Articolo pubblicato per la rubrica “Divano” de “il manifesto” il 29.01.2021
Osservo vecchie fotografie scattate, per certo, nell’ultimo decennio dell’Ottocento del Teatro San Marco di Livorno. Mi sorprende d’acchito l’enormità fastosa del lampadario. Cala al centro della sala, tutte le luci accese a rifrangersi nelle gocce di cristallo che lo ornano pendenti regolari a centinaia. Conto i cinque ordini dei palchi. Sono impreziositi dai decori delle balaustre. Vi si svolgono scene fitte di personaggi, togati o in armi, e di destrieri al galoppo, quasi si intendesse imprimere una ulteriore accelerazione, ma concitata, impellente al movimento ampio dell’emiciclo dei parapetti.
Un andare esagitato – quel foscoliano «di falangi un tumulto e un suon di tube/e un incalzar di cavalli accorrenti» – che si interrompe solo nella solennità verticale del palco reale. Due Vittorie alate lo aprono per noi sulla platea, discostandone, di qua e di là, i pesanti tendaggi. La Vittoria che corona gli eroi, come si poteva vedere nel gran sipario ove Luigi Ademollo (1764-1849) aveva dipinto un trionfo di Cesare. Sono esaltate infatti, nei decori del Teatro San Marco, le figurazioni evocatrici dell’antichità greco-romana che in Ademollo avevano trovato un illustratore congeniale, sontuoso fino al declamatorio: la celebrazione delle virtù civiche e guerriere, esempi dei padri antichi cui ispirarsi, i figli d’Italia, e da emulare.
Costruito nei primissimi anni dell’Ottocento, inaugurato nel 1806, fu restaurato alla metà del secolo e lungo tutto il secolo ebbe prestigio e fama d’uno dei più reputati teatri d’Italia. Nel primo decennio del Novecento subisce un declino rapidissimo. E nel 1943 è semidistrutto da un bombardamento. A guerra finita se ne decide la demolizione. Alle 11 del 21 gennaio 1921 sono convocati al Teatro San Marco i delegati al XVII Congresso socialista che hanno aderito alla mozione della «frazione comunista» e lasciato il Teatro Goldoni dove, da sette giorni, si svolge un ardente dibattito.
Quarantaquattro anni dopo, nel 1965, Umberto Terracini, che di quel Congresso fu, ventiseienne, uno dei protagonisti, pubblica su «Rinascita» un articolo intitolato Il 21 gennaio 1921 incomincia la lunga giornata senza crepuscolo, ove, tra l’altro, si legge: «I delegati, che rapidamente avevano occupato la platea del San Marco, non vi trovarono sedie o panche sulle quali assidersi e dovettero restare per ore e ore ritti in piedi. Sul loro capo, dagli ampi squarci del tetto infracidito, venivano giù scrosci di pioggia a riparo dei quali si aprivano gli ombrelli, con uno strano vedere nel luogo e nell’occasione. Né l’impiantito era in migliori condizioni, tutto avvallamenti e buche nelle quali si raccoglieva l’acqua, riempiendo l’aria di gelida umidità.
L’intero teatro, dalle finestre prive di vetri ai palchi senza parapetti, fino ai sudici tendaggi sbrindellati che pendevano intorno al boccascena, denunciava l’uso al quale esso era stato destinato durante la guerra, di deposito dei materiali dell’Esercito». Nasceva, fuor di metafora, il Partito Comunista d’Italia, sulle macerie dell’Ottocento. La Rivoluzione rifiutava le strategie e le tattiche della Prima e della Seconda Internazionale. Un nuovo mondo si apre con l’Ottobre 1917 e chiama i rivoluzionari ad un impegno immediato e tassativo. La perentoria sicurezza nel trionfale affermarsi del comunismo sancita a Livorno in quel piovoso 21 gennaio 1921, par lasciare un’eco tenace nella targa che, nel 1949 dopo, ancora, il sangue d’una seconda guerra, viene apposta sul muro della diruta facciata del San Marco.
Accanto alle non mai abbattute colonne doriche disegnate da Ademollo stanno scolpite le parole: «Tra queste mura il 21 gennaio 1921/nacque il Partito Comunista Italiano/avanguardia della classe operaia//Alla testa della democrazia/nella ventennale battaglia contro il fascismo/popolò dei suoi migliori le carceri e i campi di guerra//Sorretto dalla ideologia di MARX di ENGELS di LENIN e STALIN/dall’esempio di GRAMSCI sotto la guida di TOGLIATTI/prosegue la lotta per rompere le catene di un duro servaggio/per la pace e l’indipendenza d’Italia nella realtà del socialismo/I comunisti livornesi nel 28° anniversario».
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