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Le sacre du printemps

Terra santa,
come salvare
dallo sterminio
il vinto,

dall’ignominia
il vincitore?

La guerra non separa
l’essere dall’esistere,
il bene dal male.

Il vivere può soltanto
essere cercato
e amato,
non separato

dall’accadere.

Questo nascere,
questo fiorire,
questo amare
è la primavera.

L’angelo ha fermato
la mano di Abramo.

Todi, 7 aprile 2024

L’orrore dello strazio che le armi israeliane producono sul popolo palestinese assediato e sterminato nella striscia di Gaza, non ha una giustificazione possibile, umanamente parlando. Né si può recare a giustificazione un altro orrore. Il male non ha giustificazioni, né la ha, in sé, il bene. Ma il bene è umano, il male disumano. Il bene del popolo di Israele non giustifica il male del popolo palestinese. Il bene degli israeliani non giustificherà mai, in futuro, il male fatto dagli israeliani ai palestinesi. Questo è chiaro a tutti, innanzitutto agli alleati di Israele. Lo hanno dichiarato esplicitamente.

Il governo Netanyahu sta cercando una possibile giustificazione del proprio operato con l’ampliamento del conflitto.

Ma una domanda si impone al sionismo trionfante al comando di Israele in questo drammatico momento: la terra promessa a Mosè quando si è messo alla testa del suo popolo per uscire dall’Egitto, è quella che poi, dopo la morte di Mosè, il popolo ebraico ha conquistato e abitato fino alla seconda metà del primo secolo della nostra era? Quella, per intenderci, che noi chiamiamo, che le tre grandi religioni monoteiste – ebraica, cristiana e islamica – ancora chiamano e considerano Terra santa?

Penso di no: ma non mi interessa la questione su un piano strettamente esegetico, quello che adotto è un punto di vista filosofico. Di una ricerca filosofica che non ignora le ragioni della religione, ma le affronta nei termini di un rapporto tra le religioni e della religione con la storia dell’umanità nel suo insieme. Perché se c’è un solo Dio, è il Dio unico di tutti gli esseri umani e non soltanto degli ebrei, dei cristiani, dei musulmani. Un Dio, intendo, che, essendo il Dio di tutti gli esseri umani, preferisce la pace alla guerra, l’armonia del mondo della vita al quale l’essere umano appartiene, alla distruzione e alla morte che l’economia della crescita indefinita e la guerra con armi sempre più distruttive comportano.

La terra promessa al popolo di Israele, che con l’estendersi del monoteismo derivato dalla religione ebraica ha coinvolto altre fedi, altri popoli, è la terra in pace e in armonia con il creato che dà un senso non soltanto alla storia del popolo ebraico ma anche alla storia dell’umanità nel suo insieme.

Popolo eletto non significa popolo privilegiato, ma popolo che ha un compito, popolo al quale Dio ha assegnato una speciale responsabilità nei confronti di tutti gli altri popoli.

Di superiore nei confronti degli altri popoli il popolo ebraico non ha né la stirpe né delle altre doti particolari, ma la responsabilità. Una responsabilità che ha comportato persecuzioni, incomprensione, ma anche studio, ricerca, nei suoi spiriti migliori.

Non esiste, si dice, un proselitismo ebraico. Ma dalla religione ebraica sono nate due religioni e, complessivamente, la Terra santa, ormai, lo è per miliardi di esseri umani.

Vuole, il popolo ebraico, ridursi ad abitare quel recinto di territorio, gridando “è mio”? Vuole condurre in quei luoghi santi una popolazione armata fino ai denti ma del tutto ignara della sua storia, della sua spiritualità, del suo compito, del suo destino?

Il ritorno degli ebrei nei luoghi che abitavano duemila anni fa deve significare una regressione di questo popolo alla sua infanzia?

Dobbiamo proprio sperare di no. Nelle vittime sopravvissute alla shoah la reazione è stata ben altra. Si devono ascoltare quelle voci, questa deve essere la memoria: non si deve dimenticare il loro insegnamento, l’altezza della loro spiritualità.

Nella civiltà occidentale, il rapporto tra religione e filosofia è diventato fondamentale per l’evoluzione delle religioni, la libertà dei popoli, l’approfondimento della comprensione del linguaggio mitico e dell’interpretazione dei testi sacri. Se restiamo alla lettera dei testi sacri non soltanto dobbiamo restare alla astronomia tolemaica, ma dobbiamo anche far risalire la creazione del mondo a meno di seimila anni fa, negare la teoria dell’evoluzione delle specie e così via dicendo. Dovremmo contrapporre la scienza alla religione e la religione alla scienza. Cosa dovremmo farne del contributo fondamentale che gli scienziati di religione ebraica hanno dato allo sviluppo della civiltà umana? Del contributo che i filosofi ebrei hanno dato alla storia del pensiero filosofico?

Questo vale per l’ebraismo ma anche per il cristianesimo e per la religione islamica. L’arretramento del costume in molti paesi islamici dipende da una interruzione della loro crescita intellettuale in epoche ormai lontane, nell’aver fondato la propria potenza più sulla violenza delle armi che in quei semi di pensiero che, pure, fanno parte della loro storia.

La politica di dominio e l’economia di rapina delle potenze occidentali fanno sembrare che la civiltà di un popolo dipenda dalla distruttività delle sue armi. Sono più civili, più importanti, le potenze che hanno un arsenale atomico. Ci si deve dotare delle armi più distruttive per essere più civili.

Ma non è così. La civiltà non è questo.

Il Consiglio di sicurezza dell’ONU ha bocciato, ieri diciotto aprile, la proposta di far entrare ufficialmente il popolo palestinese nel consesso delle nazioni appartenenti alle Nazioni Unite. È stato determinante il voto di opposizione degli Stati Uniti d’America. La motivazione di questo voto contrario è stata che non è legittimo che la Palestina abbia dignità di Stato senza il consenso dello Stato di Israele.

Nella guerra di eliminazione di tutti i miliziani armati palestinesi, da parte dell’esercito dello Stato di Israele nella striscia di Gaza, fin qui sono morti sotto le bombe israeliane quasi trentacinquemila civili con un numero esorbitante di bambini, forse più di diecimila. I feriti assommano a circa centomila. Si muore, in quella striscia, anche di fame e di sete, ci sono le condizioni per il propagarsi di epidemie.

L’esercito israeliano si prepara anche a un attacco di terra nel sud della striscia, dove più fitta è la popolazione.

Questo è l’umanesimo e il senso del diritto dell’Occidente “libero”. La guerra non è mai libertà, è sempre la peggiore, la più spietata forma di tirannide. Non lo è neppure quando si giustifica come rivolta: non lo è, tanto più, quando è oppressione.

Vi deve essere un diritto internazionale che pone fine alla guerra. Un diritto che esclude la guerra come modo di regolare il rapporto tra i popoli.

Non è sostenibile, per l’umanità, continuare a fare le guerre, anziché elaborare un diritto che le condanna definitivamente sulla base di una giustizia che vale per tutti, può divenire il bene di tutti, non il vantaggio del più forte.

Il vantaggio del più forte non è né libertà né giustizia. Non è il bene di uno, è il male di tutti.

Mosè ha dato agli Ebrei
come patria
non una terra
con dei confini,
ma la legge
per una umanità
senza confini.

[da R. Romani Confini, Cadmo, Fiesole (FI), 2016]

Promessa è la Terra
dove la parola,
il logos,
ha superato l’inimicizia,
costituito un mondo
non senza conflitti
ma senza violenza.

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