Mosè non ha messo piedein Palestinaperché la terra promessarestasse un orizzontese non divenisse maiun idolo.
[da Confini, di Romano Romani, Cadmo Edizioni, Fiesole(FI) 2016-2025, p. 24]
No, non somiglia davvero a un essere umano colui che viene descritto da Primo Levi nella testimonianza che parla della condizione dei prigionieri in un campo di sterminio nazista. La stessa domanda però se la fa anche Brecht in una commedia che inizia con Hitler di fronte a un mappamondo. Dice Hitler, in questo inizio di opera teatrale: “Posso anche sbagliare, anche io sono un essere umano.”
“Questo non lo ammetto”, osserva uno dei suoi gerarchi.
Ho citato a memoria, perché non ho a disposizione il testo in questo momento. Ma la scena mi tornava in mente in questi giorni di stermini e ultimatum in Medio Oriente.
Da una parte sta un popolo perseguitato e sterminato senza pietà, un “lavoro” che potrebbe essere continuato, se il vinto non accetta tutte le condizioni per una tregua forse possibile, imposte da una potenza che si sente padrona del nostro pianeta. Questo “lavoro” fa tornare in mente ciò che stava scritto nei campi di sterminio nazisti: Arbeit macht frei, il lavoro rende libero. La concezione nazista della libertà… e del lavoro di chi gestiva quei campi.
Mi immagino come hanno accolto questa dichiarazione non i palestinesi, ma i discendenti di quegli ebrei che sono sopravvissuti ai campi di sterminio.
Ma cosa significa essere un uomo, appartenere alla specie umana? Dobbiamo purtroppo rispondere: non lo sappiamo. Al tempo medesimo possiamo affermare che tutto ciò che gli esseri umani hanno prodotto di bello e di brutto, di buono e di malvagio nella loro storia li definisce in quello che sono e che non sono, in quello che è possibile e che è impossibile che divengano. Perché la parola, il logos che rende gli esseri umani quello che sono e che non sono, è non la loro forma, ma la prova, il segno della loro – della nostra – incompiutezza. L’essere umano è un animale, un vivente, incompiuto, il suo compimento è un compito di ciascuno di noi e dell’Umanità nel suo insieme. La tensione, in ciascuno di noi, e dell’Umanità nel suo insieme, alla propria compiutezza, si chiama amore: in latino studium, in italiano studio.
Lo studio, che è la ricerca del proprio compimento, della propria compiutezza, ha come orizzonte la giustizia, non il potere. Il potere distrae dalla ricerca della giustizia ed è divenuto, nei secoli, un’arte del potere, perché ha origine nell’istinto del dominio del branco che è la parte primitiva, irrazionale, della natura umana. Arte del potere e studio sono sempre esistiti nella storia umana, si sono intrecciati, producendo, a volte mostri, altre volte imperi. Ma sono sempre stati l’uno il contrario dell’altra. L’uno l’antagonista dell’altra. Con una caratteristica precisa: che l’arte del potere ha sempre favorito lo studio che andava nella direzione del suo amministrare i popoli, ma scoraggiato o combattuto lo studio quando è stato ricerca della giustizia e del diritto che nasce dalla giustizia: perché l’arte del potere fa nascere il diritto, la legge, dall’uso della forza, non dalla giustizia, dalla ricerca della giustizia.
Per il linguaggio del potere, legittimo significa ben altro da giusto. Legittimo è ciò che consente la forza, non ciò che richiede la giustizia. Ciò che ha fatto Hamas il 7 ottobre 2023 non era giusto, era legittimo, secondo Hamas. Ma altrettanto legittimo, non giusto, è quello che ha fatto per oltre due anni Israele a Gaza. La forza militare degli Stati Uniti lo rende anche legale sul piano internazionale, ponendo veti all’ONU e costringendo gli alleati a uniformarsi a queste decisioni.
Cosa è dunque l’essere umano, quello che ha approvato la dichiarazione universale dei diritti umani, o quello che li viola nel modo più orribile? E cosa significa essere ebrei dopo l’Olocausto? Essere contro ogni violenza, come lo sono stati i sopravvissuti dei campi di sterminio e i grandi intellettuali ebrei della diaspora, o essere discendenti diretti degli ebrei che pretendono per questo di avere diritto ad una terra abitata da millenni da un altro popolo?
In che consiste la spiritualità ebraica di Netanyahu e del suo Governo? Per lui gli ebrei sono una razza o una stirpe come lo erano per Hitler e Mussolini?
Da questo dipende il pretesto delle citazioni bibliche per giustificare il massacro dei nemici? Da qui scaturisce il progetto di riportare tutti gli ebrei dentro i confini di duemila anni fa? A questo deve ridursi la religione ebraica, fonte di civiltà nel mondo e origine spirituale di ogni religione monoteista degna di questo nome?
In questa rozzezza, in questa barbarie deve affondare la cosiddetta civiltà occidentale, detta con termine di origine semitica europea?
Per ribellarsi a tutto questo non bastano manifestazioni e scioperi. Se siamo finiti così lontani dall’intelligenza del nostro passato e dalla speranza nel nostro futuro, occorre un appello a tutte le nostre energie intellettuali e spirituali. Energie che si cerca di soffocare e di spegnere con l’aiuto delle armi in una guerra senza fine, con scenari apocalittici per un tramonto senza più albe. Dobbiamo lasciare ai nostri figli la capacità e il coraggio di pensare ogni sera a un nuovo giorno, migliore – più giusto e più luminoso – di quello trascorso.
Mosè ha dato agli Ebreicome patrianon una terracon dei confinima la leggeper una umanitàsenza confini.
[ibidem, p. 23]
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