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Articolo pubblicato su “transform!italia” il 25.10.2023.

Professione di fede

Ego N… firma fide credo et profiteor omnia et singula, quae continentur in Symbolo, quo Sancta Romana ecclesia utitur (“Io… con fede sicura, credo e professo tutto e singolarmente quanto è contenuto nel simbolo di fede di cui fa uso la Santa Romana Chiesa”). Così iniziava la Professio fidei tridentina, promulgata da Pio IV nel 1564 a conclusione del Concilio di Trento, nell’intento di arginare la Riforma protestante. Una professione di fede utilizzata per legittimare la repressione del dissenso e i misfatti dell’Inquisizione.

A cinque secoli di distanza, non la Chiesa, riconoscibile e contestabile, ma una opaca consorteria internazionale, che attraversa la politica e i mezzi di comunicazione, e che si è arrogata il compito della direzione intellettuale e morale del cosiddetto mondo civilizzato, esige pregiudizialmente da chiunque voglia esprimersi – con la penna, la voce o con il proprio corpo – sugli accadimenti in Israele e Palestina una analoga professione di fede: “Io… con fede sicura, credo che Hamas è (l’eliminazione del congiuntivo è d’obbligo) un’organizzazione terroristica”. Ovviamente, a chiunque non manchi un minimo di spirito critico e d’indipendenza di giudizio non può sfuggire a quali interessi economici, geopolitici e politici tout court sia funzionale questa versione aggiornata dello “scontro di civiltà”.

Un’ameba culturale tanto pervasiva quanto più fa leva su ancestrali sensi di colpa. Se così non fosse sarebbe razionalmente inconcepibile che questa “professione di fede” sia diventata un discrimine che attraversa la politica e la società, riuscendo a creare fratture anche nell’ambito delle formazioni politiche della sinistra. Ciò che sta accadendo in Francia all’interno della Nupes è certamente emblematico. La formazione che era stata salutata come un inizio di saggezza politica della sinistra francese per smentire la condanna al frazionismo e all’irrilevanza, rischia di esplodere irrimediabilmente sulla mancata professione di fede sul terrorismo di Hamas. Partito Comunista, Partito Socialista, Ecologisti e Génération Ecologie minacciano di abbandonare Nupes perché Jean-Luc Melenchon e il gruppo dirigente della France Insoumise (LFI) -nonostante la condanna dei “crimini di guerra abietti contro i civili israeliani” e aver chiamato “atti terroristici” quelli commessi da Hamas il 7 ottobre 2023 – si rifiutano di qualificare Hamas come “gruppo terrorista”. Malumori e dissociazioni nei confronti del vertice di LFI ci sono stati anche da parte di esponenti dello stesso partito.

I francesi hanno visto scene, riprodotte all’infinito dai social, di dirigenti di LFI incalzati da giornalisti televisivi con le ripetute martellanti domande “Allora, Hamas è un movimento di resistenti o un’organizzazione terroristica?”. Niente di diverso da ciò che succede in molti talk show italiani. Questi video hanno certamente rappresentato per molti membri di Nupes una ghiotta occasione per far esplodere problemi politici esistenti da tempo all’interno della formazione. Ma non ci può essere solo questo.

Che dire poi del Parlamento Europeo che il 19 ottobre 2023 approva una Risoluzione  in cui si afferma che “l’organizzazione terroristica Hamas deve essere eliminata”?1 Perché tanto accanimento sulla definizione terroristica di Hamas? Anche qui, non si spiega solo con il fatto che Hamas figuri nell’elenco UE delle organizzazioni terroristiche2. C’è qualcosa di più profondo che spiega la quasi ossessiva esigenza di professione di fede sul terrorismo di Hamas.  Per esempio, collocare quelle atrocità nella casella “terrorismo” è rassicurante perché così non ci possono essere dubbi su chi ricada la responsabilità, e questo non lascia spazio a discussioni su “cause storiche” o “contestualizzazioni” di varia natura. Inoltre, il fatto che solo un’organizzazione terroristica si sia potuta macchiare di quei barbari crimini, e rovesciare su di essa tutta l’esecrazione possibile, è una sorta di insperato salvagente, un modo per scaricarsi la coscienza rispetto alla propria indifferenza su tutte gli altri atti di disumanità che quotidianamente si compiono nel mondo, anche in quello più vicino a noi.

Che cos’è il terrorismo?

Ciò che dovrebbe più far riflettere è che a questa rassicurante certezza nel classificare Hamas tra le organizzazioni terroristiche, non corrisponde altrettanta certezza nell’accezione del termine “terrorismo”.

La Storia non ci aiuta nel trovare una risposta soddisfacente alla domanda “Che cos’è il terrorismo?”. Infatti, vi troviamo di tutto; dal punto di vista delle modalità, delle finalità, degli attori, delle conseguenze, e così via. Vale la pena ricordare due importanti precedenti storici; ambedue hanno avuto luogo in Medio Oriente. Nella Galilea sotto dominazione romana, i Sicari, frazione estremista del partito, indipendentista e integralista ebraico, degli Zeloti, portavano avanti la loro “lotta di liberazione” con crimini odiosi; si mescolavano nella folla dei raduni o delle feste popolari, accoltellavano le loro vittime (principalmente ebrei che accettavano il colonialismo romano o conniventi con esso) e poi si dileguavano. Nel Medioevo arabo, la setta degli “Assassini” (Ḥasasiyyun in arabo significa essenzialisti, fondamentalisti), i primi islamisti radicali secondo Bernard Lewis3, conducevano con gli stessi metodi dei Sicari la loro lotta per il ritorno alla purezza dell’Islam, con assassinii mirati a personaggi di primo piano sia nel campo dell’Islam sia in quello del governo dei Crociati. Qualcosa che fa pensare alle nostre Brigate Rosse. Non si può, peraltro, fare a meno di notare che entrambe queste “organizzazioni terroristiche” erano di ispirazione religiosa; le stesse due religioni cui si rifanno oggi gli integralisti palestinesi e quelli israeliani.

Se affrontiamo la questione dal punto di vista semantico, e cioè partendo dal “terrore”, dobbiamo ammettere altrettante difficoltà nel riconoscere una definizione esauriente del terrorismo. L’uso della violenza per seminare terrore, al di là dei tanti precedenti storici, deve la sua denominazione al regime della Terreur in cui, tra il 1792 e il 1794, fu tolta la vita a circa 40.000 persone (senza contare le decine di migliaia sterminate nei massacri in Vandea). C’è un altro episodio, più recente, della storia europea relativo a un eccidio perpetrato allo scopo di creare terrore, ed è la distruzione della città di Dresda a seguito dei bombardamenti a tappeto delle forze aeree britanniche e statunitensi, tra il 13 e il 15 febbraio 1945, che provocò circa 250.000 vittime. Le spiegazioni ufficiali del massacro furono che si voleva colpire le comunicazioni, impedire lo spostamento di rifornimenti militari e intralciare le evacuazioni, non uccidere gli evacuati. Ben presto la natura terroristica dell’attacco emerse e fu denunciata non solo in Germania ma anche in Gran Bretagna, e, per un breve periodo, ammessa anche dallo stesso Churchill che, il 28 marzo 1945, in un telegramma inviato al Capo del Segretariato militare, generale Ismay, così si esprimeva: «Mi sembra giunto il momento di rivedere la questione del bombardamento delle città tedesche al solo scopo di seminare terrore, sebbene con altri pretesti.»4.

Nonostante i tanti esempi analoghi che si potrebbero fare, sembra alquanto semplicistico arguire che la nozione di terrorismo sia legata alla finalità di seminare terrore. Innanzitutto, perché ci sono molti atti comunemente classificati come terroristici che non hanno questa finalità. Anzi, spesso nonostante l’atto terroristico causi vittime civili, lo scopo può andare ben al di là del suo effetto immediato e avere quello politico di fare pressione sulle istituzioni dello Stato o di creare consenso sulla propria causa; pensiamo a tutti gli atti terroristici dei movimenti di liberazione.

Inoltre, ci si dovrebbe chiedere se sono da considerare terrorismo solo gli atti che hanno come finalità il terrore o anche quelli che, pur non avendo il terrore come finalità, lo creano come risultato. Se così fosse, la casistica si allargherebbe a dismisura, perché ci rientrerebbero tutte le azioni belliche che colpiscono, volutamente o per errore, obiettivi civili. E poi, come si fa a collocare il discrimine tra terrore e paura? Se si dovessero includere anche gli atti che generano paura, tenendo conto che anche i soldati possono avere paura, che anche una minaccia di violenza genera paura, e che anche chi non riesce a pagare le bollette del gas ha paura, allora il campo del terrorismo diventerebbe sterminato.

Terrorismo contro lo Stato e terrorismo di Stato

La cartina di tornasole più usata nella definizione del terrorismo è quella degli attori dell’azione terroristica. Terrorismo è quello attuato da “attori non statali”. C’è una vasta letteratura nel campo del diritto internazionale che mette in evidenza la difficoltà di definire i famosi “non state actors” e arriva a concludere che, a seconda delle situazioni specifiche, non è tanto la loro azione contro il potere statale costituito che ne definisce l’illegittimità quanto il loro non rispetto dei diritti umani. Ciononostante, nell’opinione corrente sono da considerarsi terroristici solo i gruppi (o gli individui) che esercitano, spesso in clandestinità, violenza contro lo Stato, con motivazioni diverse: politica, nazionalistica, etnica, religiosa.

Nel corso della storia, si è configurata però una certa indulgenza verso forme di violenza terroristica esercitate da una minoranza come unico mezzo per ottenere il diritto alla propria autodeterminazione e sovranità. Il caso più eclatante è il giudizio assolutorio nei confronti del FNL algerino. Però non c’è stata la stessa indulgenza nei confronti dell’IRA irlandese o dell’ETA basca. Certo, nel caso dell’Algeria si trattava di una lotta contro uno stato colonizzatore, negli altri due casi di una lotta proclamata per le stesse motivazioni ma in società in cui le libertà individuali e di gruppo erano tutelate. Allora il discrimine non è più quello dell’”attore non statale” ma quello della collocazione interna o esterna del potere statuale.

Analoga assenza di indulgenza si riscontra nelle azioni contro l’oppressore esterno condotte al di fuori del proprio Paese; nel Paese oppressore o in un Paese terzo. In questa classificazione rientrerebbero tutti gli attentati del cosiddetto terrorismo internazionale, che è la categoria che il jihadismo da anni ci ha obbligato a conoscere anche da vicino. Volendo restare ai due Paesi che in questo momento occupano le nostre menti, Israele e Palestina, la memoria corre immediatamente all’azione terroristica del commando appartenente al gruppo palestinese Settembre Nero, durante le Olimpiadi di Monaco di Baviera del 1972, in cui per mano degli attentatori e nello scontro a fuoco con la polizia tedesca persero la vita undici atleti israeliani, cinque fedayyin e un poliziotto tedesco. Prima di Monaco, ci fu un altro atto di terrorismo internazionale commesso in Italia, per la precisione a Roma, di cui sembra ormai essersi persa la memoria. Chiunque passi davanti all’Ambasciata britannica a Roma, dietro Porta Pia, ne può apprezzare o meno l’austera architettura brutalista, opera del famoso architetto Sir Basil Spence, noto soprattutto per la ricostruzione della cattedrale di Coventry, distrutta da un bombardamento della Luftwaffe nel 1940. Ma pochi sanno che l’edificio inaugurato nel 1971 è costruito nel luogo in cui si trovava una villa originariamente appartenuta alla famiglia Torlonia, divenuta successivamente sede dell’Ambasciata britannica a Roma. Nel 1946 la villa fu completamente distrutta da un attentato dinamitardo ad opera di tre terroristi dell’Irgun, il gruppo armato clandestino sionista, nato dalla scissione dall’organizzazione paramilitare Haganah, che lottava contro la colonizzazione britannica della Palestina5. Irgun era considerato dal Regno Unito un’entità terroristica, ma molti, dentro e fuori Israele lo considerano un movimento indipendentista.

Ma se è accettabile la violenza terroristica contro uno stato estero che conculca i diritti di un popolo, il terrorismo di Hamas e, in generale, dei palestinesi, diventerebbe legittimo. Non solo; non si capisce perché si dovrebbe avere più comprensione per le azioni terroristiche dei movimenti di liberazione condotte all’interno del proprio Paese, quando è un altro Stato la causa della propria oppressione dei propri diritti. Ma, forse, così si andrebbe molto lontano, fino a legittimare l’11 settembre.

Se nell’opinione corrente è facile identificare il terrorismo come violenza terroristica contro lo stato, è più difficile che oggi si parli di terrorismo di Stato. Neanche nel nostro Paese, dove, da Piazza Fontana in poi, non dovrebbe essere un fenomeno sconosciuto. Tragedie storiche molto presenti nel dibattito politico attuale come l’Olocausto o i Gulag staliniani, o altre un po’ dimenticate come quella dei desaparecidos in Argentina, non vengono chiamate terrorismo di Stato; si preferisce usare altre categorie: razzismo e antisemitismo, dittatura comunista, crudele dittatura militare. Terrorismo di Stato, per esempio è quello perpetrato dal regime iraniano contro il proprio popolo e in primo luogo contro le donne. Terrorismo di Stato è quello di alcuni governi africani contro le proprie minoranze etniche, spesso condotto in nome della lotta al terrorismo jihadista. Ma la comunità internazionale è disposta a tollerare questi terrorismi in ragione di superiori interessi economici e geopolitici. Va detto che da anni assistiamo ad atti di terrorismo di Stato perpetrati contro popolazioni di altri Paesi. Sarebbe troppo lungo l’elenco delle violenze terroristiche usate nel corso di operazioni militari, come nella global war on terrorism di George W. Bush o come quelle turche nel Rojava, consumate, anche qui, in nome della lotta al terrorismo curdo.

È evidente, quindi, che se non solo gli attori non statali, ma anche gli eserciti e gli Stati possono essere considerati terroristici, la nozione di terrorismo definita sulla base degli attori è impraticabile.

Uccidere i civili è terrorismo?

Un’altra chiave tassonomica usata per designare un atto terroristico è se ci sia, in modo deliberato, il coinvolgimento di civili. Naturalmente c’è una vasta tipologia di forme di violenza che danno sostanza a questa classificazione. La maggior parte degli atti considerati terroristici coinvolgono i civili. Ma, a parte la difficoltà di stabilire dove c’è l’atto deliberato di colpire i civili e dove no, se si accetta questa discriminante, proprio per quanto si è detto sull’uso del terrore in guerra e sul terrorismo di stato, non si può escludere dagli atti terroristici quelli condotti dagli eserciti in guerra quando sono colpite vittime civili. Se da Churchill in poi si potrebbero fare innumerevoli esempi (Vietnam, Iraq, Siria, Yemen, ecc.), l’attualità ci consegna due “casi di scuola” in cui, in situazioni del tutto diverse, un esercito regolare compie stragi di civili che non potrebbero non essere definiti atti di terrorismo; ci si riferisce ovviamente alle stragi di civili fatte dalle forze armate russe in Ucraina e israeliane a Gaza. Ma anche in questo caso l’alveo di comprensione del terrorismo si è enormemente allargato.

Le liste nere

C’è poi l’identificazione più formalistica e amministrativa. È terrorismo quello praticato dalle organizzazioni che figurano nelle liste dei soggetti terroristici. Gli USA e il Regno Unito hanno le loro liste, mentre per i Paesi membri dell’UE è l’Unione che se ne occupa attraverso propri atti normativi. Le Nazioni Unite gestiscono la Base Dati Terroristi che contiene gli elenchi compilati nei vari Paesi. Il problema è che queste liste non coincidono; un’organizzazione considerata terroristica dagli USA non lo è per l’UE. Emblematico è il caso di Hezbollah che dal 1995 è inserita nella lista degli Stati Uniti ma, a differenza di Hamas, non figura in quella dell’UE, nonostante le pressioni interne e soprattutto esterne (USA), grazie al fatto che il Parlamento Europeo, pur avendo riconosciuto nel 2005 la natura terroristica di una specifica azione compiuta dall’organizzazione libanese, si è finora rifiutata di considerare Hezbollah un’organizzazione terroristica in considerazione della sua natura ambivalente e del suo profilo anche istituzionale. Quindi si è compresi nelle liste in base a valutazioni politiche che possono essere più o meno condivisibili ma che cambiano a secondo delle visioni e degli interessi di chi compila le liste. E, dunque, nemmeno quello dell’inclusione nelle liste può essere un criterio valido affinché un’azione o un’organizzazione sia considerata terroristica.

Il diritto internazionale

Né, peraltro, un chiarimento illuminante su cosa debba intendersi per terrorismo ci arriva dal diritto internazionale. Senza addentrarci in questa sede su come il diritto cogente e diritto consuetudinario trattano crimini di terrorismo, ci basta sapere che questa fattispecie criminosa è prevista dai trattati internazionali (treaty crimes) ma esula dalla competenza della Corte Penale Internazionale che si occupa di crimini di genocidio, crimini contro l’umanità, crimini di guerra e crimine di aggressione. Ragionando, però, da un punto di vista etico e politico, dal momento che, come si è visto, spesso questi crimini coincidono con quelli che sono considerati terroristici, risulta difficile per il cittadino profano capire tutte queste distinzioni.

D’altra parte, non è un caso che dal versante del diritto internazionale consuetudinario non si sia ancora pervenuti alla definizione del terrorismo. I lavori del Comitato ad hoc istituito nel 1995 dall’Assemblea delle Nazioni Unite per elaborare una “convenzione globale sul terrorismo internazionale non sono mai arrivati a conclusione proprio su due questioni chiave che qui sono state problematicamente richiamate. La prima: è possibile attribuire la qualificazione terroristica ad azioni che avvengono in situazioni di conflitto armato, dove sono comprese le guerre di liberazione, legittimate dal diritto dei popoli all’autodeterminazione? La seconda: si possono chiamare terrorismo azioni criminose condotte da forze ufficiali dello Stato; cioè esiste o no il terrorismo di Stato?

Dopo il 7 ottobre è sembrato che da parte dell’opinione pubblica e dei media si riconoscesse il carattere terroristico dell’aggressione di Hamas soprattutto per la efferatezza e la crudeltà dei crimini commessi. Ma da un punto di vista etico e umanitario, qual è la differenza tra i bambini sgozzati da Hamas e quelli morti, spesso ustionati, per le bombe di Israele. Siamo arrivati al paradosso che nel comune sentire i crimini di guerra e quelli contro l’umanità sono meno gravi di quelli del terrorismo.

Per concludere

La conclusione di quanto detto sinora è che la nozione di terrorismo manca di quella univocità che ne permetta la operatività e la comunicabilità. Insomma, qualcosa che quando si cerca di comprendere in un recinto cognitivo, sfugge da tutte le parti. Può essere un concetto evocativo, letterario, ma scarsamente politico, e di impervia, se non impossibile, utilizzabilità giuridica. Di conseguenza, la professio fidei sul carattere terroristico di Hamas è priva di senso comune, e l’insistenza, l’ossessività quasi, con cui viene richiesta, da un lato, la fa rientrare nel campo della psico-patologia collettiva, dall’altro, ne rivela la strumentalità politica.

Ma se non ha senso rincorrere classificazioni relative al terrorismo, rimangono i crimini, e i corpi offesi dei bambini trucidati. Di fronte a queste catastrofi, non umanitarie, ma dell’umanità, la comunità internazionale non può che avere un atteggiamento univoco, una sola bussola che, al di là del diritto internazionale, è la certezza che al di sopra di tutto ci sono i diritti umani e, tra questi, al di sopra di tutti, il diritto alla vita. Ma questo deve valere sia per ciò che chiamiamo terrorismo, sia per ogni genere di conflitto, sia per le guerre. Infatti, questa oggi è la vera questione: possiamo continuare a considerare la guerra con le categorie del ventesimo, se non del diciannovesimo, secolo? È possibile rimanere ancorati a una concezione dei crimini di guerra che non comprenda lo stesso crimine che è la guerra? È possibile che nel diritto internazionale si legittimi la guerra di difesa, il cosiddetto diritto a difendersi? I civili morti, i bambini uccisi in guerra non sono tutti vittime del crimine che è la guerra? E ancora, i soldati morti in guerra non sono anch’essi vittime dello stesso crimine contro l’umanità?

Sono questioni che negli anni Sessanta animavano i dibattiti sulla guerra, quando l’obiezione di coscienza sembrava essere la sola guerra per combattere la guerra. Ma in questo arretramento della coscienza collettiva sulla guerra, nessuno è innocente; nemmeno la Chiesa cattolica. Non si può dimenticare che nel 1965 Paolo VI, di ritorno da New York dove all’Assemblea delle Nazioni Unite aveva gridato “Mai più la guerra”, a conclusione del Concilio Vaticano II, si trovò a dover promulgare la costituzione pastorale Gaudium et spes che legittimava la guerra giusta e la legittima difesa con la forza militare.

Note

  1. La Risoluzione è stata approvata con 500 voti a favore, 21 voti contro (di cui 13 della Sinistra) e 24 astensioni. I deputati italiani hanno tutti votato a favore ad eccezione di Piernicola Pedicini del Gruppo Verdi/ALE.[]
  2. L’Unione europea aveva inserito nella lista nera prima il braccio armato di Hamas, nel dicembre del 2001, e poi il suo ramo politico, nel settembre del 2003. Nel dicembre 2014, il Tribunale UE ordina la cancellazione di Hamas dalla lista. La Commissione ricorre immediatamente. La Corte di Giustizia dell’Unione, nel novembre 2021, accoglie il ricorso e Hamas rientra nell’elenco delle organizzazioni terroristiche.[]
  3. Bernard Lewis, acclamato storico occidentalista, ex agente segreto del MI6 britannico e punto di riferimento ideologico di George W. Bush e dei neoconservatori al tempo della guerra all’Iraq, ne fece oggetto di un suo famoso libro del 1967 The Assassins: A Radical Sect in Islam. Il titolo dell’edizione italiana Gli Assassini. Una setta radicale islamica, i primi terroristi della storia, pubblicato solo nel 2002 (Collezione Le Scie, Mondadori, Milano), contiene un falso storico ed è deviante anche rispetto al titolo originale; avrebbero quantomeno dovuto aggiungere alla parola “storia” l’aggettivo “islamica”. Ma si capisce, siamo nel 2002 subito dopo l’attentato alle Torri gemelle, e Mondadori non può fare a meno di prodursi nell’arte italica di essere più realisti del re, ciò che ci fa così spesso cadere nel ridicolo.[]
  4. Il comandante del Bomber Command della Royal Air Force, Arthur Harris, convinse immediatamente Churchill a cambiare il testo del telegramma, eliminando ogni riferimento alla finalità terroristica, e a distruggere l’originale; cosa che Churchill fece ma non il destinatario Ismay. Cfr. Roddy Mackenzie, Churchill’s greatest triumph: bomber command. Finest Hour 185, Third Quarter 2019, International Churchill Society[]
  5. C’è chi sostiene che l’esplosivo per l’attentato sia stato fornito dai Fasci di Azione Rivoluzionaria (FAR) la neonata organizzazione fascista fondata da Pino Romualdi. Tra le curiosità della storia va annoverato il fatto che l’atto costitutivo dei FAR recitava che potevano far parte dell’organizzazione tutti i cittadini “purché non di razza israelitica”.[]

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