Cultura, Femminismo, Politica, Temi, Interventi

Intervento al seminario “Rossana Rossanda a Roma: politica e giornalismo” tenutosi il 12.02.2025 alla Casa Internazionale delle Donne, all’interno della mostra “1924-2024. Rossanda Rossanda, la ragazza del Novecento”.

Comunismo e femminismo sono due movimenti che non hanno mai smesso di tormentare Rossana Rossanda; investono la sua vita, la sua soggettività fin nel profondo. Sul femminismo il tormento è maggiore: molte delle domande che si pone restano aperte, ritornano in modo assillante, dalle conversazioni a Radio3 (Le altre Bompiani, 1979) fino alle pagine pubblicate postume da Futura (Un secolo due movimenti, 2022). Nell’Introduzione a Le altre parla di incontro tra “una combattente ostinata quanto spelacchiata” e un movimento “che mi ha indotto a sentirmi donna prima e più di qualsiasi cosa” (p. 35). Riconosce che lei, come ciascuna donna, si è sentita interpellata nella parte più intima di sé, non senza traumi, ferite e dolore. Il dolore è dovuto anche all’avvertire i limiti delle categorie della politica che l’hanno nutrita fin dalla giovanile partecipazione alla Resistenza. “La mia cultura politica era fatta di pieni, dovevo imparare a sentire i vuoti, scelti, creati” (ivi, p. 27).

Nella relazione al convegno del 2010 a Padova “Donne, politica, utopia”, dal titolo significativo Donne e politica, una relazione tempestosa, pone due domande cruciali.

La prima: possono le donne, in quanto donne, essere un soggetto politico? Può esserci una politica di donne – il femminismo – con gli stessi fondamenti, gli stessi fini, le stesse forme in tutto il mondo?

La seconda: può il femminismo contribuire a ripensare la prospettiva di cambiamento del comunismo?

I due movimenti, per Rossanda, non sono simili, neppure contigui. Ma hanno un avversario comune, l’universalismo che riduce la differenza sessuale e la differenza operaia a “specificità”, a condizioni particolari. La donna è stata schiacciata sull’identità naturale, funzione riproduttiva e ruolo familiare; l’operaio come merce tra le merci, è deprivato di umanità proprio nell’esperienza decisiva della sua esistenza.

L’universale come significante prevede la logica inclusiva del progresso sociale e della politica democratica. Allargamento dei diritti, miglioramento delle condizioni di vita, ma fini e senso della vicenda umana sono quelli della piena affermazione della “persona”. Viceversa, differenza sessuale e differenza operaia sono radicate nel corpo, prendono forma e senso in un “materialismo ontologico” che non è riducibile a una specifica condizione di vita.

In modi affatto distinti donne e classe, come soggetti incarnati, mettono in questione non solo l’ordine sociale dei gruppi di interesse, ma l’ordine simbolico che ha come protagonista l’individuo universale. “Essere donna – scrive Rossanda – è un essere in sé e per sé”, “esistono uomini e donne (…) e quale che sia l’origine di questa differenza (…) il secondo femminismo non domanda né parità né uguaglianza, anzi. Afferma un’autonomia del femminile…” (Un secolo, due movimenti, p. 60).

Una prima, preziosa, indicazione che Rossanda trae dalla riflessione su comunismo e femminismo è che “ragioni e forme e soggetti della storia sono molte, diacroniche e sincroniche, analogiche e conflittuali: finiamola con una tentazione metafisica che spunta da tutte le parti”. Questo non comporta la rinuncia a una lettura di insieme della realtà, presente e storica. “Si può prendere la temperatura di una società intersecando, come un’ascissa e un’ordinata il rapporto di produzione e il rapporto fra i sessi nei diversi tempi e luoghi: ne viene un diagramma interessante” (ivi, p. 64).

Rossanda indica tre questioni cruciali per questa analisi: che cos’è politica, che cos’è rivoluzione, che cos’è libertà. Mi soffermo solo sulla prima.

Politica è agire in prima persona, con altri e altre, il possumus di Hannah Arendt piuttosto del potere, cuore e obiettivo della politica istituzionale, rappresentativa o decisionista, democratica o autoritaria. Tra il ’64 e il ’68-‘69 emerge una pluralità di soggetti che agiscono un cambiamento esistenziale e politico: nei luoghi di lavoro, dalla fabbrica ai servizi, nei saperi, nei rapporti tra generazioni e nei rapporti trai sessi; nella società civile come nella famiglia; nelle lotte anticoloniali, come nella guerra del Vietnam e nella rivolta di Praga.

È la contestazione, su scala mondiale, dei processi di modernizzazione che ha messo in questione le politiche socialdemocratiche e comuniste nei diversi paesi. Questa insorgenza di conflitti ha incontrato ovunque una resistenza, e un punto di arresto, nei partiti della sinistra, socialdemocratici e comunisti, che si sono sempre più rinchiusi nella dimensione istituzionale, perdendo contatto con l’agire politico diffuso nella società. Come è noto, Rossanda e il gruppo del Manifesto ne comprendono tempestivamente la rilevanza e la conseguente necessità di farne il fulcro di una differente politica; da qui la rottura con il Pci.

Ma Rossanda non comprende la rottura del femminismo anche con questi movimenti. È nonostante il ’68 e non grazie al ’68, come afferma lucidamente Carla Lonzi, che le pratiche e il pensiero femminista si diffondono.

Ed è proprio l’agire su un altro piano del femminismo che la tormenta. “L’avere avuto negata per secoli la parola politica – e la presenza nei luoghi della politica – ci ha deresponsabilizzate. C’è un vantaggio nella deresponsabilizzazione” (Un secolo, due movimenti, p. 55). Significativo il riferimento all’estraneità affermata da Virginia Woolf in Le tre ghinee (Feltrinelli, 2023). Con l’imperativo, rivolto al proprio sesso – “pensare, pensare, dobbiamo. Non dobbiamo mai smettere di pensare: che civiltà è questa in cui ci troviamo a vivere?” – Virginia Woolf mette in questione il nucleo dell’emancipazione, la partecipazione delle donne alla civiltà degli uomini. Ovvero che questo sia il modo, giusto e necessario, di assumersi la responsabilità delle vicende umane; e mette in questione la coincidenza tra maschile e universale. Per Rossanda, viceversa, l’estraneità è un’illusoria pretesa di tirarsi fuori: “fermate il mondo voglio scendere, il mondo non si ferma o metti le mani sul volante o ti trascina” (Un secolo, due movimenti, p. 55). La “società delle estranee”, immaginata da Woolf, prende corpo e anima nel separatismo dei gruppi femministi.

È sulla sfida più alta, quella di una differente politica, che Rossanda interroga sia il femminismo che la propria storia di “impenitente emancipata” comunista (Memoria, n. 19-20/1987). L’estraneità, da cui origina la pratica del separatismo e del partire da sé, va intesa come rottura della complicità con gli uomini ed assunzione di responsabilità verso le donne e verso il mondo. Tra le esperienze più significative vi sono quelle del “dentro-fuori”, ovvero del praticare l’estraneità come punto di vista, posizionamento critico e autonomia nei partiti, nei sindacati, nei movimenti, nelle associazioni.

Concludo con un richiamo alla questione della libertà messa al centro della lettura dell’89, nella quale ha prevalso “un unico criterio di interpretazione: è l’Ovest che dà senso alla parola libertà, è l’Est che dà senso alla parola comunismo” (IV mozione La nostra libertà è solo nelle nostre mani in Pci, Mozioni e documenti per il XX congresso, 1990). Questa riduzione, denunciata dalla mozione femminista, ha stravolto la comprensione di quel passaggio epocale.

Per Rossanda, viceversa, “la questione della libertà avvicina oggi l’Est all’Ovest. È ciò che accomuna tragicamente l’esito della rivoluzione all’Est alle sconfitte del movimento operaio all’Ovest” (Il Pci e la crisi del comunismo, il manifesto, 7 ottobre 1990). Con due conseguenze che inibiscono tuttora di ripensare il rapporto tra comunismo e libertà. La prima è la mancata analisi delle “sconfitte” del movimento operaio europeo, la seconda è la riduzione della libertà al rapporto di libero scambio tra individui proprietari di sé, come di beni e diritti. E rimane tragicamente irrisolta la contraddizione tra la pluralità di soggetti politici e la costruzione del Soggetto della sfera politica: il Partito-Stato ad Est, il partito funzione del sistema istituzionale a Ovest.

Non mi addentro nell’analisi del presente, che non è oggetto di questo intervento. Credo risulti evidente come sia divenuta più urgente la necessità di affrontare questa contraddizione, avvalendosi dell’indicazione fornitaci da Rossanda: leggere la società con l’ascissa e l’ordinata dei rapporti di produzione e dei rapporti tra i sessi.

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