Il 5 febbraio scorso Marine Le Pen ha presentato a Lione il suo “Projet présidentiel” in vista delle elezioni del 23 aprile e 7 maggio. Il programma, pubblicato online il giorno prima su marine2017.fr si presta ad analisi di diverso taglio. Qui ci soffermeremo, per adesso, solo sulle principali scelte simboliche, su alcune parole chiave e sulla concezione della democrazia che emerge nella prima parte del documento. Innanzitutto, come si può intuire osservando la copertina dei “144 engagements présidentiels” e si può constatare poi scorrendone le pagine, la strategia comunicativa della campagna è imperniata su una omissione, anzi su una serie di omissioni. Da nessuna parte, salvo nelle illeggibili firme autografe apposte in calce alla lettera introduttiva e alla fine del documento, compare il cognome Le Pen. Manca, inoltre, qualsiasi menzione del Front national, il partito di cui Marine è presidente dal 2011. Infine, la fiamma tricolore bianco-rosso-blu, che il FN ha preso in prestito dall’MSI-DN italiano, adattandola ai colori della bandiera francese e poi, negli ultimi anni, stilizzandola per renderla più moderna, non figura nell’apparato grafico: non c’è in copertina né all’interno. A sostituirla provvede una rosa blu: il fiore è presa in prestito dalla tradizione socialista, mentre il colore è quello di solito associato ai neogollisti. Gli elementi omessi (il cognome Le Pen, il partito FN, il simbolo della fiamma) rimandano a una tradizione che è, evidentemente, considerata poco profittevole in termini elettorali, e che viene quindi surrogata da un apparato iconico che potremmo definire “politicamente compromissorio”, proprio perché mescola destra e sinistra nel tentativo di oltrepassarle. Ora, occorre riconoscere che un certo grado di personalizzazione è connaturato alle campagne presidenziali, francesi e non solo. Ma la scelta di rimuovere contemporaneamente tre elementi così rilevanti è un atto senza precedenti che rivela in modo netto l’intenzione di proseguire nella de-demonizzazione (“dédiabolisation”) intrapresa da Le Pen figlia negli ultimi anni. Una opzione strategica di lungo corso, come descritto ne “Il Front national da Jean-Marie a Marine Le Pen”, che a giorni tornerà in libreria nella sua seconda edizione. Lo slogan “Au nom du peuple” (In nome del popolo) campeggia sulla copertina del programma ed è impresso in filigrana sullo sfondo delle pagine che ne separano le diverse sezioni. Quasi a rivendicare una assunzione programmatica del “populismo” come riscoperta di una idea primordiale, redentrice, della democrazia, che recupera il potere per rimetterlo nelle mani del popolo. Si coglie in effetti un’altra omissione significativa: a differenza di quanto accadeva fino al precedente documento programmatico pubblicato dal FN, non è presente alcun riferimento alla destra, alla sinistra, ai partiti di governo, presi singolarmente o nell’amalgama della “casta UMPS” che nell’ultimo decennio è stato centrale nella retorica del Front national. L’obiettivo è da un lato dotarsi di un profilo meno polemico, più sobrio e responsabile. Dall’altro andare oltre la destra e la sinistra, con un’eco che risale non tanto a Giddens, quanto al “né destra né sinistra” che ha segnato le esperienze proto e parafasciste francesi. Nel programma di Marine Le Pen non si parla di proposte, né tantomeno di tesi, ma di impegni (engagements). Vi è un accento etico, l’allusione a un rapporto di fiducia che va oltre il politico, secondo una tendenza tipica della comunicazione di oggi, sospesa tra il mistico e l’intimistico. Si tratta di 144 impegni, dunque non di una cifra tonda. In questo si coglie una sfumatura antiretorica, controcorrente. Il documento si compone di 21 pagine, articolate in sette sezioni. In ognuna di esse la Francia viene qualificata con aggettivi che tendono a personificarne la figura: libera, sicura, prospera, giusta, fiera, potente, durevole (o duratura, in relazione alla sostenibilità ambientale). La lettera introduttiva mette chiaramente in risalto la frattura attorno alla quale si vuole costruire la polarizzazione elettorale. A contrapporsi sono i patrioti e i mondialisti. Si parla di una “rivoluzione della prossimità”, dunque della vicinanza, “democratica” ed “economica”. Il primo impegno del Projet riguarda non a caso il ripristino della sovranità “monetaria, legislativa, territoriale, economica” della Francia. Il documento evoca implicitamente il principio di sussidiarietà e l’idea di una valorizzazione del locale, con lo Stato ad assumere una funzione razionalizzatrice. Il concetto di prossimità si declina sia nell’impegno ad abolire le regioni, per semplificare la macchina statale, favorire la vicinanza dei cittadini e risparmiare sulla spesa pubblica; sia in quello che riguarda la rivalutazione del ruolo dei sindaci e dei piccoli comuni. Una sorta di politica a chilometro zero. In senso figurato anche la concezione della democrazia promossa da Marine Le Pen va nel senso di una maggiore prossimità, per il fatto di favorire un rapporto più immediato, o disintermediato, si direbbe oggi, tra cittadini e istituzioni. Gli impegni dal 2 al 6 contenuti nella prima sezione, quella sulla “Francia libera” riguardano infatti misure di democrazia diretta: ampliare il campo di applicazione del referendum propositivo (articolo 11 della costituzione), istituire un referendum di iniziativa popolare attivabile con 500mila firme e prevedere la ratifica referendaria di tutte le revisioni costituzionali (anche quelle approvate a maggioranza dei tre quinti, quorum previsto dall’art. 89 della Costituzione vigente). Vi è poi la proposta di ridurre il numero dei parlamentari, quasi dimezzandolo, e poi quella di riformare la legge elettorale. Su quest’ultimo punto, quello del sistema di voto, emerge una palese contraddizione. Prima, infatti, si enuncia il principio della rappresentanza proporzionale “di tutti i francesi” e “in tutte le elezioni”. Poi viene promessa una legge elettorale per le legislative che preveda un “proporzionale integrale” con sbarramento al 5% e un premio di governabilità pari al 30% dei seggi, da assegnare alla lista arrivata in testa. L’interpretazione più logica è che si tratti di una proposta interessata, che permetterebbe al FN di governare anche solo con la maggioranza relativa dei consensi. Ma in ogni caso quello prospettato da Marine Le Pen è ben lontano dall’essere un sistema elettorale “proporzionale integrale” e si configurerebbe piuttosto come un maggioritario in circoscrizione nazionale in grado di distorcere la rappresentanza, delineando una democrazia di investitura ancor più netta di quella prefigurata dall’Italicum. La contraddizione populista, nella sua variante di destra nazionale, emerge qui in modo stridente. Stando a quanto previsto dal Projet del FN, coerentemente con la tradizione populista di cui sopra, l’appello al popolo e al rapporto diretto tra questo e i vertici (del movimento come dello Stato) elude i dispositivi di mediazione o passa attraverso un loro indebolimento. Il richiamo alla democrazia diretta e alla prossimità è vanificato, o meglio, compensato da una costruzione politica che sopperisce al consenso e all’organizzazione con una verticalizzazione marcata. L’invettiva contro le élite fa il paio con l’evocazione di tecniche elettorali dal sapore plebiscitario, in grado di ratificare il dominio della più larga minoranza e avere, in questo modo, ragione della complessità sociale. Insomma, l’ambizione sovranista di restituire potere al popolo-nazione si concretizza distorcendo la rappresentanza del popolo-sovrano. Un paradosso (apparente?) che induce a riflettere.
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