Due eventi fino a qualche giorno fa inconcepibili squarciano la tela della narrazione del conflitto in corso che si fa dai due lati della barricata. Sono come due lampi, accompagnati da un sottofondo di tuoni, che gettano un bagliore sinistro sullo sfondo di un cielo gravido di nubi di tempesta.
Nelle prime ore del 3 maggio due droni esplodono sulla cupola del Cremlino; il 5 maggio il capo della compagnia di mercenari filo-russi, Evgeny Prigozhin, diffonde un video drammatico mostrando sullo sfondo decine di cadaveri di soldati, morti in giornata, accusando i vertici militari russi di essere responsabili di quelle morti per non aver fornito al gruppo Wagner le munizioni di cui aveva bisogno per l’assalto a Bakhmut. Quindi Prigozhin annuncia che la sua Compagnia dal 10 maggio lascerà la città.
Alcuni hanno letto l’attacco al Cremlino come un tentativo di assassinare Putin, evento altamente improbabile. In realtà si tratta di un atto di fortissimo valore simbolico, è un attacco al cuore del potere politico russo, un oltraggio che neanche Hitler era riuscito a compiere.
Se quest’attacco proviene dall’Ucraina – come sembra ovvio – è un segnale terribile che ci mostra la determinazione di questo Governo a trasformare l’iniziale resistenza militare all’invasione russa, avviata il 24 febbraio dello scorso anno, in una guerra senza quartiere, volta a distruggere la potenza militare e politica dell’avversario, e persino a smembrare la stessa Federazione russa, distaccandone la Repubblica autonoma di Crimea, come più volte preannunciato da Zelensky e dai suoi consiglieri. In questa prospettiva siamo completamente al di fuori del mantra dell’aggredito e dell’aggressore recitato a reti unificate dai mass media occidentali. Attraverso attacchi e provocazioni militari sempre più ardite, si rafforza il tentativo di Zelensky di coinvolgere i paesi membri della NATO nel conflitto in corso e di trasformare la guerra russo-ucraina nella terza guerra mondiale.
Qualora, invece si trattasse di un caso di false flag, sarebbe lo stesso un pessimo segnale. Si tratterebbe in questa ipotesi – a nostro avviso improbabile – di un espediente per allarmare l’opinione pubblica interna e compattarla nel sentimento della patria in pericolo, al fine di rendere più accettabile il drammatico costo umano che il popolo russo sta pagando per la stoltezza dei suoi leader. Costo umano destinato a subire un’ulteriore impennata in vista della prevista controffensiva ucraina.
La sorprendente uscita del capo della Wagner è un segnale altrettanto grave. Scoprire la spessa cortina che entrambe le parti in conflitto hanno steso sul campo di battaglia per nascondere il volto osceno della guerra e mostrare l’orrore della carneficina quotidiana, potrebbe sembrare il messaggio di un fronte pacifista. Invece se il velo viene alzato da un professionista del mestiere della guerra, il messaggio ha tutt’altro significato. Esprime il punto di vista di quei capi militari che spingono per elevare il livello di violenza, anche in polemica con le eventuali esitazioni dei politici.
Tutti e due questi lampi, con il corteo di tuoni che li accompagnano, ci fanno intravedere che gli eserciti si stanno preparando per uno scontro massiccio, a largo raggio ed estremamente violento.
La preannunciata controffensiva ucraina potrebbe scattare da un giorno all’altro. L’ingente flusso di armi ed il sostegno finanziario, militare e di intelligence di USA, UK, NATO e Ue ha fatto maturare nel Governo ucraino l’illusione di poter vincere la guerra e recuperare manu militari i territori persi nel 2014, persino la Crimea, che da nove anni – per volontà dei suoi abitanti – costituisce una repubblica autonoma inserita nella Federazione russa.
È curioso che mentre i governi occidentali istigano l’Ucraina a conseguire la “vittoria”, i massimi esperti militari, ci informino che la vittoria non è a portata di mano. Il capo di Stato maggiore USA, il generale Mark Milley, già il 15 giugno dello scorso anno dichiarò: «L’avanzata russa in Ucraina si è trasformata in una “guerra di attrito” quasi come la Prima guerra mondiale”». Cosa vuol dire una “guerra d’attrito”? Il richiamo alla Prima guerra mondiale fa emergere dalle nebbie del passato la dimensione di uno stallo fra eserciti potenti contrapposti che si consuma in una strage insensata e senza fine. La Prima guerra mondiale dovrebbe averci insegnato che, a fronte di un conflitto così violento, spietato e prolungato nel tempo non esiste la “vittoria”, perché una tale guerra è un male in sé, è un evento che produce sofferenze indicibili a tutte le parti in conflitto, che nessun obiettivo politico può giustificare. Nel caso del conflitto in Ucraina, il prolungamento della guerra, che ha già provocato centinaia di migliaia di morti, è doppiamente assurdo perché nessuna parte può prevalere sull’altra, come ci ricorda lo stesso Milley, da ultimo, in un’intervista al Financial Times del 16 febbraio di quest’anno. La pretesa della NATO, della Ue e degli altri paesi della Santa alleanza occidentale, di spingere l’Ucraina a combattere fino alla vittoria, ha come unico sbocco il prolungamento di una strage insensata e senza fine, incrementando il rischio di un’estensione incontrollata del conflitto. Stiamo fornendo l’Ucraina di sistemi d’arma sempre più performanti, ma se le forze armate ucraine dovessero dilagare in Crimea, insidiando la base della marina russa a Sebastopoli, chi ci può assicurare che la Russia si arrenderà senza porre mano all’arsenale nucleare?
Pretendere di sconfiggere e umiliare una superpotenza dotata di 6.000 testate nucleari è come giocare a scacchi con la morte.
Senza volerlo e senza rendercene conto ci stiamo avviando sulla via per Armageddon. Secondo l’Apocalisse gli spiriti maligni partoriti dalla Bestia andarono dai Re di tutta la terra per radunarli “per la battaglia del gran giorno del Dio onnipotente”. Essi “radunarono i Re nel luogo che in ebraico si chiama Armageddon (Apocalisse, 16,1). L’apocalisse segnerà la fine della storia, ma noi vogliamo fermamente che la storia continui. Per arrestare questa marcia verso Armageddon, la cosa più urgente è fermare il conflitto in Ucraina, spegnere l’incendio prima che si estenda al resto del mondo. Occorre sotterrare l’ascia di guerra e spalancare le porte al negoziato.
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