Il primo intervento istituzionale di Pedro Sánchez dopo le elezioni generali, è stata la cerimonia di apertura della Galería de las Colecciones Reales, un nuovo grande museo a Madrid, un progetto che ha richiesto un quarto di secolo per essere completato e contiene 650 pezzi unici, è costato circa 172 milioni di euro e finalmente, con otto anni di ritardo, è stato inaugurato. Sánchez nel suo discorso ha fatto riferimento all’opera Alegoría de la paz. 25 aniversario de la Constitución de 1978, di Pérez Villalta, unico contemporaneo esposto nella Galleria. L’opera per Sánchez, mostra una Spagna dove la pace è stata definitivamente stabilita, dove donne e uomini vivono insieme su un piano di parità, “una Spagna fertile, prospera, felice, che è riuscita a bandire le tenebre dell’ignoranza e ad abbracciare la luce della scienza, della saggezza e della conoscenza”. Sánchez sottolinea, davanti al Re, la diversità e la pluralità del Paese e afferma: “La Spagna non può tornare indietro”.
In realtà a sorpresa le elezioni generali hanno lasciato una situazione di incertezza che ha smentito sondaggi e previsioni. Nessuno si aspettava che le urne non dessero la vittoria indiscussa alla destra, sia con una maggioranza assoluta del Partito Popolare, sia con una coalizione di questo partito con la destra estrema di Vox. Una rimonta della sinistra e delle forze progressiste sembrava impossibile. Invece è stato un risultato elettorale che merita attenzione, perché dice che l’onda nazionalista e fascista che vuole impadronirsi dell’Europa può essere fermata, c’è spazio per una alternativa alla deriva di destra.
Il Partito Popolare ha ottenuto una vittoria insufficiente a governare e Vox, con la sua campagna contro i diritti delle persome LGTBIQ+ e contro i femminismi, con l’intera narrazione negazionista della violenza maschile, del cambiamento climatico e con la guerra che ha scatenato contro la popolazione migrante, non ha ottenuto il risultato che Meloni e tutte le destre europea speravano: non c’è stato quello scombussolamento di equilibri confortevole per le elezioni europee del prossimo anno. La sconfitta della destra non è solo il tracollo elettorale di Vox, ma soprattutto l’insuccesso del PP e del suo tentativo di impadronirsi del governo della Spagna assumendo le politiche di Vox su tutte le principali questioni: dall’economia alla transizione ecologica, dall’immigrazione alla soppressione dei diritti, dalla crisi abitativa alla difesa dell’agricoltura e della zootecnia intensive.
In Spagna il nocciolo della proposta politica su cui si stanno unificando le destre europee, in vista delle prossime elezioni per ottenere la maggioranza per governare l’Europa, è stato arginato.
Avere spostato molti voti da Vox al PP non cambia la sostanza, perché il partito popolare è parte di quel disegno. Il dato che emerge è che i popolari strappano voti a Vox perché hanno una proposta politica appiattita su quella di Vox e l’elettorato di destra ha ritenuto più efficace votare il PP per conquistare il governo e il controllo del paese. Ciò che è fallito è che lo spazio elettorale dell’intera destra, sommando PP e Vox comunque si distribuiscano i voti fra i due partiti, non ha con sé la maggioranza del paese.
Feijóo, segretario dei popolari, aspetta comunque l’investitura da re Felipe VI per formare un governo, ma ha davanti un puzzle sempre più complicato. Il partito nazionale basco (PNV) ha sbattuto la porta ai negoziati con il PP e ora lo stesso Feijóo che voleva “abrogare il sanchezismo”, non ha che il PSOE per cercare di rendere la sua investitura un successo. Il leader del PP ha auspicato un patto tra “i partiti dello Stato, che hanno ottenuto voti e sostegno”, in riferimento al PP e al PSOE, affinché in Spagna “non governino i sostenitori dell’indipendenza”. È infatti un puzzle anche il possibile ritorno alla Moncloa di un governo di coalizione progressista. Il risultato a sinistra è comunque frammentato e Sánchez dovrà cercare il sostegno di tutti i partiti nazionalisti e pro-indipendenza se vuole ritornare a governare il paese. Compreso il sostegno di Junts, il partito dell’ex-presidente Puigdemont, oggi in auto-esilio in Belgio, che dichiarò unilateralmente l’indipendenza catalana nell’ottobre del 2017.
Junts è determinante per la formazione di un governo progressista e il Partito Popolare passa dall’offerta di un patto con il PSOE – come partito rispettabile e costituzionalista con cui è possibile e necessario trovare un accordo per portare la Spagna alla “centralità” – all’avvertimento del rischio di una disgregazione della Spagna se Sánchez giura come Primo ministro, con i leader popolari che gridano all’allerta per l’unità del paese, per un patto tra PSOE e Junts. Restano però le parole chiave “amnistia e autodeterminazione” come condizioni, difficilmente ricevibili, della coalizione Junts per entrare in maggioranza, anche se non facilitare la rielezione del governo di coalizione con Sánchez non significa permettere il governo delle destre di Feijóo.
Uno stallo porterebbe a prossime elezioni generali in autunno.
Le buone notizie vengono dai risultati di Sumar, la piattaforma a sinistra del PSOE voluta da Yolanda Díaz. Seconda forza in Catalogna, terza a Madrid, 4 seggi nella Comunità Valenciana, 6 in Andalusia, in tutto 31 seggi che saranno decisivi se la legislatura del governo progressista prenderà il via. Yolanda Díaz si presenta come una leader che può fare da collante in un gruppo nuovo. Sumar e Yolanda Díaz hanno spazio per consolidare un progetto pluralista sia all’interno del prossimo gruppo parlamentare sia nel Congresso stesso. Sebbene la leadership di Podemos si sia sentita a disagio nell’accordo con Sumar e soprattutto nel numero di parlamentari persi a causa dell’accordo, hanno potuto collaborare a un risultato che mantiene aperte le possibilità di trasformazione già previste dal programma della vecchia coalizione Unidas-Podemos. Alla luce dei risultati elettorali la piattaforma, unione di oltre 15 sigle alla sinistra del PSOE, è stata una decisione vincente e per ora lascia Díaz in una buona posizione per continuare il suo lavoro.
“Quest’anno raggiungeremo i 21 milioni di occupati. Lo faremo governando e lo vedrete dall’opposizione perché non raggiungerete mai il governo della Spagna”, così aveva detto Yolanda Díaz in un intervento al Congreso de los Diputatos, rivolgendosi a Vox, due mesi fa.
Proprio in questi giorni di incertezza del dopo elezioni la Spagna si trova di fronte a cifre storiche: l’occupazione è aumentata di oltre 600.000 unità nell’ultimo trimestre e supera per la prima volta i 21 milioni di lavoratori e la disoccupazione scende all’11,6%, il livello più basso dal 2008.
Le destre dicevano che l’aumento del salario minimo e la riforma del lavoro, voluta dal governo di coalizione di sinistra e fortissimamente dalla ministra del Lavoro Yolanda Díaz, avrebbero distrutto la Spagna. Oggi la Spagna è un paese migliore e non può tornare indietro.
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