Sono stata sollecitata a scrivere queste note dal dibattito che ha suscitato il bel libro di Walter Tocci: “Roma come se. Alla ricerca del futuro per la capitale”.
Mi soffermo su due aspetti che Walter solleva, con il senno di poi, ma che potrebbero tornare utili anche per il futuro.
Il primo è la rivalutazione della figura di Renato Nicolini e il secondo riguarda la proposta che, a prima vista, potrebbe apparire scioccante e cioè quella della sparizione del Comune di Roma.
Entrambe le questioni mi hanno profondamente coinvolta.
Sto scrivendo dei ricordi ad uso esclusivo delle generazioni più giovani della mia famiglia in cui, tra tante altre cose, parlo di Renato Nicolini.
Questa occasione mi porta volentieri a rendere pubblica una memoria che, non a caso, avevo riservato al privato.
Eravamo agli inizi degli anni ’70 e lui era il segretario della sezione del PCI Campo Marzio.
Di lì a poco, nel 1976, furono istituite a Roma le Circoscrizioni e lui, per diversi anni, fu consigliere della prima che comprendeva il Centro Storico.
Insieme eravamo nella segreteria della zona Centro del Partito diretta in quel periodo da Giuseppe Pinna, un compagno vulcanico, Intelligente che ho ammirato moltissimo per la sua originalità e profondità di pensiero.
Era un manager e veniva dal PSIUP come Lucio Libertini e tanti altri.
Le zone di Partito seguivano il nuovo assetto amministrativo della città e furono anche occasione per sperimentare gruppi dirigenti non necessariamente composti da funzionari di partito.
Con il senno di poi si può dire che il Partito non seppe o non volle aprirsi più di tanto a queste nuova realtà.
Ma, tornando a Renato, ricordo la concretezza del suo impegno amministrativo quando insieme giravamo il centro per individuare edifici adatti a collocarvi gli asili nido.
Una stupida diceria, infatti, aveva creato il luogo comune che nel centro storico non vi fossero strutture adatte ad accogliere la primissima infanzia.
Da bravo architetto, quale era, mi aiutò moltissimo e trovammo soluzioni davvero impensabili come il Celio con i suoi giardini, e gli asili si aprirono anche nel centro città.
Con la giunta Petroselli, Renato ebbe occasione di dimostrare quanto la cultura fosse indispensabile per governare Roma, quanto fosse importante come elemento unificante di una città sempre a rischio di disgregazione e di fratture sociali irreparabili.
Non è necessario che io qui valorizzi un’epoca che ha ridato a Roma un ruolo nel mondo e una migliore qualità della vita ai suoi cittadini.
Quello che invece voglio dire è che quando si trattò di pensare al candidato sindaco di Roma, dopo la parentesi delle giunte Signorello prima e Carraro poi, nessuno nel gruppo dirigente pensò a lui. E quando avanzai la proposta del suo nome, mi fu obiettato dal segretario della federazione che era impensabile una simile candidatura in quanto consumatore di cocaina.
Non mi sono mai accontentata di quella risposta e penso tutt’ora che lui, nonostante il cursus che ho rapidamente ricordato, fosse percepito dal gruppo dirigente come un “corpo estraneo”.
Ora Walter Tocci propone una riscoperta del suo ruolo e vede nelle esperienze più recenti che tanti giovani hanno animato e stanno realizzando dal centro alle periferie, un filo rosso che riporta a lui.
Come non essere d’accordo?
La seconda questione chiama in causa in pieno le responsabilità della nostra generazione.
La riflessione sull’assetto istituzionale di Roma è stata molto presente nel PCI e ha prodotto elaborazioni e proposte anche legislative.
Ricordo la proposta di legge che Franca Prisco depositò al Senato, proposta da me sostenuta nella campagna elettorale provinciale del 1998.
Che Roma non si potesse governare dal Campigoglio era evidente, anche perché quell’assetto inadeguato stava provocando rivolte indipendentiste di intere aree urbane, alcune abortite, altre concluse con successo come quella dell’istituzione del Comune di Fiumicino.
Ma mentre Fiumicino conquistava un livello adeguato di amministrazione, gli abitanti di Ostia perdevano il loro mare, privatizzato al punto di occultarlo anche alla vista.
A Roma converrebbe applicare un esercizio adoperato da Jacques Delors in Europa.
Da Presidente della Commissione Europea dimostrò quanto fossero pesanti i costi della non Europa, non solo in termini monetari.
Per Roma quale è stato il costo per non aver realizzato un governo Metropolitano e l’istituzione dei Comuni Urbani?
Potrebbe essere un esercizio molto utile quello di determinare il costo della Centralizzazione e della retorica della” Grande Roma”, così cara alla destra di Storace e fatta propria dalla sinistra; scelta che ha portato nel 2009 alla istituzione di” Roma Capitale”.
Non so in voi, ma in me vedere la scritta “Roma Capitale” su tutti gli oggetti e le uniformi delle persone che rappresentano l’amministrazione suscita sentimenti tra la tristezza e l’ilarità.
Mi fa pensare al surrealismo di Magritte che scriveva sotto il disegno della pipa “ceci n’est pas une pipe”.
Questa situazione ha contribuito a deteriorare il rapporto tra Roma e la sua provincia . Quest’ultima si è sentita destinataria di tutti i problemi che Roma andava “esternalizzando”: dai campi rom, ai rifiuti, al proliferare delle discariche abusive.
L’esodo della popolazione, dovuto al grande divario nel costo degli alloggi, ha contribuito, poi, alla cementificazione dell’agro romano e dei Castelli, soprattutto verso il mare, con conurbazioni senza servizi e del tutto incontrollate, ma favorite dal fatto che molti Comuni hanno potuto sostenere le loro entrate con gli oneri di urbanizzazione conseguenti.
Naturalmente tutto questo ha aumentato il bisogno di mobilità, ma i trasporti, soprattutto quelli su ferro, non hanno corrisposto alle nuove necessità.
Il paradosso è stato che antiche linee ferroviarie, come quella Roma-Nettuno, impiega oggi più tempo di percorrenza rispetto agli anni ’50 perché i treni, che viaggiano ancora su binario unico nella gran parte del percorso, devono effettuare nuove fermate in conseguenza dei molteplici nuovi insediamenti
Quando si parla di periferie, occorre non fermarsi ai confini comunali e ad includere in questa categoria parte non piccola della provincia contigua.
Comuni come Monterotondo, Mentana, Guidonia, che avevano una loro identità autonoma e storica, sono stati travolti da questi fenomeni dovendo far fronte alla emarginazione sociale di tante famiglie e di tanti giovani non meno che a Corviale e Tor Bella Monaca.
Accenno soltanto al grande tema della criminalità organizzata che ha fatto di alcune aree, soprattutto il litorale sud, roccaforti di fenomeni autoctoni e importati in cui si possono trovare rappresentate tutte le sigle delle diverse mafie italiane e tutto ciò è documentato da sentenze di Tribunali passate in giudicato.
Processi fuori controllo, scarsa qualità della vita, consumo di suolo, tutto questo andrebbe valutato per poter guardare alle prossime elezioni del Comune di Roma con uno sguardo diverso, dopo un esercizio critico che chiama in causa in pieno le responsabilità dell’intera sinistra.
Se pessimisti, si potrebbe constatare come i buoi siano ormai usciti, riconsiderare con occhi nuovi questa situazione potrebbe essere un esercizio comunque utile in una realtà che cambia e in cui le stesse dimensioni di spazio e tempo influenzano diversamente dal passato la vita di molti.
A volte accade che situazioni nuove possano richiedere soluzioni pensate nel passato, seppure con i necessari aggiornamenti.
Per questo la proposta di Walter Tocci di riprendere l’idea del superamento del Comune di Roma, nella situazione attuale, a mio parere, ha ancora senso.
Qui il PDF
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Lunedì 18 gennaio alle ore 17:00 la presentazione online del libro di Walter Tocci. Ne parlano con l’autore Sabrina Alfonsi, Maria Luisa Boccia, Francesco Pecoraro e Christian Raimo. Coordina Adriano Labucci. Per iscriversi e partecipare, scrivere a crs-info@dol.it.
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