio delle comunità ebraiche nel mondo per aumentare il numero degli immigrati ebrei in Israele.
Questo è ciò che va evitato. Lo Stato di Israele ha il suo popolo, composto anche di ebrei. Ma il popolo ebraico in quanto tale non ha uno Stato, abita molte nazioni e tra queste, per ora, anche Israele.
Avere uno Stato, per un popolo che si identifica con la propria religione, comporta il rischio di ritrovarsi con Netanyahu al governo. Un rischio grave, da non sottovalutare.
Quando sono usciti dall’Egitto con la promessa di una terra, Dio ha dato agli ebrei non uno Stato senza legge, ma una legge senza Stato.
È questo che tutti gli esseri umani dovrebbero – devono – rispettare nell’ebraismo e in ogni ebreo. È per questo che Hitler li ha perseguitati. Perché sono il simbolo di una norma senza forza, non di una forza senza norma.
La Terra promessa al popolo ebraico, nelle tappe del suo cammino, compresa quella della sua permanenza in quella che si chiama ancora Terra santa, è un luogo, ogni luogo, dove si cerca la giustizia e la pace per tutta l’umanità. Ebrei in Israele sono stati e sono ancora coloro che difendono i diritti dei palestinesi, non coloro che li uccidono o li costringono ad una vita di schiavi e di perseguitati. Ebreo, dopo l’Olocausto, è ogni uomo – ogni essere umano – che cerca la pace e la giustizia di cui è privato.
La pace e la giustizia sono rese possibili dalla parola, non dalle armi; dalla civiltà dei popoli, non dalla forza – dalla spietata ferocia bellica – degli Stati.
Todi, settembre 2024
Palestinese
Siamo un popolo,
anche noi,
alla ricerca di una terra,
discendenti,
di Abramo,
fratello,
siamo Ebrei,
Ebrei di Palestina:
l’identità e la casa,
per l’essere umano,
non sono possesso,
ma ricerca e cammino,
non sono destino di guerra,
ma desiderio
e verità della pace.
[da Romano Romani, Europa, Gerusalemme e Atene, Cadmo edizioni, Fiesole 2018, pp. 69-70].
Salire a Gerusalemme
Non con la guerra
ma con la pace
si deve difendere
Gerusalemme.
Come la vita
la verità e la bellezza
Gerusalemme
non è una nazione
e non ha confini.
Se la legge di Dio
è: “non uccidere”,
non puoi uccidere
invocando Dio.
In guerra si scende,
a Gerusalemme si sale.
[Ibidem, pp. 65-66]
La mia scrittura
sia la scintilla
del tuo pensiero
non la cenere
del mio.
[Ibidem p. 53]
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