Diritto, Internazionale, Politica, Temi, Interventi

Articolo estratto e rielaborato dalla tesi “Scozia, tra autonomia e indipendenza. Dalle origini agli scenari post-Brexit”.

In un mondo che pare lanciato, anche in forza dei vettori economici e digitali, verso una globalizzazione sempre più inestricabile, assistiamo negli ultimi anni all’insorgere, quasi con pari vigore, dei nazionalismi e dei movimenti indipendentisti o autonomisti. Tali movimenti si innestano sia dentro contesti in qualche modo assimilabili a quelli coloniali (si pensi al caso del Sahara occidentale), sia all’interno di Stati che sembravano ormai destinati a un’inscalfibile integrità territoriale. Ad oggi il principio di autodeterminazione non pare potersi applicare ai casi afferenti al secondo contesto, ma il mutare del contesto storico potrebbe determinare anche una differente evoluzione della dottrina giuridica internazionale1.

Solo per restare alle più recenti vicende della sola Europa – a parte i drammatici eventi a cui stiamo assistendo in Ucraina, che per rilevanza e complessità meritano una trattazione specifica e di cui eviteremo di occuparci in questo scritto – è all’ordine del giorno, ad esempio, l’ipotetica secessione della Republika Srpska dalla Bosnia ed Erzegovina, e abbiamo potuto vedere, il 12 dicembre scorso, la Nuova Caledonia, territorio francese d’oltremare, tenere il suo terzo referendum per l’indipendenza (anch’esso senza esito favorevole, ma non sarà probabilmente l’ultimo) a partire dal 2018. Sul proscenio rimangono poi i due casi più noti e a noi più prossimi, quello della Catalogna e quello della Scozia. All’interno di ambo gli Stati, Spagna e Regno unito, sono presenti altre questioni autonomiste o indipendentiste dalle profonde radici storiche; quelle catalana e scozzese sono solamente le più impellenti (anche se l’Irlanda del Nord si prepara a unirsi al gruppo).

La vicenda della Catalogna ha assunto un cambio di passo decisivo dopo la sentenza n. 31 del 28 giugno 2010 del Tribunal Constitucional de España, il quale, dichiarando incostituzionali molte parti dell’Estatuto de Autonomía de Cataluña approvato nel 2006, ha infrante “le speranze di quanti avevano ipotizzato che […] l’organizzazione dello Stato delle autonomie, tanto lodato nel panorama del diritto comparato, ma evidentemente in affanno negli ultimi tempi, avrebbe potuto essere modificato a Costituzione invariata, procedendo alla revisione degli statuti autonomici”2, dando il via “a una radicalizzazione del discorso nazionalista che si allontana dalle posizioni autonomiste per avvicinarsi sempre più a quelle indipendentiste”3, generando così un enfrentamiento, a tratti drammatico, tra Catalogna e Stato centrale spagnolo ancora in corso nonostante gli ultimi timidi segnali di distensione4.

La Scozia invece ha seguito un percorso più lineare e progressivo verso una maggiore autonomia, senza strappi costituzionali e su binari concordati con le istituzioni britanniche, favorendo la crescita graduale di un movimento che ora guarda alla Brexit come a un movente decisivo (forse) per la realizzazione del suo progetto indipendentista.

Una breve premessa. La nazione scozzese, sia come concetto politico che culturale, nasce in maniera connaturale alla contrapposizione con il vicino anglosassone, con il quale si è relazionata, con rapporti di maggiore o minore ostilità, oltre, ovviamente, che di collaborazione, per tutto il corso della sua storia. La stessa Croce di Sant’Andrea, ancora oggi bandiera ufficiale scozzese, pare risalire all’uso da parte dei Guardians of Scotland (tra cui William Wallace, celebrato nel film “Brave heart”) del simbolo raffigurante il martire crocifisso come sigillo per autenticare i documenti, e poi anche al suo utilizzo come vessillo in battaglia, sovente combattuta contro gli inglesi. L’apostolo Andrea era citato nella Declaration of Arbroath del 1320, prima esplicita dichiarazione d’indipendenza della Scozia come nazione5, come “patron for ever” della popolazione6. Lo stesso spirito pugnace è presente nelle parole dell’inno nazionale (informale) Flower of Scotland, suonato con tanto di cornamuse e cantato a squarciagola dal pubblico in occasione degli eventi sportivi, specialmente rugbistici; il testo racconta la vittoria di Robert the Bruce nella battaglia di Bannockburn del 1314. Ma al di là delle rappresentazioni simboliche e nonostante il forte vicino inglese non sia mai propriamente riuscito a conquistare la Scozia, ha però potuto di fatto inglobarla nella sua sfera d’influenza, con reciproco vantaggio su molti aspetti, dall’interscambio commerciale a quello scientifico, passando per le arti e la letteratura. Il legame politico, economico e giuridico che tiene unite le due nazioni appare ancora saldo, benché indebolito.

Un legame particolare, poiché sui generis è la forma di Stato del Regno unito, che, secondo una vasta dottrina, lo caratterizza intrinsecamente come union state e non unitary state, in quanto nato grazie agli atti di unione tra regni – di Inghilterra e di Scozia nel 1707, e di Gran Bretagna e d’Irlanda nel 1800 – che ne segnano la natura plurinazionale e predisposta alla devoluzione asimmetrica di potere tra il centro e la periferia. La sua struttura ordinamentale, priva tra l’altro di una costituzione scritta, basata sulla common law e molta legata, anche simbolicamente, alla tradizione formale, gli fornisce una particolare flessibilità e una adattabilità all’evolvere degli eventi senza che ciò ne pregiudichi il funzionamento o la stabilità7. Volendo utilizzare una metafora, si potrebbe dire che l’ordinamento britannico assomigli, piuttosto che alla piramide kelseniana, a un campo gravitazionale con al centro l’Inghilterra: più la sua massa di potere politico cresce, più deforma lo spazio giuridico circostante attraendo a sé gli altri satelliti del Regno; più diminuisce e più essi possono allontanarsi, ma senza mai uscire, finora, dall’orbita delimitata. Il vero quesito è se le varie crisi politiche attraversate in questi ultimi anni abbiano deteriorato a tal punto la massa inglese da permettere alle forze centrifughe di avere la meglio.

Scelte e motivazioni dell’indipendentismo

Alle ultime elezioni parlamentari scozzesi del 6 maggio 2021, lo Scottish National Party (SNP), il partito a capo del processo secessionista e che dal 2011 guida il Governo locale, si era presentato con un programma – SNP 2021 Manifesto: Scotland’s Future, Scotland’s Choice – fortemente incentrato sullo spirito europeista, la lotta al Covid-19 e l’ambientalismo, in cui si prevedeva esplicitamente la richiesta di un nuovo referendum sull’indipendenza. Nel programma, oltre a ricordare i risultati del contrasto alla pandemia, gli interventi infrastrutturali e quelli sociali compiuti, si indicavano i nuovi investimenti da intraprendere, come, ad esempio, incrementare la spesa sanitaria pubblica del 20%; investire un miliardo nella scuola, condurre una rivoluzione verde del trasporto pubblico, nazionalizzare la compagnia ferroviaria Scotrail e decarbonizzarla entro il 20358. Per ognuno di questi obiettivi, e per tutti gli altri non citati, si descrivevano poi dettagliatamente le risorse da reperire e impiegare, sul principio di una National Strategy for Economic Transformation9. Per quanto riguarda l’estrazione di gas e petrolio, pur riconoscendola come una parte importante del settore industriale e dell’approvvigionamento energetico, ci si impegnava a reinvestire tutti i guadagni ottenuti dalla loro vendita in un Net Zero Fund per la riconversione energetica10.

A proposito dei grandi obiettivi politico-democratici, invece, precipui erano il ritorno nell’Ue e, soprattutto, ovviamente, la celebrazione di un altro referendum sull’indipendenza, da svolgersi al termine della crisi pandemica, allo scopo di ottenere il controllo sulla propria economia e creare una Scozia basata su “compassione, eguaglianza e amore”. Si prevedeva la formazione di Citizen Assemblies per discutere con la cittadinanza i temi più complessi e raccogliere le loro opinioni circa gli obiettivi politici più importanti, in testa il referendum sull’indipendenza11. Sul ruolo della Scozia nel mondo, si indicava, oltre a ribadire la volontà di tornare a far parte dell’Ue, la sua natura inclusiva e l’apertura a politiche favorevoli all’immigrazione, in esplicita antitesi con quelle britanniche, l’aumento dei fondi di solidarietà internazionali, la promozione di una feminist foreign policy, l’istituzione di un Institute for Peacekeeping per mediare la risoluzione non-violenta dei conflitti internazionali e l’impegno per il disarmo nucleare12.

Alle elezioni del 6 maggio 2021 lo SNP ha conquistato 64 seggi, uno in meno di quelli necessari per avere la maggioranza assoluta e ha formato un governo di coalizioni con lo Scottish Green Party, salito a 8 seggi, anch’esso favorevole all’indipendenza. Il percorso verso quest’ultima, però, nonostante la vittoria elettorale, non è certo privo di problemi. Nei sondaggi degli ultimi mesi circa il quesito “Should Scotland be an indipendent country?” quasi tutte le agenzie danno una sostanziale parità (intorno al 45% degli intervistati) e un numero di indecisi pari al 10%. Le stesse percentuali sono state rilevate per la domanda: “Do you think it is that Scottish Independence will happen in the next 5 years?”. Per quanto riguarda invece i motivi che sostengono il voto per l’indipendenza, come già accaduto per il referendum 201413, il fattore culturale non pare essere quello trainante, anche se la gran parte della popolazione, contrariamente al caso irlandese, riconosce la propria identità nazionale principale come scozzese: 64% al 2020 (in calo di 8 punti rispetto al 2000), mentre solo il 23% si sente britannico (pur se in aumento di 6 punti rispetto a venti anni fa)14. Inoltre negli ultimi anni l’identificazione nazionale pare essere diventata sempre più legata alla propria opinione in relazione al futuro della Scozia. In particolare, dei favorevoli all’indipendenza il 77% si definisce “Scottish not British”, con un aumento del 33% rispetto al 2010 e il 72% di loro vota per lo SNP15. La lingua, non pare avere un ruolo determinante: il 98,6% della popolazione parla infatti inglese (parimenti a quanto avviene in Irlanda del Nord), mentre il 30% sa parlare lo Scots (Lowlands Scots) e l’1% lo Scottish Gaelic (quasi tutti concentrati nelle Western Isles e nell’Highland); di tutta la popolazione però solo l’1% utilizza in famiglia la lingua Scots e solo il 0,5% lo Scottish Gaelic al posto dell’inglese16. Ben più rilevanti sono invece gli orientamenti sulle questioni socio-economiche. Chi vive in Scozia è infatti mediamente più incline a giudicare la distribuzione del reddito nel Regno unito più iniqua di quanto non faccia chi vive in Inghilterra (73% contro 65%, percentuali comunque molto alte), o a considerare ingiusto che le persone più ricche possano permettersi una migliore istruzione o delle migliori cure sanitarie (46% e 42% contro 34% e 32%), o a supportare una società tendenzialmente egualitaria (71% contro 60%), oltre a giudicare gravemente insufficiente l’operato del Governo britannico nel ridurre le disuguaglianze (37% contro 29%). Rilevazioni che pongono la common political view scozzese a metà fra il modello liberale britannico e quello socialdemocratico scandinavo (rispetto ai quesiti elencati, le percentuali raccolte in Danimarca, Finlandia e Norvegia si distaccano da quelle scozzesi quanto queste ultime da quelle inglesi), a cui lo SNP ispira le sue politiche e verso cui vorrebbe portare il paese17. Inoltre, il giudizio in merito all’operato del Governo scozzese è radicalmente diverso rispetto a quello sull’azione del Governo britannico: il 61% (l’82% tra gli elettori dello SNP) ritiene che St Andrew’s House lavori nel loro interesse, ma solo il 15% (il 6% tra le persone in difficoltà economica) pensa lo stesso di Whitehall, tanto che il 73% ritiene che il Governo scozzese dovrebbe avere la maggiore influenza nelle scelte politiche, contro il 15% di chi pensa che invece dovrebbe averla quello britannico (al momento crede invece che ad avere la maggiore influenza sia il Governo britannico il 42% e quello scozzese il 40% degli intervistati). Il 55% ritiene inoltre che il Governo scozzese dovrebbe continuare ad alzare le tasse e a spendere di più per la sanità, per l’istruzione e per l’assistenza sociale (solo il 4% è favorevole a una riduzione). Tra i settori di maggiore priorità vengono indicati: una più rapida crescita economica (23%), un miglioramento degli standard educativi (18%) e della salute pubblica (17%)18.

Questione economica e prospettiva politica

Da questi dati si può dedurre quanto dirimente possa essere la questione economica nella scelta o meno per l’indipendenza. La Scozia ha avuto nel 2020 un Pil di 164 miliardi di sterline (in calo di circa il 9,7% rispetto all’anno precedente, causa Covid), strettamente dipendente dalle esportazioni – in particolare: idrocarburi (più del 10% del totale); distillati; pescato; tecnologie spaziali e per le energie rinnovabili (in particolare eolico); tessile e legname – superiori agli 80 miliardi di sterline, di cui quasi 50 con il resto del Regno unito e i restanti 30 ripartiti tra Europa e resto del mondo19. Inoltre, il bilancio scozzese dipende in buona parte dai trasferimenti del Governo che, per il budget 2021, sono pari a circa 39 miliardi di sterline20. Una eventuale indipendenza comporterebbe una perdita netta di questi finanziamenti e, probabilmente, una seria riduzione dei rapporti commerciali, solo parzialmente riequilibrata dall’ottenimento dell’autonomia fiscale e dall’intensificarsi delle relazioni con l’Europa. Anche un eventuale ingresso nell’Ue poi, al netto delle difficoltà giuridiche e politiche, potrebbe, stante l’alto reddito procapite scozzese rispetto a quello della gran parte dei paesi europei (circa 33 mila euro, poco inferiore a quello britannico21, contro i 31 mila, ad esempio, dell’Italia22), farla essere un contributore netto al bilancio eurounitario23. Nel 2016 dopo il voto della Brexit, Sturgeon ha istituito la Sustainable Growth Commission per consigliare il Governo scozzese nelle politiche economiche da seguire in una Scozia indipendente. La commissione, nel suo report (molto criticato, anche all’interno dello SNP) del 2018 – pur delineando prospettive ottimistiche sulla possibilità di una transizione in circa 25 anni al sistema economico di paesi come la Danimarca, la Finlandia o la Nuova Zelanda – ha evidenziato che la Scozia necessiterebbe di un periodo iniziale di circa 10 anni in cui dovrebbe mantenere la sterlina prima di adottare una sua valuta (oppure l’euro) e avrebbe un deficit annuo del 6% circa, che la costringerebbe a un contenimento della spesa pubblica, oltre a dover pagare al Regno unito 5 miliardi di sterline l’anno per onorare l’impegni assunti di partecipazione al debito britannico24.

A queste problematiche si aggiungono poi quelle che incrociano i legami internazionali e la geopolitica. La Scozia rappresenta infatti per il Regno unito la proiezione verso l’Artico, dove, complice il disastroso scioglimento dei ghiacci portato dal cambiamento climatico, si prevede possano correre nuove rotte commerciali e esplorative, aumentando il traffico e la competizione internazionali nell’area. Inoltre, sul territorio scozzese sono presenti molte basi militari britanniche, in particolare la base navale della baia di Faslane, a pochi chilometri da Glasgow, dove sono locati il deposito d’armi nucleari con i sottomarini del programma Trident (che nel manifesto del 2021 lo SNP dichiara di voler denuclearizzare per farne una base militare ordinaria)25, e poco distante, i principali cantieri navali della marina militare britannica (Govan, Rosyth, Scostoun), con un indotto che vale circa 12.000 posti di lavoro26. Tutte aree del paese (Argyll and Bute, Renfrewshire e, in minor misura, Fife) che si erano espresse convintamente per il Remain (con percentuali tra il 60 e il 67,5%)27 e che al referendum del 2014 non avevano espresso una larga preferenza per il No (tra il 52% e il 57%)28. La paura di subire una crisi economica industriale, dovuta alla possibile perdita o riduzione degli appalti con la difesa britannica, in caso d’indipendenza, potrebbe spostare il consenso dei residenti in quelle aree più decisamente verso il No, anziché, come sarebbe legittima ambizione degli indipendentisti, transitare verso il Sì. Infine, in un Regno unito che dichiara di voler riaffermare la sua proiezione globale29, anche attraverso l’incremento della spesa militare di 24 miliardi di sterline nei prossimi 4 anni e il rilancio della Royal Navy30, sarebbe un paradosso la perdita di metà del suo territorio insulare. Dall’altro alto una Scozia indipendente, pur rimanendo nelle aree delle alleanze occidentali e presumibilmente nella Nato, potrebbe non essere ben vista dagli Usa31, che dovrebbero, in un panorama di crescente tensione internazionale, prendere atto dell’indebolimento del suo principale alleato, distratto da questioni interne capaci di minarne l’efficacia e la capacità collaborativa.

Questi ultimi elementi aprono molti possibili scenari sui prossimi corsi della trattativa per un nuovo referendum scozzese. L’attuale debolezza del Governo britannico – travolto da numerosi scandali e guidato da un Partito conservatore, secondo i sondaggi, sotto mediamente di 8 punti percentuali rispetto al Partito laburista nelle intenzioni di voto per le prossime elezioni – potrebbe spingerlo a usare toni più duri con St Andrew’s House, per recuperare consensi intorno all’obiettivo di scongiurare la secessione della Scozia. Dall’altro lato l’esecutivo guidato da Sturgeon potrebbe decidere di utilizzare la presunta fragilità della controparte per ottenere subito concessioni devolutive e rimandare il referendum a data da destinarsi. Oppure potrebbe attendere che, come preconizzato dai sondaggi, a Whitehall arrivino i laburisti, storicamente più aperti sul tema dell’autonomia, anche se non su quello dell’indipendenza. Dopotutto però, per quanto il Governo britannico possa tentare di resistere alle richieste scozzesi, qualora queste si facessero più concretamente insistenti, starebbe probabilmente attento a evitare uno scontro aperto del tipo catalano. Un punto dirimente è quindi se le forze indipendentiste vogliano davvero il referendum e se lo vogliano a breve. Come abbiamo visto, le intenzioni di voto degli scozzesi si dividono al momento quasi perfettamente a metà, e certo, un altro voto con esito negativo potrebbe determinare, oltre alla fine della carriera politica di molti dirigenti dello SNP, un decisivo passo falso per il progetto politico che esso porta avanti, rallentandolo, bloccandolo o rimandandolo di molti anni. D’altro canto, continuare a rinviare un voto che già da tempo ci si impegna a richiedere pubblicamente, potrebbe alla lunga stancare e disaffezionare un elettorato che pare al momento granitico.

Note

1 Per un approfondimento sul principio di autodeterminazione nel diritto e nella giurisprudenza internazionali, si veda la voce: Milano, E. (2014), Autodeterminazione dei popoli, in “Treccani”, https://www.treccani.it/enciclopedia/autodeterminazione-dei-popoli-dir-int_%28Diritto-on-line%29/, ultima consultazione al 28.02.2022.

2 Mastromarino, A. (2017), La dichiarazione di indipendenza della Catalogna, in “Osservatorio costituzionale”, 3-2017, p. 3.

3 Ivi, p. 4.

4 Sull’indulto concesso dal Consiglio dei ministri ai nove politici catalani implicati nella vicenda referendaria del 2017 e sul dialogo tra Governo spagnolo e Generalitat, si veda: Frosina, L. (2021), L’indulto e lo stato di allarme al centro del conflitto tra politica e magistratura, in “Nomos”, 2-2021, pp. 1-3, 8, 13, 16.

5 Cfr. Torre A. (2016), L’ordinamento costituzionale scozzese dalle origini all’Act of Union 1707, in La Scozia nella costituzione britannica, a cura di C. Martelli, Torino, Giappichelli, p. 85.

6 Saint Andrew, National Record of Scotland, ultima consultazione al 28.02.2022.

7 Cfr. Caravale G. (2017), A family of nations. Asimmetrie territoriali nel Regno Unito tra devolution e Brexit, Napoli, Jovene, cit.,pp. 2-5.

8 Cfr. SNP 2021 Manifesto: Scotland’s Future, Scotland’s Choice, 19.04.2021, pp. 4 e 5..

9 Ivi, pp. 18 e ss..

10 Ivi, p. 51.

11 Ivi, pp. 11 e 12.

12 Ivi, pp. 71 e ss..

13 How Scotland voted, and why, in “Lord Ashcroft Polls”, 19.09.2014.

14 ‘Forced choice’ national identity, ScotCen Social Research, ultima consultazione al 28.02.2022.

15 Scholes, A., Curtice, J., The Changing Role of Identity and Values in Scotland’s Politics, ScotCen Social Research,November 2020, pp. 5 e ss..

16 Languages, Scotland’s Census, Scotland Government, aggiornata al 03.08.2021.

17 Clery, E., Curtice, J., Frankenburg, S., Morgan, H., and Reid, S. (eds.) (2021), British Social Attitudes: The 38th Report, London, The National Centre for Social Research.

18 Reid, S., Montagu, I., Scholes, A., Scottish Social Attitudes 2019: Attitudes to government and political engagement, ScotCen Social Research, September 2020.

19 Gross Domestic Product (GDP) Quarterly National Accounts: 2020 Quarter 4, Scottish Government, 05.05.2021.

20 Budget 2021. Protecting the jobs and livelihoods of the British people, HM Treasury, HC 1226, March 2021.

21 Gross Domestic Product (GDP) Quarterly National Accounts: 2020 Quarter 4, cit..

22 Report for Selected Countries and Subjects: October 2021, IMF – International Monetary Fund.

23 Per un maggiore approfondimento, si veda: Paun, A., Sargeant, J., Kane, J., Thimon Jack, M., Shuttleworth, K., Scottish independence: EU membership and the Anglo–Scottish border, London, Institute for Government, March 2021.

24 Per un maggiore approfondimento, si veda: Scotland – the new case for optimism. A strategy for inter-generational economic renaissance, Sustainable Growth Commission, May 2018.

25 SNP 2021 Manifesto: Scotland’s Future, cit., p. 74.

26 Defence & security, Delivering for Scotland – UK Government, ultima consultazione al 17.01.2022.

27 Uberoi, E., European Union Referendum 2016 – Briefing Paper, House of Commons Library, CBP 7639, 29.06.2016.

28 Pilling, S., Cracknell, R. (2021), UK Election Statistics: 1918-2021: A Century of Elections, House of Commons Library, CBP7529, 18.08.2021.

29 Si veda in proposito: Global Britain in a competitive age. The Integrated Review of Security, Defence, Development and Foreign Policy, HM Government, CP 403, March 2021.

30 Ivi, p. 72.

31 Ibrahim, A., Scottish Independence Is a Security Problem for the United States, in “Foreign Policy”, 08.03.2021.

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