Internazionale, Politica, Temi, Interventi

Qual è la realtà della reazione “europea” al veloce cambiamento impresso dalla Casa Bianca alle relazioni internazionali?

Ciò che emerge principalmente è un’incoerenza generale tra le intenzioni dichiarate e la realtà delle posizioni e dei programmi. Questa sorta di dissonanza cognitiva riguarda tutte le opzioni politiche presenti in Europa. Un europeismo che supporta politiche nazionaliste contrasta un nazionalismo operativamente nemico della propria sovranità nazionale, mentre i pochi pacifisti espongono argomenti sparsi e poco pertinenti.

Gli Stati europei sembrano risvegliarsi, dopo ottant’anni di pace, in un mondo in cui sono poco rilevanti, senza rendersi conto di quanto effettivamente lo siano.

Consideriamo per ora soltanto l’aspetto economico. La quota del prodotto lordo europeo nel 2024 è scesa ad un modesto 14% rispetto a quella mondiale. Il fatto che gli Stati Uniti discutano apertamente di limitare le proprie basi militari all’emisfero occidentale, ritirandosi quindi da Europa e Asia, non è una boutade dell’amministrazione Trump. Rappresenta un cambiamento degli equilibri di potenza. La stessa quota USA di prodotto lordo è oramai solo del 17% (Stephen Peter Rose, “A Better Way to Defend America”, Foreign Affairs, 14 marzo 2025).

Anche se la potenza economica è soltanto un aspetto della potenza degli Stati, queste derive strutturali cambiano i loro interessi, il loro peso relativo e la sostenibilità delle loro politiche di potenza. L’amministrazione Trump è oggi un riflesso di una deriva strutturale preesistente a cui aderisce in modo pericoloso e imprevedibile.

Stiamo vedendo gli effetti della fine del breve e disastroso “momento unipolare” seguito all’epoca della guerra fredda (John J. Mearsheimer, “Bound to Fail: The Rise and Fall of the Liberal International Order”, International Security, Spring 2019)

Ma facciamo un passo indietro e torniamo a quanto accade in Europa.

L’impensabile

Per comprendere al meglio l’intera questione, è importante guardare le cose da punti di vista non europei. Utili allo scopo sono i due articoli di Stephen Walt e Kishore Mahubani pubblicati sulla prestigiosa rivista Foreign Policy, poco dopo il discorso di Monaco del Vice-Presidente statunitense Vance e prima della “animata discussione” tra Trump, Vance e Zelenskyy alla Casa Bianca.

Per Stephen Walt:

«…i leader europei dovrebbero smettere di chiedersi cosa devono fare per far felice lo Zio Sam e iniziare a chiedersi cosa devono fare per proteggersi. Se fossi in loro, comincerei a invitare un maggior numero di delegazioni commerciali dalla Cina e inizierei a sviluppare alternative al sistema SWIFT di pagamenti finanziari internazionali. Le università europee dovrebbero aumentare le collaborazioni di ricerca con le istituzioni cinesi, un passo che diventerà ancora più interessante se Trump e Musk continueranno a danneggiare le istituzioni accademiche negli Stati Uniti. Porre fine alla dipendenza dell’Europa dalle armi statunitensi ricostruendo la base industriale della difesa europea. Inviare l’Alto rappresentante dell’UE per gli affari esteri Kaja Kallas al prossimo vertice dei BRICS e prendere in considerazione la possibilità di chiedere l’adesione. E così via» (Stephen M. Walt, “Sì, l’America è il nemico dell’Europa ora”, Foreign Policy, 21 febbraio 2025).

Più brutale è Kishore Mahubani:

«La decisione del presidente americano Donald Trump di non consultare né preavvisare i leader europei prima di parlare con il presidente russo Vladimir Putin dimostra quanto l’Europa sia diventata irrilevante, anche quando sono in gioco i suoi interessi geopolitici. L’unico modo per ripristinare la posizione geopolitica dell’Europa è considerare tre opzioni impensabili.In primo luogo, l’Europa dovrebbe annunciare la sua volontà di uscire dalla NATO […] l’insistenza degli europei nel rimanere nella NATO dopo le provocatorie azioni di Trump dà l’impressione al mondo che stiano leccando gli stivali che li stanno prendendo a calci in faccia. […]

Se Metternich o Talleyrand (o Charles de Gaulle) fossero vivi oggi, raccomanderebbero l’impensabile opzione 2: elaborare un nuovo grande accordo strategico con la Russia, in cui ciascuna parte accolga gli interessi fondamentali dell’altra. […]

Qual è il principale rivale strategico della Russia, l’UE o la Cina? Con chi ha il confine più lungo? E con chi il suo potere relativo è cambiato così tanto? I russi sono realisti geopolitici di prim’ordine. Sanno che né le truppe di Napoleone né i carri armati di Hitler avanzeranno di nuovo verso Mosca.

Gli europei non vedono l’ovvia contraddizione tra l’esultare per l’incapacità della Russia di sconfiggere l’Ucraina (un Paese di 38 milioni di persone e un PIL di circa 189 miliardi di dollari nel 2024) e poi dichiarare che la Russia è la vera minaccia per l’Europa (che ha 744 milioni di persone e un PIL di 27.000 miliardi di dollari nel 2024). I russi sarebbero probabilmente felici di trovare un compromesso equo con l’UE, rispettando gli attuali confini tra Russia e UE e un compromesso realistico sull’Ucraina che non minacci gli interessi fondamentali di nessuna delle due parti. […]

E questo porta all’impensabile opzione 3: elaborare un nuovo patto strategico con la Cina. […]

Quali pressioni geopolitiche hanno causato la flessione delle relazioni UE-Cina? Gli europei hanno creduto stupidamente che una fedeltà servile alle priorità geopolitiche americane avrebbe portato a ricchi dividendi geopolitici per loro. Invece, sono stati presi a calci in faccia» (Kishore Mahbubani, “È tempo per l’Europa di fare l’impensabile”, Foreign Policy, 18 febbraio 2025).

È importante notare come, senza dimenticare la deterrenza, le reazioni consigliate sono principalmente diplomatiche e basate sulla costruzione di relazioni.

Di questo, tuttavia, non c’è traccia nella reazione “europea”.

La risposta dell’Unione europea, infatti, si limita a una direzione essenzialmente militare davanti alle minacce portate dalla Federazione russa e, in subordine, dalla Cina. Questo è ben chiaro leggendo la lettera della Presidenza della Commissione UE (che annuncia il piano ReArm Europe) e il Libro Bianco per l’European Defence Readines 2030 redatto dell’Alto Rappresentante per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza.

Sembrerebbe una posizione chiara, ma strategia dichiarata e programmi reali non corrispondono.

I paradossi del piano europeo

Il problema, pertanto, è duplice. Se da un lato, infatti, la principale minaccia identificata nel documento proviene dalla Federazione russa, sul piano militare la spesa europea già eccede di più di 1/3 quella russa ed è quasi equivalente a quella cinese (A. Capacci, C. Cignarella, C. Cottarelli, “Facciamo chiarezza: nel 2024 la spesa militare europea eccedeva quella russa del 58%”, Osservatorio CPI, 22 febbraio 2025).

Quindi, il punto non riguarda tanto la quota di investimenti (siano essi del 2%, del 3% o addirittura del 5% del PIL, come richiesto dagli USA), quanto il fatto che, essendo frammentata e disorganizzata, essa non ha alcuna speranza di essere efficace.

Questo almeno fuori della NATO, in cui gli Stati europei hanno un ruolo di forze ausiliarie rispetto a quelle statunitensi. La deterrenza del Vecchio mondo è inesistente.

Il paradosso è che mentre il Piano sembra reagire all’annunciato disimpegno statunitense con un approccio militare ma europeista, in realtà non è nessuna delle due cose.

Il Piano, infatti, disegna il riarmo di ventisette staterelli privi di ogni capacità militare congiunta.

Gli Stati europei, con questo progetto, potrebbero solo minacciarsi tra di loro (in fondo le “guerre mondiali” le abbiamo inventate noi europei), senza alcuna possibilità di costituire una deterrenza credibile verso l’esterno.

Inoltre, essendo il Piano basato in larga parte su debiti a livello statale, non fa altro che imprimere una forte spinta nell’aumento delle asimmetrie militare interne all’Unione. Solo la Germania, infatti, ha spazio fiscale e dimensioni per applicarlo realmente. Gli altri grandi paesi (Francia, Italia e Spagna) non hanno le stesse possibilità di indebitarsi, mentre altri Stati sono troppo piccoli per essere seriamente rilevanti.

Piano e Libro Bianco non possono neanche essere considerati “un primo passo” verso il cosiddetto Esercito europeo (come molti tentano di dire). Al contrario, acquistare in modo disordinato una montagna di sistemi d’arma non compatibili, evita ogni futura integrazione di difesa comune almeno per i prossimi venti anni e più. Ciò perché, dopo che ciascuno ha acquisito sistemi d’arma incompatibili indebitandosi, li dovrà tenere per, almeno, i due decenni successivi. Solo una frazione del Piano è dedicata a prestiti per acquisti comuni con prevalente tecnologia europea (altro aspetto da considerare), ma anche in questo caso si vede chiaramente la mancanza di una visione collettiva, tanto che è sufficiente l’accordo fra due soli paesi UE su una acquisizione per poter procedere.

L’obiettivo del Libro bianco è di avere «una postura di difesa europea forte e sufficiente entro il 2030 al più tardi», ma basta andare oltre l’introduzione magniloquente per capire che esso è privo di azioni credibili, e, di conseguenza, incapace di preoccupare una qualsiasi delle grandi potenze.

Avere una deterrenza credibile per gli Stati europei sarebbe un obiettivo razionale soprattutto in un mondo in cui, ottant’anni dopo la seconda guerra mondiale, gli europei si riscoprono privi dell’ombrello statunitense.

Gli Stati sono gli attori di un sistema di relazioni anarchico, perennemente immersi nella cosiddetta “trappola di Tucidide” non potendo mai fidarsi delle intenzioni degli altri.

Al “nuovo” contesto, però, gli europei rispondono irrazionalmente «agitandosi senza scopo, “chiocciando rumorosamente” e cacciando la testa nella sabbia». Lo osservava Kenneth Waltz a proposito della reazione dell’Europa alla crisi petrolifera del 1973, (Kenneth N. Waltz, Teoria della Politica Internazionale, Il Mulino, 2022), non sembriamo molto cambiati.

Più che un’Europa “bellicista”, siamo davanti ad un insieme di staterelli “imbellicisti”, più pericolosi per sé stessi che per altri.

L’errore dei due articoli di Walt e Mahubani consiste nel non considerare le forze centrifughe europee. La realtà dell’Europa è quella di una costellazione di Stati, e i piani dell’UE riflettono questo aspetto e le sue conseguenze.

«Gli stati membri dell’UE hanno sia interessi contrastanti che interessi comuni. Quando gli europei operano in un mondo in cui gli americani sono al comando, fanno fondamentalmente ciò che gli americani vogliono, e allora sembra che l’Europa sia uno stato-nazione a sé stante. Ma questo è un miraggio» (Bernhard Zand, “Trump e Vance disprezzano gli europei” (Intervista a John Mearsheimer), Der Spiegel, 7 marzo 2025).

Forze centrifughe e contraddizioni

“ReArm Europe” (ora Readiness 2030) evidenzia il ri-emergere delle forze centrifughe europee sopite dall’ombrello statunitense e dalla guerra fredda. Ora che l’impero di riferimento è in declino e non considera rilevanti i suoi stati clientes (e lo dice senza peli sulla lingua come nelle chat uscite recentemente su The Atlantic e le successive dichiarazioni dello stesso Trump), l’Europa si risveglia come un insieme di singole potenze, che potenze non sono più e la cui reputazione non è certo adamantina fuori dai propri confini.

Gli europei sembrano usciti da un’encefalite letargica in cui il paziente non si rende conto che sono passati 80 anni e il mondo è cambiato nel frattempo.

Non sono ottimista, servirebbe che si parlasse in modo realistico:

  • evitando di mescolare confusamente le relazioni internazionali con la riduzione della spesa sociale, argomento irrilevante nei rapporti tra Stati che solo secondariamente hanno una logica economica;
  • evitare di insistere sul ruolo che l’“Europa” avrebbe dovuto avere invece di riconoscere, onestamente, che non lo aveva e non lo ha;
  • evitare di fare appello al diritto internazionale come elemento risolutivo di qualcosa, rifiutando di riconoscere la realtà, e cioè che esso può essere, al massimo, un riferimento morale privo di efficacia reale, a meno che le grandi potenze non decidano applicarlo.

Il rovesciamento delle identità

Un ulteriore aspetto rilevante del contesto europeo è quello delle contraddizioni interne alle diverse posizioni politiche.

Il Piano della Commissione approvato da tutti gli Stati (anche se poi rimandato a giugno per disaccordi interni), fa sì che le principali forze “europeiste” di centro e sinistra sostengano un piano che nei fatti supporta un nazionalismo militare estremo.

Mi rendo conto quanto possa risultare sorprendente che molti “europeisti” siano oggi i maggiori sostenitori di un estremismo nazionalista in chiave militare. Simultaneamente, altrettanto sorprendenti sono i “nazionalisti” che si oppongono allo Piano UE preferendo il ruolo di stati clientes di un qualunque impero (dei quisling si sarebbe detto un tempo). I pochi “pacifisti”, in varie gradazioni, non sembrano rendersi conto della realtà dei sistemi statali e delle, brutali, relazioni tra Stati. Non ammettono, ad esempio, che il pacifismo europeo, quanto l’appello al diritto internazionale era, oltre le nobili intenzioni, un aspetto della pax americana.

Ancora più stranianti, inoltre, sono i tentativi di affermare che dobbiamo spendere in welfare invece che in nuove armi. Assodato che questo confusionario riarmo generalizzato non è utile in questa proporzione e in questo modo, il problema della sicurezza esiste e andrebbe affrontato seriamente. Paradossalmente il completo disarmo europeo potrebbe persino essere un’opzione coraggiosa e nobile, anche se poco attuabile nel contesto attuale.

Certo è che, le vie di mezzo e il rifiuto di affrontare la questione esponendosi con dichiarazioni generiche e confuse, si prestano al ridicolo.

La non-Europa

La reazione “europea” non è quindi ciò che appare: ReArm Europe/Readiness 2030 è distruttivo della stessa possibilità di un qualche tipo di coerenza europea (lasciamo stare l’esercito europeo che presupporrebbe almeno un’inesistente confederazione europea).

È verosimile supporre che dietro il Piano ci sia un tentativo di far riprendere l’economia degli Stati europei tramite la produzione di armi. Cosa come minimo ingenua, per non dire completamente sbagliata, dato che osservare il presente con la lente del PIL dimostra la totale incapacità di comprendere il contesto attuale.

Le opzioni “impensabili” in politica estera, come quelle di Walt e Mahbubani, sembrerebbero molto più sensate, ma rimangono confinate a riviste specialistiche ed è poco probabile che saranno prese in considerazione nel Vecchio continente.

Per realizzare una politica estera comune, in primis, bisognerebbe ammetterne la necessità. Gli stessi incontri dei “volenterosi” fuori dal quadro europeo, con il protagonismo di Gran Bretagna e Francia, segnalano questo vuoto.

Dovremmo tentare di superare l’ambiguità europea, ammettere ciò che siamo e che siamo stati, senza dichiarare incrollabili principi che abbiamo perseguito solo quando ci arrivavano gratuitamente e comunque garantiti solo all’interno dei nostri confini.

In molti si stracciano le vesti per l’invasione russa e il diritto internazionale violato, ma siamo incredibilmente più moderati nei confronti di Israele che riceve la visita diplomatica dell’Altro Rappresentate per la Politica estera dell’UE, evitando di mettere in questione la pulizia etnica e il genocidio in corso. Dei recenti avvenimenti in Turchia la politica estera degli Stati europei e della Commissione sostanzialmente non se ne occupano.

Una politica efficace dovrebbe più che altro limitare i nostri istinti. Potremmo controllarli se riconoscessimo ciò che siamo, siamo stati e la realtà delle relazioni internazionali.

«Nel mondo realmente rovesciato il vero è un momento del falso»
(Guy Debord, La società dello spettacolo, 1967)

Qui il PDF

Un commento a “Prontezza e panico. L’Europa senza ombrello”

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *