Interventi

Foto di Anatoly Kalmykov da Pixabay

Generalmente i commentatori occidentali guardano a questa riforma come all’ennesimo mezzo per Putin di accentrare e consolidare il suo potere. Ma è davvero solo così? O in essa è contenuto un altro fine?

La riforma è il tentativo da parte di Putin di costruire uno Stato-nazione che funzioni. Il suo è un progetto ambizioso, che lo accompagna fin dai primi passi nell’ambiente politico della Mosca post-sovietica. Per questo lo definisco un “politico professionale“, nel senso in cui lo intendeva Max Weber. E qual è il “beruf” di Putin? Risollevare il suo paese dalla polvere in cui è caduto dopo la fine dell’URSS.

Putin è il primo russo di cultura urbana che arriva al vertice del potere. Da Stalin a Gorbachev, vi erano stati ex operai, georgiani, ucraini, provenienti da un contesto contadino o da luoghi periferici dell’immenso territorio sovietico.

Putin, figlio dell’aristocrazia operaia, compie un regolare corso di studi e entra nei servizi, dopo essersi laureato alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Leningrado, la più europea delle città russe. Perché i servizi? La sua risposta è “per spirito di avventura”. Quando nell’URSS chiedevi ad un giovane del suo futuro, rispondeva: “Vorrei fare l’interprete oppure il funzionario dei servizi, così conoscerò il resto del mondo”.

Putin ha conosciuto bene Dresda dove è rimasto per 7 anni. Quando nel ’90 è tornato in Russia, ha lavorato per il sindaco di Leningrado e lo ha poi seguito a Mosca, dove ha fatto carriera con Yeltsin, sino alla conquista della carica di presidente.

Sono anni ancora da mettere bene a fuoco. La dissoluzione dell’URSS è stata affrontata dagli statunitensi come fecero con la Germania post-nazista, ovvero un paese da “rifare” secondo il proprio modello: in economia con le privatizzazioni, in politica con la democrazia elettorale. Il disprezzo dei russi per l’approccio statunitense pesa ancora nei rapporti tra i due paesi. E per l’Europa? I russi che contano e Putin come giudicano gli europei?

A proposito di rapporto con l’Europa, la riforma costituzionale sembra percorrere l’arco di avvicinamento progressivo al costituzionalismo europeo, che parte da Gorbačëv, o è a questi addirittura precedente. Quali risultati hanno portato le varie modifiche succedutesi nel tempo?

Gli europei sono stati la gran delusione dei russi, specialmente i tedeschi e in special modo la sinistra socialdemocratica da cui provenivano i bolscevichi, la quale – 74 anni dopo – si è convinta di potersi prendersi finalmente la rivincita sull’Ottobre e non ha capito che le macerie dell’esperimento sovietico avrebbero travolto anche il più antisovietico dei partiti socialdemocratici europei. E così è andata.

Per il crollo dell’URSS i due massimi responsabili sono stati Gorbachev e Yeltsin. Il primo in buona fede, l’altro corrotto e alcolizzato.

Gorbachev aveva assistito alla crescita del potere informale dei dirigenti delle grandi industrie del gas e del petrolio, all’ampliamento dell’autonomia amministrativa delle repubbliche (in gran parte conseguenze delle scelte di Brezhnev), e diffusione della corruzione anche negli ambienti del partiti. Si convince così che la soluzione sia nell’instaurazione di un sistema parlamentare di tipo europeo, nel superamento del partito-stato. Il suo progetto si rivela un totale fallimento che porta il suo antagonista Yeltsin al potere. I russi odiano Gorbachev perché da incapace ha distrutto l’URSS e disprezzano Yeltsin perché li ha svenduti agli statunitensi (nel 1996 fu aiutato fortemente dagli USA per ottenere la rielezione) e agli oligarchi; gli ex dirigenti che privatizzate le industrie, ne fanno quello che conveniva loro.

Poteva andare diversamente? Lo credo difficile. Per come l’ho conosciuta, l’URSS era solo ufficialmente governata dal partito, ma in realtà da tempo era nelle mani delle piccole, medie e grandi élites economiche.

Putin ha cercato di mettere fine a questo dominio, anche con l’uso della violenza, sostenuto dai “siloviki”, i funzionari dei servizi segreti a lui fedeli. Con questa riforma costituzionale sta cercando di dare allo Stato una solida struttura istituzionale, capace di reggersi e camminare sulle sue gambe. Ha peraltro conosciuto un vero Stato, e compreso l’indispensabilità della burocrazia, a Dresda, nella DDR. Nel costruire in Russia una classe di funzionari, si ispira dunque a un modello europeo, non asiatico. E per farlo, si sta appoggiando alla sua cerchia di riferimento, i cui membri stanno pian piano assumendo i ruoli cardine dello Stato (generali, ministri, alti funzionari). Una tale strategia ha però enormi difficoltà da superare.

La riforma attuale prevede, da un lato, l’introduzione di una sorta di scala mobile e il supporto all’infanzia, ad integrare l’art.7 dei principi fondamentali sullo Stato sociale, e gli artt. 37 e ss. del capitolo su diritti e doveri dei cittadini. Dall’altro introduce nuove regole che affermano la primazia del diritto costituzionale su quello internazionale (similmente a come accade in USA e in Germania), i valori della storia russa, i limiti alla doppia cittadinanza e ai conti bancari esteri per i pubblici ufficiali. Questo segnala la volontà di rafforzare il rapporto con la popolazione, migliorandone lo stato economico e favorendone la crescita demografica, e di serrare i ranghi contro gli oppositori interni e i nemici esterni?

Il grande errore, prima della classe dirigente sovietica e poi di quella russa, è di non avere costruito un’economia di consumi domestica e infrastrutture, diffuse e tecnologicamente avanzate, come sta facendo la Cina, e come, a cavallo tra Ottocento e Novecento, fecero gli USA del primo capitalismo.

Vi è infatti un distacco enorme tra la condizione delle grandi città, come Mosca e San Pietroburgo, e quella delle province. Sarebbe urgente colmare tale distacco, convogliando gli investimenti per garantire, in tutte le aeree del paese, i beni e i servizi essenziali. Non sappiamo se si farà, o se si preferirà invece proseguire con il rafforzamento dell’apparato militare.

Va detto, che al momento resta fondamentale per Putin il mantenimento di una posizione geopolitica che, attraverso le varie operazioni come quella in Siria, serva a riaffermare il ruolo della Russia sulla scena internazionale, a cominciare dal confronto strategico-militare, mai dismesso.

Per quanto riguarda gli oligarchi ostili, arricchitisi nell’era di Yeltsin attraverso l’acquisizione illecita dei colossi industriali, sono stati quasi tutti messi sotto controllo o allontanati dal paese. Le ultime iniziative, tra cui le tasse sui patrimoni, mirano a colpire quelli rimasti.

Al termine della presidenza di Putin, cosa ci si deve attendere possa accadere in Russia? Lo Stato continuerà a riformarsi in direzione eurocentrica o guarderà di più all’oriente cinese? E nel Paese esiste una classe dirigente (politica, economica, burocratica e intellettuale) capace di sostenere un processo stabile di costruzione dello Stato?

In primo luogo, il processo di costruzione dello Stato, se proseguirà, non coinciderà con un sistema politico simile al nostro. Putin, come ha affermato nella sua intervista al Financial Times, giudica infatti la liberal-democrazia un modello obsoleto. Un modello che sappiamo in difficoltà anche in Occidente, a cominciare dagli USA di Trump.

Il buon esito della “statalizzazione” della Russia dipenderà più che dalle riforme su carta, dall’affermazione di una classe dirigente “politica professionale, e anche dal contributo dei giovani, che scendono in piazza a protestare quasi come da noi.

Per quanto riguarda il posizionamento in politica estera, l’avvicinamento all’Europa si è interrotto alcuni anni fa, quando Angela Merkel ha smesso, chissà perché, di parlare in tedesco e in russo con Putin. Per reazione la Russia ha iniziato a stringere sempre più rapporti di carattere economico e militare con la Cina.

Bisogna sempre tener presente che politicamente la Repubblica Popolare Cinese è ancora basata sul modello sovietico. Chiaramente con le particolarità proprie al paese. Non sappiamo quanto nei prossimi anni si consoliderà e si approfondirà l’alleanza tra le due potenze. Bisogna però avere contezza del fatto che vi sono ancora nell’aria irrisolti dal passato, risentimenti e spiriti di rivincita.

Nel 1950 Stalin fece fare un’anticamera di 2 mesi a Mao, nella sua prima visita a Mosca. Come reazione a contrasti politici, Kruschev nel 1961 ritirò nel giro di una settimana i tecnici e le attrezzature che stavano insegnando ai cinesi come industrializzare il paese. La Cina di oggi guarda invece dall’alto in basso la piccola Russia.

Tutto considerato, nel profondo, il riferimento di Putin rimane Dresda, non Pechino.

Qui il PDF

Un commento a “Riforma della costituzione russa. Più Dresda che Pechino”

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *